Il vuoto dentro era incolmabile – #Luna #Ep5

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Il vuoto dentro era incolmabile, andava ben oltre quella sensazione di sporco che sentiva addosso. La paura ha un colore impalpabile e lei a questo non era abituata. Le avevano insegnato a combattere, a graffiare, se era il caso. Ma qualche passo fuori dall’ospedale, si era da subito sentita sola. E aveva giurato a se stessa che non lo avrebbe raccontato a nessuno. Avrebbe superato quel momento da sola. Aveva una cosa importante da fare e un volo già prenotato. Non sarebbe mancata per nessun motivo al mondo.
Non si supera un dramma in quel modo, penserà il lettore. E ha ragione. Perché questo non sarebbe stato che l’inizio. Le lacrime iniziarono a scendere qualche ora, in cosa al gate per l’imbarco. L’ennesino tentativo del suo ex ragazzo. Quel figlio di puttana che l’aveva abbandonata. Quel figlio di puttana che conosceva la barista che le aveva servito quel drink che l’aveva stordita. Ma questo lei non può saperlo. Si sedette al suo posto, vista finestrino. Chiuse gli occhi quando l’aereo prese quota. Dopo poche ore avrebbe rivisto suo nonno. Stava male da tempo e dentro di se sapeva che sarebbe stata l’ultima. Lui le avrebbe saputo sicuramente dare il consiglio. Se ancora si fosse ricordato di lei. Siamo petali di una rosa, che avrà troppo poco tempo per splendere. Al suo cospetto si sentiva sempre quella piccola ragazzina che lo guardava in attesa che le desse qualche spicciolo per comprarsi un ghiacciolo. In modo quasi meccanico prese il cellulare che continuava a vibrare nella borsa. Un numero sconosciuto. Pochi squilli, non fece in tempo a rispondere.
“Vieni, devo mostrarti una cosa” le disse il nonno. Lei lo seguì, colpita dalla lucidità che sembrava avergli ridato il carattere di un tempo.
L’uomo la guidò nella stanza in cui lei aveva trascorso intere estati quando era piccola.
“Tieni”, le disse.
Luna prese la lettera che il nonno le aveva daro.
“Aprila. Voglio che tu lo faccia prima che il mio cervello torni nella nebbia.”
Luna la aprì e iniziò a leggerla. Una lacrima scese sul suo viso.
Nel frattempo il cellulare ricominciò a vibrare.

#Luna #Ep5
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Text by Daniele Mosca

La ragazza dei ricordi – #Luna #Ep4

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Alberto era immerso nei suoi pensieri, trascinato lungo la battigia dal suo cane, un pastore tedesco, Tobi, a cui era molto affezionato. Tra pochi giorni avrebbe sostenuto un importante colloquio per una società di import export. Sentì all’improvviso un suono, a intervalli coperto dal rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia. Riuscì a malapena a sostenere la spinta del guinzaglio, portato da Tobi verso la barca arenata sulla sabbia. Man mano il suono aumentava sempre di più. Sembrava il suono di un pianto. Una volta sbucato dall’altro lato della barca vide una donna in lacrime, con soltanto pochi brandelli di vestito addosso. Sul corpo aveva delle macchie di sangue. Dopo qualche attimo di sbigottimento aveva chiamato i soccorsi, nel frattempo aveva cercato di chiedere alla ragazza cosa fosse successo. Lei però continuava a piangere e a ripetere ossessivamente è “colpa mia”.
Luna ricordava poco di quei momenti e quel poco non riusciva a raccontarlo alle dottoresse che si alternavano a visitarla nella stanza dell’ospedale. Dentro di lei sentiva di essere stata la causa. Nonostante le ripetessero che non fosse stata colpa sua, sapeva di essere stata ingenua nel seguire quell’uomo che all’apparenza sembrava tranquillo. Qualcosa in lei non aveva funzionato, aveva percepito da subito il suo piglio di prepotenza, ma non ci aveva dato troppo peso. Aveva pensato a un gioco erotico, anzi l’idea l’aveva stuzzicata. Pensava all’alcool, che potesse averle fatto male. Eppure non le era mai successo che un bicchiere le facesse perdere il controllo. Prese il cellulare che qualcuno aveva recuperato dalla spiaggia. L’ultima chiamata era avvenuta la sera prima, proprio nel momento in cui la violenza stava avvenendo. Era il suo ex ragazzo. Trattenne l’impeto di gettare il telefono contro il muro. In quel momento la porta della stanza si aprì. Era una ragazza che non riconobbe immediatamente. Era la barista che le aveva servito il drink. Notò subito una strana espressione sul viso, ma non riusciva a interpretarla. La vide avvicinarsi senza dire una parola. Una parte di lei avrebbe voluto urlare, l’altra rimaneva bloccata. Non era in grado nemmeno di spostare la mano per suonare il campanello di richiamo per il personale dell’ospedale.
Ma la porta si aprì improvvisamente.
“Scusate” pronunciò sommessamente Alberto.
Luna vide la ragazza svanire in pochi secondi, senza proferire alcuna parola. Ma il ricordo che tornò alla mente fu lo sguardo di quella ragazza quando al bar aveva notato l’uomo che l’aveva stuprata. In quel momento iniziò ad avere davvero paura.

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Text by Daniele Mosca
#Luna #Ep4

Luna si è persa – #Luna #Ep3

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Il cellulare continuava a vibrare sulla sabbia. Un suono leggero che si perdeva con il suono delle onde che si infrangono sul bagna asciuga. Poco più lontano dei vestiti gettati in terra. Il riflesso della luna rendeva irreale la superficie della spiaggia. In lontananza, una sagoma di un uomo si allontanava verso la strada principale. Qualche suono proveniva dal locale che si affacciava sulla spiaggia, pochi addetti si preparavano alla chiusa. Poche ore di sonno prima di riprendere per l’alba, ormai imminente. Luna cercava di respirare, di emettere un qualsiasi suono per chiedere aiuto. Ammesso che qualcuno potesse davvero sentirla. Non riusciva a muoversi. Tutto era accaduto troppo in fretta. Un drink nel locale, una passeggiata sulla spiaggia e poi quell’uomo era diventato un diavolo. L’uomo l’aveva trascinata dietro a una barca da pesca adagiata sulla sabbia e le aveva strappato i vestiti di dosso. Aveva soffocato le sue urla. Nel più assurdo dei cliché si era consumata una violenza inaspettata, non per quella donna che aveva capito tutto e non aveva mosso un dito. Non per quella barista che conosceva benissimo quell’uomo e che poche ore prime aveva servito il drink a Luna. E che ora rispondeva a una chiamata che proveniva dallo stesso numero che pochi istanti prima era comparso sul cellulare di Luna e al quale lei non era riuscita a rispondere.
“Come è andata?” aveva risposto la voce dell’altro capo del telefono.
“Non poteva andare meglio.”
“Perfetto. Lui parlerà?”
“Non parlerà, ma lo farà ancora.”

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Text by Daniele Mosca #3 #Luna

La brezza della sera è traditrice – #Luna #Ep2

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Luna muoveva i passi sulla sabbia fresca della sera. Le luci di un’estate imminente la facevano stare meglio. La brezza della sera, però, è traditrice. Fa ripensare, riflettere. Pentirsi. L’immagine nella sua mente era ancora nitidia. Non riusciva a lasciarla svanire. Il suo ex ragazzo, l’amore di una vita, il sogno di un futuro imminente, e lei, la sua migliore amica, uniti in un bacio che le era comparso all’improvviso in una via dimenticata della sua città. Le scuse di lui. Le scuse di lei. La vergogna. Entrò in un locale, aveva bisogno di bere qualcosa. Qualsiasi cosa. Si avvicinò al bancone e ordinò una birra fresca.
Si sentì attratta da un richiamo silenzioso. Si voltò e incrociò gli occhi scuri di un uomo. Non riusciva a identificarne l’età. Cliché, pensò. Anche questo. Ultimamente la sua vita ne sembrava immersa. Nei cliché, appunto. “Come ti chiami” disse lui. Non era una vera e propria domanda. Sembrava più un ordine. “Luna”, rispose di getto. Inconsapevole, forse, di aver prontamente risposto a quel velato ordine. Dentro di lei sentì salire una forma di calore mista a imbarazzo. In quel momento senti vibrare il cellulare. Pensò che si trattasse per l’ennesima volta del suo ex che provava a costruire un altro castello di carte false.
“Ti va di fare due passi?” chiese lui. Lei non lo vide. Forse il lettore ci avrà fatto caso, lei no. Lo sguardo inquieto e allarmato della barista.

#Luna #Ep2

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Text by Daniele Mosca

Un cliché – #Luna #Ep1

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L’amarezza, talvolta, fa vedere le cose con più chiarezza. Luna se lo ripeteva tra sé e sé, distratta dalla vibrazione del telefono che teneva nella borsa. Lo aveva pensato la prima volta quando il suo ormai ex ragazzo l’aveva tradita con la sua migliore amica. Un cliché. Ma da quel momento in poi si era sentita lei stessa un cliché. Una figura ordinaria che in qualsiasi spettacolo avrebbe ricoperto solo il ruolo della comparsa. Prima o poi avrebbe prenotato una visita da un terapeuta che le svelasse ciò che lei sapeva benissimo. Che era frustrata, nervosa, vittima delle angherie dei suoi genitori che avevano riposto in lei tonnellate di speranze. Ma lei non era diventata un famoso medico come suo padre, nemmeno una grande attrice come sua madre. Era rimasta lì in mezzo, con un lavoro ordinario, una pettinatura ordinaria, un modo di pensare ordinario. Luna, però, aveva imparato a vivere. A lasciarsi alle spalle quei dispiaceri pur senza volerli davvero rimuovere, analizzare, comprendere, superare. E questo semplicemente perché i nostri errori, le nostre paure, le nostre frustrazioni, in fondo fanno parte di noi. Ci siamo abituati che tutto può essere corretto. Uno zigomo, una voce, una pancia troppo gonfia, persino un carattere. Ma lei si sentiva comunque completa, nonostante gli sguardi di commiserazione di chi non la reputava all’altezza degli standard. E poi l’amarezza è un concetto astratto, che sí, a volte fa male, ma permette di maturare, di guardare le cose con una diversa prospettiva. Se lei non avesse sbagliato e quindi imparato, non l’avrebbe mai provata sulla sua pelle. E non avrebbe avuto il coraggio di vedere le cose con la chiarezza necessaria. Proprio ora che sul cellulare lampeggiava il nome del suo ex. Proprio ora che stava decidendo di interrompere la chiamata, bloccare il numero e di trascorrere un bel weekend al mare. Da sola. Un cliché.

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Text by Daniele