Siria: silenzio colpevole

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Silenzio colpevole e disinformazione programmata sono ciò che l’occidente propone di fronte all’insurrezione dei siriani al regime di Assad. Mesi e mesi di attacchi alla popolazione sono sfociati in quello che anche e finalmente i telegiornali italiani hanno mostrato: decine di piccoli corpi trivellati di colpi. Una vergogna senza precedenti. Ci sono numerose testimonianze che raccontano di come l’esercito fedele ad Assad apra il fuoco contro i manifestanti, metta in campo ritorsioni e cerchi con ogni mezzo a sua disposizione di fermare la rivolta di questo popolo che vuole la libertà. Questa è la verità. In altri paesi protagonisti della primavera araba l’occidente ha più o meno segretamente aiutato il popolo a insorgere contro regimi molto potenti, come accaduto con quello egiziano di Mubarak, ma in questo caso nulla si muove. Una misera tregua, tra l’altro mai presa sul serio dal regime, è l’unica cosa che è stata ottenuta dalle Nazioni Unite. Troppo poco. Il grido di ingiustizia è diventato troppo forte perché si possa ancora fare finta di niente. I numeri che riguardano i deceduti trapelano e giungono fino a noi e sono alti e sempre crescenti. La rete aiuta a ricevere informazioni, ma spesso non superano il muro di gomma dei media europei e mondiali. La strage dei bambini lo ha fatto, forse ora la gente sarà in grado di valutare se indignarsi e lottare perché qualcosa venga fatto o continui con il silenzio colpevole. Non si può tollerare una violenza inaudita da parte di un esercito assassino, in grado di sparare a bambini, innocenti e inermi manifestanti o semplici civili. L’indecenza è servita, il silenzio pure.

La memoria storica

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Le crisi hanno sempre un sapere strano: sudore, bruciato e disperazione. Sono gli ingredienti che molti dittatori nella storia hanno già ben miscelato per creare consensi e urlare slogan all’unisono. Dai più grandi imperatori di Roma a Stalin e Hitler, fino al nostrano Mussolini. La tecnica è facile: portare la gente alla fame e indurli alla ribellione per “cambiare il sistema”. Questa premessa è d’obbligo per parlare dello scenario nazionale e internazionale. Quello italiano è vittima di un risultato elettorale tutto sommato scontato. La sconfitta dei partiti di centro destra, dal Pdl travolto dalle vicende del suo ex-premier alla Lega, organismo ormai in fase di mutazione dopo le questioni della “famiglia” Bossi e dell’ex tesoriere Belsito e quella dei “rinnovatori” dei Fli (Fini) e Udc (l’immortale Casini). La vittoria di Grillo è stato il risultato dello sconforto e della voglia di “cambiare” degli italiani. Senza nulla togliere all’impegno dei “grillini” che hanno raccolto le firme nelle piazze, mossi ideali veri e secondo me puri, questo è un segnale preoccupante. E lo è perché, analizzando lo scenario greco, molto analogo al nostro, a vincere sono stati movimenti di estrema destra e sinistra che non hanno permesso di creare un vero governo (si tornerà presto al voto). Monti ieri a Piazza Pulita sembrava voler rassicurare gli italiani. Tutto va bene, dice. Stiamo crescendo. Ma le imprese che falliscono schiacciate dal peso dei crediti con le pubbliche amministrazioni sono tante. Quelle mafiose sono anche loro tante e con tanti soldi da spendere. Da un punto di vista etico spererei in un governo di persone con ideali, come potrebbero essere i grillini, ma la favola mi sembra di averla già sentita (vedi saga Bossi). La verità è che ci aspettano tempi duri e questo nessuno ha il coraggio di dirlo. Non che non si possa uscire da questo tunnel, ma è necessario diventare onesti e smettere di credere che la furbizia italiana sia ancora la risposta a tutto. Resta il nodo Germania, è strano e probabilmente sbagliato pensarlo, ma è il paese che è stato promotore di due guerre mondiale e che si è sempre rialzato. Ora ci troviamo ancora una volta alle prese con questo paese che detta le leggi. Visti i precedenti e lo scenario che abbiamo intorno, saranno quelle giuste?

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Recensione “Vida” degli Spasulati

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Gli Spasulati viaggiano in bilico tra musica popolare, pop e reagge, inventando miscele originali e ben costruite. Si sentono moltissime influenze musicali nei pezzi che il gruppo propone. Come un viaggio tra le note si riescono a scorgere echi lontani delle terre sconfinate arse dal sole d’agosto e il sapore degli inverni in cui il vento soffia e costringe a ripararsi per leccarsi le ferite della vita. Il primo pezzo si chiama appunto “Vida”, ed è ballabile e ritmato, ricco di passione, con un sound nato dalla musica popolare per evolversi in una musicalità attraente e contemporanea. Anche in “Vagabondi” si ascoltano le influenze tra metropoli e campagne assolate. “Paguec” richiama lontane sonorità hip hop, legate a doppia mandata a una base reagge, creando una piacevole miscela di suoni e atmosfere. “Adesso se puoi” è una traccia orecchiabile e ottimamente suonata, che mostra e regala una melodia molto gradevole. “U e TP” è una ballata molto gustosa e melodiosa. “Og e Yo” e “Waiting for my love” trascinano con un ritmo accattivante, mentre “Brucia” racconta la melodia con i fiati protagonisti e vivi, che sembrano ricordare le serate all’ombra della luna, bevendo birra e riflettendo sul cielo.  Il disco “Vida” è da ascoltare e da bere in un solo sorso. Nato da pulsioni ancestrali e costruito su sonorità reagge e melodie immortali, creando una musicalità che sa conquistare con naturalezza e semplicità. Gli Spasulati ci confermano che quando si segue la passione e il ritmo non si sbaglia mai.

Recensione “La sindrome dei panda” dei Violadimarte

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La musicalità espressa dai “Violadimarte” non arriva al primo ascolto. Bisogna lasciare che la musica entri lentamente, a piccoli passi. I testi sono ben costruiti e si sposano con melodie studiate e ottimamente suonate.

“Lacrime di vetro blu” è un bel pezzo, contemporaneo nella musica e nel testo, così come lo è “Alberi d’amianto”. In “Male di te” ci sono rock, ritmo e voglia di gridare. Da citare il pezzo “L’anestetico” che si presenta come una ballata soffusa e mistica. Il neologismo “Paragioia” è il titolo della canzone che ondeggia tra sentimenti contrastanti, imprevedibili e un testo complesso ma che si lascia ascoltare. “Madelaine” e “Il tempo non sente” sono ballate soffuse, immerse in una nuvola di fumo tiepido.

Il disco “La sindrome dei panda” contiene musica vera, suonata e interpretata con passione. Il rock e ballate intense sono il cuore di questo disco. Orecchiabile ma con testi profondi, aperto a brani più strumentali e ad altri più ricchi di parole. Il risultato è interessante. Le contaminazioni musicali sono molte e si svelano pezzo dopo pezzo, senza tuttavia condizionare lo stile finale dell’album. Tra chitarre elettriche, batterie indiavolate si snodano storie e atmosfere particolari, per creare una linea melodica attraente. Attendiamo i prossimi lavori di questa band.

Recensione concerto “Niente di importante” di Marco Masini 15 aprile 2012 @ Teatro Colosseo, Torino

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Marco Masini torna al Teatro Colosseo di Torino con uno spettacolo avvolgente che, come un viaggio tra note e parole, riesce a emozionare con storie e poesie in musica.

Entrando nel teatro non si può non constatare che il pubblico è composto da bambini, adolescenti, ragazzi e persone più mature. Tante generazioni e una sola voglia, quella di cantare le canzoni del cantautore toscano. Le immagini sul mega-screen e un eco lontano e ovattato di “Un piccolo Chopin” scandiscono il buio del palco. Le vibrazioni si fanno subito sentire quando Marco intona “Non ti amo più” e “Colpevole”, manifesti contemporanei del nuovo album “Niente di importante”, canzoni che legano il presente e il passato, che raccontano storie nuove e delicate. Poi inizia un viaggio che Marco ci racconta con “E ti amo”, “Cenerentola innamorata”, “Disperato” e “Il niente”. Nuovi arrangiamenti e le stesse sensazioni forti di un tempo. Il pubblico canta, si diverte, e diventa tutt’uno con l’artista e la band urlando “Caro babbo” e “Ci vorrebbe il mare”. Le interpretazioni sono toccanti. La scaletta prosegue con il pezzo che regala il nome al nuovo album, “Niente di importante” e ”L’amore si ricorda di te”. Gli arrangiamenti di “Cantano i ragazzi”, “Perché lo fai”, “T’innamorerai” tolgono il respiro. Masini accompagna i suoi fans con la sua voce graffiante in un mondo dove musica  e poesia si fondono e diventano tutt’uno con l’atmosfera che la sua musica crea. E quando si giunge al finale, la musica diventa ipnotica, come a ripercorrere i tempi passati che si rinnovano e rinascono pieni di vita. “Bella stronza”  e “Vaffanculo” regalano al pubblico la possibilità di urlare, gridare ed emozionarsi. La libertà di queste canzoni non conosce tempo, né confini, senza maschere e ipocrisie, ora come agli inizi del viaggio.

Gli intermezzi tratti da “Un Piccolo Chopin” e che scandiscono le diverse parti dello spettacolo si trasformano nel finale live della canzone, un’interpretazione vibrante, forte ed emozionante.

Dopo una piccola pausa la band rientra sul palco e Masini reinterpreta “Anna e Marco”, un tributo e un pensiero per Lucio Dalla. Quando lo spettacolo sembra volgere al termine con “L’uomo volante”, l’artista fiorentino regala un momento di autentica poesia, cantando la sua “Marco come me”, voce e pianoforte. Sensazioni che l’uomo Masini e l’Artista provano quando tutto finisce, quando le luci si spengono. Un bel concerto, momenti toccanti ed emozionanti.  Luci molto curate, arrangiamenti originali e poi le interpretazioni sempre impeccabili di Masini, insomma, tutto ciò che ci si può attendere da un artista che ha fatto e ancora fa la storia della musica italiana. Una voce che ha sempre fatto parlare di sé, nel bene e nel male, ma che mai ha fatto mancare pensieri, emozioni, sogni e storie a un pubblico che ama sentirsi vivo.

Recensione “Cu a capu vasciata” di Gianfranco De Franco”

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“Cu a capu vasciata”  di Gianfranco De Franco è un disco particolare. Contiene tracce che trasudano teatro, melodie armoniose e intermezzi poetici. Ogni pezzo è un viaggio, costruito con dovizia di particolari, intensità e trasporto. Non è facile rendere musica le parole, ma questo disco mostra un risultato importante. Nel teatro la musica è spesso una componente fondamentale, in grado di spiegare, di raccontare e di costruire atmosfere. Proprio queste caratteristiche sono riscontrabili in questo lavoro. “L’attesa spezzata” comunica sentimenti contrastanti, con un suono quasi straziante del sax e le parole ne rivelano l’entità profonda e il senso doloroso, ben spiegato anche nel libretto. “Pascalina e Vittoria” è una clessidra. Inesorabile. “Na matina” è uno spaccato di vita, una storia in musica, una bella colonna sonora. “Il si” è un racconto di un momento importante, condito con parole altrettanto toccanti che si specchiano nella musicalità che si muove come una trama oscura. “Ricordi” è un pezzo che sembra perdersi tra le sue stesse note, e in fondo è proprio ciò che racconta. Il senso anche in questo caso è ben spiegato tra le righe del libretto. Anche in “Sogno negato” di toccano temi difficili, duri. Ascoltando il disco viene indubbiamente voglia di vedere lo spettacolo dal quale queste musiche sono tratte. Tutto sembra creato per accompagnare chi ascolta e vede, seppur l’album sia audio, si riesce quasi a immaginare tutto quello che le note non possono regalare. “Volo infermo” chiude questo disco con una melodia tra agghiaccianti pensieri e involontari discorsi, metafore assuefatte dal tempo. Colori sfumati tra stelle che sembrano occhi persi nella nebbia. Un disco che contiene inquietudini, sensazioni contrastanti e dure da accettare. Da ascoltare, magari gustandosi l’opera teatrale che completa queste musiche.

Intervista a Celeste Gaia e recensione del suo album “Millimetro”

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Una voce soffice e ammaliante. Canzoni orecchiabili che, come fragili calici colmi di favole, conquistano gli ascoltatori. Questo è il cocktail che Celeste Gaia riesce a regalare con il suo primo album “Millimetro”. Si fondono ironia e melodia in tracce come “Io devo diventare una persona normale” e “Aspette”, sentimenti e abbandono in “Indirizzo nuovo” e la sognante “Biglia”, che sfociano nel sapore di favola in “Bianconiglio”. Come un jazz stravagante viaggiano “Hai ragione” e “Supermen”, con incedere divertente e spensierato. E come non citare la ormai famosissima “Carlo”, già ascoltata a SanRemo e in tutte le radio italiane, che ha la capacità di trascinare e fissarsi a doppia mandata nella memoria. Il genere che Celeste propone punta all’immediatezza di pezzi orecchiabili, ma che possiedono un’intelaiatura e una struttura musicale mai banale, con arrangiamenti studiati e puntuali. D’altro canto Celeste conosce molto bene la musica e con essa ha creato un ritratto di se stessa, timida e stravagante, ironica e raffinata. Dolce e affascinante, come si ascolta nella canzone che da il titolo all’album. “Millimetro” sembra infatti esprimere ciò che la cantautrice può ancora regalare, anche oltre le canzoni un po’ stralunate, giovani e fresche. Il primo album è un biglietto da visita importante ed esprime un potenziale che emerge e trasporta in un mondo incantato, a volte buffo, a volte alla ricerca degli occhi della gente, come nella traccia “Mi chiamo Alice”. Un mondo tra favola e realtà, tra i raggi di un sole che acceca. Come l’esplosione di una personalità certamente particolare, queste canzoni ci raccontano chi è Celeste. E non si può fare a meno di comprenderne sia la stranezza, sia la fragranza sincera e maliziosa spontaneità di una giovane cantautrice che ha appena intrapreso un viaggio tra le favole.

Celeste si è gentilmente concessa alle nostre domande che ci aiuteranno a entrare ancora di più nel suo mondo:

1 – Le tue canzoni sono semplici, raffinate e si percepisce l’attenzione per la musica. Quanto è importante la tua preparazione musicale nella creazione     dei tuoi pezzi? Hai degli artisti ai quali ti ispiri o li lasci trasportare dall’istinto dell’essere te stessa?

Quando scrivo viene fuori tutto quello che sono. Non penso a categorie o a generi, scrivo solo quello che sento e che sono felice di cantare, quello che mi rappresenta. Nella creazione musicale non so dire quanto sia importante la preparazione musicale.. Perché è un discorso diverso. Non ci sono regole o libri che ti spiegano come fare il cantautore. È una necessità che per ognuno è vissuta in modo differente.

2 – “Carlo” è un’entità desiderata e cercata quasi di nascosto, ma Celeste Gaia cosa cerca davvero nelle persone oltre gli sguardi?

Mi piacciono le persone che sanno ascoltare e capire. Quelle che mi fanno parlare ma che mi fanno anche stare in silenzio perché le parole a volte sono di troppo.

3 – Nelle tue canzoni racconti sentimenti puri e puliti, cantati con la una semplicità disarmante. La tua immagine sembra rappresentarti e calzarti a pennello come una dimensione fiabesca. Come ti immagini “da grande”?

Mmmm.. Da grande? Non ho un’idea precisa. L’unica cosa di cui sono sicura è che per me sarà un po’ inevitabile mantenere quella parte un po’ più scherzosa tipica dei bambini, perché mi aiuta a vedere tante cose del mondo senza pregiudizi e come se fosse un po’ la prima volta. Quella parte che mi fa venire voglia di scrivere.

4 –  L’ironia è una parte che ben si sposa con il tuo lato più profondo e in una delle canzoni canti “io devo diventare una persona normale”. Cos’è per te la normalità ?

Forse normale è ciò che sembra più giusto fare o essere in certi casi. Una categoria data un po’ dalle regole imposte della società e dal comune buon senso. Ma penso in realtà che alla fine non esista davvero.. O meglio penso che ognuno abbia la sua normalità, bisogna solo saperci convivere.


5 – La rete per te è stata molto importante, ritieni che l’esperimento “SanRemo Social” possa rappresentare il futuro della musica?

Internet è un mezzo fantastico perché offre grandissime opportunità per farsi conoscere. Abbatte molte barriere. Penso che in molti casi possa fare del bene alla musica. Non so se sarà il futuro della musica, per ora è un modo di diffusione molto vasto, ma sono ancora da vedere quali saranno le evoluzioni di questo grande canale che è la rete. Certo è che non potrà mai sostituire l’esperienza di vivere una performance musicale dal vivo come può essere un concerto.

6 – Il salto dalla musica classica a quella pop e orecchiabile è arduo e per molti “impossibile”, ma tu ci sei riuscita alla perfezione. E’ accaduto grazie al tuo dinamismo o c’è un filo che unisce tutta la musica?

Penso che ci sia un filo conduttore che unisce tutta la musica. Non l’ho mai vissuto come un distacco. Sono generi diversi è chiaro, ma fanno sempre parte di un flusso dinamico che continua a dialogare tra i vari modi di espressione musicale. Per me la situazione è più o meno cambiata quando ho iniziato a scrivere le mie canzoni e ho capito che nella vita avrei voluto continuare su quella strada.


7 – Ascoltando il tuo album “millimetro”, si scopre la dolcezza e la dimensione quasi irreale che si respira tra le tracce, come a disegnare un mondo tutto tuo ma nel quale hai lasciato entrare per un attimo chi ti ascolta. Che parole useresti per descrivere il tuo disco?

È un disco molto personale. L’ho chiamato Millimetro perché penso che le cose piccole sono quelle che fanno la differenza. Quindi è pieno di dettagli e di particolari. A volte anche solo una parola può farti sentire più tua la canzone, per questo ho cercato di non dare mai niente per scontato.


8 – Ci sveli quale sarà il tuo prossimo singolo?

Ehm.. Io vorrei, non vorrei.. Ma se volessi, non potrei comunque. Però appena lo saprò sarete tra i primi a saperlo, promesso!

Ringraziamo Celeste Gaia per disponibilità.

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Degrado e pregiudizio: la propaganda del nulla

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Stamattina ho aperto il giornale e ho letto del licenziamento di Emilio Fede che, dopo vent’anni, lascia il Tg 4. Più che interrogarmi (ancora) sulla qualità del suo telegiornale e sulle sue prese di posizione sulla politica (ma che in realtà pare sia il modo di operare di molti giornalisti, anche di altre parti politiche), mi sono fermato a pensare a come la società si sta trasformando. Con l’arrivo del governo tecnico sembra ci sia una corsa al “rinnovamento”, come se si volesse davvero mutare un certo modo di agire. Ma mi chiedo se sia un modo di pensare nuovo quello che preme per facilitare i licenziamenti e rendere i contratti a tempo indeterminato di fatto a tempo determinato dal datore di lavoro. Non metto in dubbio che spesso nel nostro paese esista un malcostume, ma credo che la cura non sia quella di agire sul rendere completamente instabile la vita della gente. Forse i paesi nordici riescono a interfacciare una correttezza e un’etica superiore alla nostra con l’abilità di vivere, ma forse la nostra mentalità ci impedisce di fare lo stesso. Tutto nasce da cosa per noi vuol dire lavorare. Per le vecchie generazioni era “portare a casa la pagnotta”, per quelle più nuove trovare soddisfazioni. Crescere. Proprio questo verbo è scritto e recitato nel telegiornali e nei discorsi dei politici, senza, però, spiegarne mai il significato. E ce ne sono molti. La crescita economica di un paese non sempre corrisponde a quella di un popolo. Il benessere è certamente legato alla quantità di “cose” che si possono acquistare con il proprio stipendio, ma anche alle possibilità di riuscire a fare ciò che si desidera. Molti vorrebbero creare una famiglia, altri fare carriera, ma il comune denominatore è che un paese non dovrebbe dimenticare questo aspetto, sacrificandolo sull’altare dello sviluppo dell’economia del paese. Il default di un paese non è solo una questione economica, ma sociale. Spesso le crepe iniziano a vedersi anni prima. Sappiamo tutti che la Grecia versa in cattive condizioni economiche da molti, molti, anni, e non è un fulmine a ciel sereno che ora possa trovarsi pesantemente in ritardo rispetto agli altri paese europei. Sappiamo anche bene qual è la nostra forza e quali sono le nostre ambizioni. Negli ultimi anni abbiamo visto mutare i desideri della gente e il sogno più grande è diventato diventare velina, partecipante di reality. Meteorina. Siamo stati storditi da una realtà finta e patinata che ci ha voluto insegnare cosa vuol dire vivere, e spesso ci abbiamo anche creduto, illudendoci che i festini potessero in qualche modo essere giusti per chi può permetterseli, che una donna che si concede per soldi, infondo non fa male. Nello stesso tempo abbiamo visto nascere pensieri contrastanti e forti, come quella di Roberto Saviano, che ci hanno fatto vedere l’altro lato della medaglia. In quel sistema che volevano venderci, c’era qualcosa di sbagliato. Quel qualcosa è diventato sempre più grande, anche se molti hanno cercato di dire, no, va tutto bene. E’ colpa di una certa parte che vuole rendere tutto sporco, sbagliato. Forse in fondo una verità c’è. Dobbiamo riappropriarci delle nostre ambizioni, cercare quelle vere. Dimostrare che si può ancora fare, anche se sappiamo che questa trasformazione di cui leggiamo sui giornali o vediamo in televisione è, in qualche modo, pilotata. Anche i politici si sono resi conto che le crepe nel nostro paese iniziavano a vedersi e hanno cercato questa soluzione per farci ancora illudere che tutto possa andar bene. Ma non è in loro che possiamo credere, ormai lo sappiamo, ma in noi stessi. E’ la storia che ci insegna che il potere fa di tutto per aggraziarsi i favori del popolo, non perché ne interessi il pensiero ma perché serve per governare. Un popolo che pensa è un paese che può prendere decisioni e ci sono diversi modi per controllarlo: uno è illuderlo di dargli ciò ci cui ha bisogno. Che non ci sia alcuna trasformazione nella mentalità italiana lo possiamo vedere dai teatrini della politica, nell’assoluta farsa che tutela ancora gli interessi di pochi. C’è ancora molto lavoro da fare e non bisogna più smettere di pensare a ciò che vogliamo davvero dalla vita e non a ciò che ci dicono sia necessario per essere “al top”. Spero davvero che la caduta di Fede sia un monito per rialzare la testa, ma so che questo è ciò che vogliono far credere. Lo penso perché a sostituirlo sarà l’attuale direttore di Studio Aperto, telegiornale non certo noto per l’approfondimento delle notizie, ma per la propaganda del nulla. Fede è stato soltanto una vittima predestinata del sistema (solo per ora).

Il silenzio e il fuoco

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Ho socchiuso la porta per non sentire ancora rumore. Avevo bisogno di guardarmi dentro e capire cosa era rimasto di tutti quei sogni, quelle speranze. Quelle illusioni. Mi sono fermato davanti a una mia immagine riflessa nello specchio e mi sono visto diverso, spento. Quando mi guardo intorno vedo e sento la resa incondizionata di una generazione. Quando guardo dentro i miei occhi la sento crescere, inarrestabile. Se ripenso al passato, so di aver lottato contro tutto, tutti e soprattutto contro me stesso, perché nulla avesse la meglio sulla volontà di resistere. Bella parola “resistere”, ma resistere a cosa. A chi? Ci sono giorni in cui tutto sembra impossibile e altri in cui è impossibile. Il dovere di chi scrive è continuare ad alimentare la fiamma, soprattutto quando intorno inizia a soffiare un vento di tempesta e il cielo diventa improvvisamente scuro. Questo è il messaggio che stanotte mi va di comunicare: fino all’ultimo respiro.

Quando mi sentirai in silenzio, non temere. Sarò lontano a cercare ancora legna da ardere, perché quel fuoco non si spenga mai.

Foto candela: Simona Vacchieri