Tre gradini

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Tre gradini. Erano quelli che dovevo salire per raggiungere il primo palco. Tre interminabili gradini. Poi bisognava guardare in faccia le persone sedute in platea. Secondi che potevano raccontare una vita intera. Le prime note della base e un’esplosione di adrenalina, pochi istanti prima di dover cantare il primo verso. Quell’incertezza nel chiedersi ne sarò capace? Sbaglierò? Mi ricorderò tutto? Quello che non sapevo è che stava nascendo la voglia di raccontare la mia vita su quelle note e che non era una questione di ricordare o meno, ma si coraggio. Perché quando ti racconti, ti giudicano. Ti scrutano. E inevitabilmente qualcuno si sentirà in diritto di dirti come va la vita. Ma in quel momento sei già oltre. Da quei tre gradini non si può più tornare indietro.

Proprio adesso.

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Mi trema la voce. É così semplice rompere una melodia. Tra una nota sbagliata e un tempo imperfetto ci passa un solo attimo, o il senso della vita stessa. Un verso, poi un altro. Non può arrivare proprio adesso, poco prima del ritornello. Ma la voce torna a salire, le note vanno al posto giusto. L’emozione, quando arriva, sa sempre dove andare.