Quando tutto è cambiato

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11 settembre 2001.
Ricordo ancora il momento esatto in cui il telegiornale ha mostrato le immagini del primo aereo che si schiantava contro la torre.
Ieri sera rivedevo quelle stesse immagini in documentario dell’evento e non riesco ancora oggi a immaginare che sia davvero accaduto, nemmeno essendo andato sul posto e aver visto gli immensi buchi rimasti, diventati poi monumenti. E poi penso che da quello stesso momento il mondo è cambiato. Una sequenza di eventi ci hanno condotti fino alla situazione storica attuale, attraversando scenari orribili, riportando le lancette della storia a decenni prima. Come una tremenda macchina del tempo, sembra non riuscire più a riportarci a quella vaga e inconsapevole serenità e soprattutto alla consapelezza di un attimo prima dello schianto. Gli equilibri persi, non sono mai stati davvero ritrovati, in un mondo che cerca il suo sviluppo, ma alimenta i proprio conflitti. Che cerca di emanciparsi, ma resta fermo nelle idee di contrapposizione, per l’ansia di potere, forse, o di fermare un tempo, per sua natura ciclico. E poi ci siamo noi, un’umanità spesso cinica ed egoista, spaventata e opportunista, arrabbiata e rassegnata. Il crollo delle torri ha rimesso in evidenza tutto questo, quegli equilibri nascevano da un’illusione, che le guerre non ci fossero più. Ma non era vero. Quella serenità e quella consapevolezza erano finzione. Quelle guerre erano solo altrove.

Il mondo al contrario.

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I social sono un posto strano. Su qualsiasi piattaforma è l’apoteosi di tesi contrapposte, spesso senza alcun fondamento, mosse dalle varie propagande, le quali hanno ben altri interessi rispetto a quelle immaginate dagli utenti che giornalmente si autoprofilano, salvo inveire contro i “poteri forti”. Andando ad approfondire le tipologie di commenti è facile identificare i vari soggetti e collocarlo nelle rispettive aree di influenza. Ben inteso, in questo fenomeno ci siamo dentro tutti, più o meno consapevolmente. Il più o meno, tuttavia, influenza l’opinione pubblica, come è legittimo che sia. C’è un problema di fonti, le informazioni quasi sempre giungono da giornalisti che risentono a loro volta di questo sistema, rendendo sempre più complicato farsi idee proprie, basate su una lucidità, che rischia di scomparire del tutto. Qualcuno disse che il mondo è al contrario. Ed è vero. Rischiamo di andare verso un mondo in cui l’ignoranza, che tutti possediamo, risulterà un valore aggiunto. In un mondo in cui i social non possono, e probabilmente non devono, essere evitati bisogna imparare a convivere con questa pericolosa realtà.

Io sono

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Io sono una donna.
Mi batto da sempre.
Contro il ragazzo che amavo,
che mi vedeva come un amico.
Gli sguardi storti.
Le smorfie.
Gli insulti all’uscita della scuola.
È lì che ho dato il primo pugno.
Poi, ho trovato la forza.
Di fermare le lacrime.
Sono diventata i miei pugni.
I miei pugni, il mio sogno.
Mi hanno visitata.
Controllata.
Analizzata.
Giudicata.
Umiliata.
Ma i miei pugni sono più forti.
Amo ancora quel ragazzo,
che oggi è un uomo,
sposato con una donna.
Lei, una vera donna.
Lui, un vero uomo.
Ma cos’è la verità?
La verità è che vince chi è più forte.
Ma io mi sento fragile.
E non importa a nessuno.

Il paradosso di Sinner

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Il paradosso di Sinner.
Un contrasto al modello di una società improntata al tutto subito. Al successo al prezzo del discount.
Il prezzo del successo che può svanire alla prima sconfitta. Quello che non si vede è una vita sacrificata agli allenamenti, al misurare ogni eccesso sull’alimentazione. Al controllare le emozioni. Perché per raggiungere traguardi così importanti il successo e soprattutto la popolarità non possono che di diventare un ostacolo al migliorarsi ancora. Per chi il vertice è un coronamento di una carriera, ma anche il portale per un’era nuova, che presenta nuove prospettive. Ma di questo conflitto non ne parlerà nessuno. Delle paure di fermarsi, di perdere un giorno quel primo posto. Per chi oggi, mi piacerebbe sapere quali sono i sentimenti di Jjokovic, di chi ha cercato fino all’ultimo di combattere anche l’età stessa per non fermarsi. Perché forse queste storie hanno tutte un comun denominatore: non mollare mai. Nemmeno quando le luci man mano si spengono. Anche quando i bambini sostituiscono il tuo poster con quello del nuovo idolo. Quando rimani solo davanti allo specchio. Quando è a te stesso che devi spiegare che bisogna cambiare pagina. Quante volte ci capita di non voler accettare che una parte della nostra vita si è chiusa e che bisogna iniziarne un’altra. E magaru accade proprio nel momento in cui quel primo posto viene raggiunto. Come un ironico paradosso, in quello istante diventa più chiaro che non bisogna mollare mai.

Giornata Mondiale dell’Ambiente?

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Giornata Mondiale dell’Ambiente. E si potrebbero dire tante cose. Invece a me viene in mente solo l’immagine dei tre ragazzi bloccati nell’alveo del fiume Natisone. Immagine che mi arriva perché un tizio filmava, commentava e derideva i ragazzi in difficoltà, senza muovere un dito per aiutarli. In queste ore è “caccia al colpevole”, come sempre accade in questi casi. Ma la domanda è: se i colpevoli fossimo proprio noi, tutti? In questa situazione vigeva un allerta meteo gialla e il corso d’acqua ha un regime torrentizio, quindi con tempi di corrivazione relativamente brevi (ovvero il tempo “che ci mette la piena ad arrivare in un punto”). La seconda domanda è: quanto siamo a conoscenza di questi dati quando ci avviciniamo a un corso d’acqua? Chi ci comunica questi dati? Consultate costantemente questi dati? Molto probabilmente la risposta è no. Probabilmente ci manca una cultura della prevenzione dai rischi, mentre siamo molto bravi nella gestione delle emergenze. Una cultura della prevenzione riguarda la conoscenza di un territorio e la capacità di ridurre i rischi di chi frequenta territori che non conosciuti, come sembra essere accaduto a questi ragazzi. Affrontate adesso il tema delle tempistiche tra telefonata e intervento dei Vigili del Fuoco è un modo per non affrontare il vero problema. Conoscere il territorio e comunicarne i rischi. Se la tecnologia deve servire solo per fare video di derisione dei vulnerabili dalla sponda di un fiume, per poi postarlo sui social è inutile. Oltre che diventare solo uno strumento per amplificare l’imbecillitá.

Un’idea di futuro

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A volte mi chiedono, “cosa consigli di votare” alle prossime elezioni. Una domanda difficile, a cui rispondo tendenzialmente in modo evasivo. Questo perché penso che ognuno dovrebbe costruire un proprio pensiero. La mia generazione è nata col vinile, vissuta con le cassette nei walkman, diventata adulta con i cd e ora vive un mondo ormai completamente digitale. Allo stesso tempo abbiamo visto diventare la politica da istituzionale e spesso compassata a giocoso trasformismo senza più alcun punto di riferimento. Come se i social avessero lavato via i pensieri. Si discute spesso di fascismo, comunismo, ma la verità è che stiamo dimenticando il passato e non siamo più in grado di analizzare il presente. Questo fa si che si faccia di tutto per non pensare al futuro. A me interessa poco chi voterà ognuno di voi, personalmente non mi spaventano le idee diverse dalle mie, mi spaventa però che tutto possa risultare uguale. Il rischio della politica di oggi è non riuscire più a proporre un’idea di futuro, ma consigliare il voto di uno o dell’altro, come se fosse l’acquisto di un detersivo, piuttosto che un altro. Viviamo in tempi difficili, mai come ora penso che ci voglia coesione tra interessi comuni e penso a un’Europa che possa e debba davvero diventare adulta. Penso che il nazionalismo estremizzato sia un errore, così come credere che i dittatori in giro per il mondo possano essere fonte di ammirazione. Credo che parlare sia fin troppo facile. Penso che in un mondo imperfetto, per ambire alla pace, più che le bandire, serva la forza per poterla raggiungere. La forza vuol dire tante cose, un’efficace diplomazia non può che avere alla base una struttura con i piedi ben piantati a terra. La forza vuole dire votare, ma non solo, vuol dire esprimere quale mondo vogliamo costruire. Per cui, nessun consiglio su cosa votare, ognuno provi ad ascoltare, a capire, poi, a immaginare se ciò che sentono possa ispirare o meno la propria idea di futuro.

Siamo tutti colpevoli

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Io non ti conoscevo.
Oggi conosco solo il tuo nome.
Eppure, vorrei chiederti scusa.
A nome degli uomini.
Capaci anche della bestialità che ti ha uccisa.
Della vigliaccheria.
Dell’infamia.
Vorrei chiederti scusa per non essere stati capaci di abbandonare una cultura malata, che vuole la donna come una proprietà.
Per essere fragili, impotenti di fronte a emozioni che ci rendono piccoli. Trascurabili, ridicoli.
Giulia, io me ne vergogno.
Mi vergogno di far parte di un genere che tra le sue fila espone mostri, spesso cullati e compatiti dalle proprie famiglie. Che usano la violenza, il proprio fallimento, come loro unica capacità.
Sarebbe troppo facile prendere le distanze. Ma quel genere comprende anche me. È un genere che, oggi più che mai, mi fa schifo.
Ti chiedo scusa. La frase rituale di tutti quelli che picchiano la propria compagna, per poi rifarlo ancora.
No, non posso nemmeno chiederti scusa.
Oggi non possono esserci scuse.
Oggi siamo tutti colpevoli.

L’idiozia della strategia del terrore

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La portavoce di Putin, Zacharova, afferma che gli europei sono affetti da idiozia.
Personalmente provo quasi un moto di orgoglio nell’essere definito come tale dalla portavoce di uno Stato che usa la strategia del terrore per vincere una guerra che nemmeno ha il coraggio di chiamare con il proprio nome.
Condivido la definizione associata alla Russia di Stato che sponsorizza il terrorismo, perché bombardare civili rappresenta la forma più vergognosa e becera di terrorismo.
Con la stessa sicurezza penso di essere dispiaciuto per il popolo russo, che non merita quella definizione per colpa di un pazzo qualche altro pupazzo al potere.
Dal medesimo punto di vista penso che gli amanti di Putin stiano rasentando il ridicolo.
Perché lo penso anche io che serva dialogo, mediazione e trovare un accordo. Non stiamo parlando di illuminati pensatori, ma di soggetti che sottovalutano un tema fondamentale: la Russia sta bombardando civili in un paese libero, che per quanto ne so potrebbe pure essere il nostro.
Dialogo, mediazione e accordo possono arrivare solo a una condizione: che la Russia torni sui suoi propri passi e abbandono questa vergognosa e becera strategia del terrore per provare a vincere la sua guerra.
Perché si chiama cosi: guerra.

Ph: fonte web

Trump è tornato

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L’account Twitter di Trump è tornato attivo, grazie alla nuova linea editoriale di Elon Musk, ora a capo del social.
È giusto che ognuno possa esprimere il proprio pensiero?
Sì, certo.
È giusto anche quando questo può provocare disordini mondiali e attacchi violenti a una sede di governo?
Dipende.

Dipende, perché in un sistema libero dovrebbe essere concesso mettere in discussione l’equilibrio del mondo “democratico”, quello costruito da un sistema e che in un thriller chiamerei Nuovo Ordine Mondiale.

Una cosa è certa, il sistema del mondo “democratico” ha già mostrato diverse falle, che si sono concretizzate in conflitti lontani, ma che poi sono diventati sempre più vicini. Fino a toccarci davvero troppo da vicino.

E ora abbiamo tutti un po’ più paura.

Il sistema costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale è in crisi.
Il futuro è sempre più a rischio.

Ma torniamo alle domande principali:
È giusto che ognuno possa esprimere il proprio pensiero?
Sì, certo.

È giusto anche quando questo può provocare disordini mondiali e attacchi violenti a una sede di governo?

Sì, in fondo è giusto.
Perché la responsabilità di creare i disordini è anche nostra.

La capacità di comprendere è anche nostra.

Nessuno di noi ha bisogno di leader che urla qualcosa da un palco.

Noi abbiamo bisogno di comprendere.

Quindi, sì, che Trump parli, che chiunque parli.

Noi saremo comunque qui a scrivere, leggere e a contestare, se servirà.

Perché la democrazia è anche questo.

Foto: web

Dimenticarsi dei rischi

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Continuo a pensare che una pandemia mondiale non potesse che essere affrontata con le misure che sono state applicate in questi anni. E che per mitigare i rischi del contagio, ma soprattutto degli effetti del virus, siano necessari dei vaccini.
Lo dico adesso, perché é troppo comodo smontare, piuttosto che costruire un sistema.
Perché é troppo semplice perculare chi oggi si mette la mascherina anche se non è più obbligatoria.
Perché é quasi comprensibile che qualcuno dica “vivo qui da quindici anni e il fiume non è mai esondato”, a fronte di studi idraulici che invece dimostrano che potrebbe succedere, eccome.
Perché già ci stiamo dimenticando tutto.
Non penso che il problema sia dire o meno che tutto sia stato fatto nel modo perfetto.
Sicuramente si poteva far meglio.
Sicuramente si poteva fare qualcosa di diverso.
Ma ciò che non si dovrebbe fare è negare che fosse necessario.
Così come non si dovrebbe smettere di pianificare e progettare ogni tipo di emergenza, al fine di non farsi trovare impreparati.
Cosa che è accaduta con la pandemia, quando invece la ricerca diceva che poteva verificarsi quel tipo di fenomeno
Quello che non si dovrebbe pensare è che uno slogan possa difenderci dai rischi e dalle paure.
Gli slogan sono parole, ma i fatti sono un’altra cosa