Il paradosso di Sinner

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Il paradosso di Sinner.
Un contrasto al modello di una società improntata al tutto subito. Al successo al prezzo del discount.
Il prezzo del successo che può svanire alla prima sconfitta. Quello che non si vede è una vita sacrificata agli allenamenti, al misurare ogni eccesso sull’alimentazione. Al controllare le emozioni. Perché per raggiungere traguardi così importanti il successo e soprattutto la popolarità non possono che di diventare un ostacolo al migliorarsi ancora. Per chi il vertice è un coronamento di una carriera, ma anche il portale per un’era nuova, che presenta nuove prospettive. Ma di questo conflitto non ne parlerà nessuno. Delle paure di fermarsi, di perdere un giorno quel primo posto. Per chi oggi, mi piacerebbe sapere quali sono i sentimenti di Jjokovic, di chi ha cercato fino all’ultimo di combattere anche l’età stessa per non fermarsi. Perché forse queste storie hanno tutte un comun denominatore: non mollare mai. Nemmeno quando le luci man mano si spengono. Anche quando i bambini sostituiscono il tuo poster con quello del nuovo idolo. Quando rimani solo davanti allo specchio. Quando è a te stesso che devi spiegare che bisogna cambiare pagina. Quante volte ci capita di non voler accettare che una parte della nostra vita si è chiusa e che bisogna iniziarne un’altra. E magaru accade proprio nel momento in cui quel primo posto viene raggiunto. Come un ironico paradosso, in quello istante diventa più chiaro che non bisogna mollare mai.

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Giornata Mondiale dell’Ambiente. E si potrebbero dire tante cose. Invece a me viene in mente solo l’immagine dei tre ragazzi bloccati nell’alveo del fiume Natisone. Immagine che mi arriva perché un tizio filmava, commentava e derideva i ragazzi in difficoltà, senza muovere un dito per aiutarli. In queste ore è “caccia al colpevole”, come sempre accade in questi casi. Ma la domanda è: se i colpevoli fossimo proprio noi, tutti? In questa situazione vigeva un allerta meteo gialla e il corso d’acqua ha un regime torrentizio, quindi con tempi di corrivazione relativamente brevi (ovvero il tempo “che ci mette la piena ad arrivare in un punto”). La seconda domanda è: quanto siamo a conoscenza di questi dati quando ci avviciniamo a un corso d’acqua? Chi ci comunica questi dati? Consultate costantemente questi dati? Molto probabilmente la risposta è no. Probabilmente ci manca una cultura della prevenzione dai rischi, mentre siamo molto bravi nella gestione delle emergenze. Una cultura della prevenzione riguarda la conoscenza di un territorio e la capacità di ridurre i rischi di chi frequenta territori che non conosciuti, come sembra essere accaduto a questi ragazzi. Affrontate adesso il tema delle tempistiche tra telefonata e intervento dei Vigili del Fuoco è un modo per non affrontare il vero problema. Conoscere il territorio e comunicarne i rischi. Se la tecnologia deve servire solo per fare video di derisione dei vulnerabili dalla sponda di un fiume, per poi postarlo sui social è inutile. Oltre che diventare solo uno strumento per amplificare l’imbecillitá.

Un’idea di futuro

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A volte mi chiedono, “cosa consigli di votare” alle prossime elezioni. Una domanda difficile, a cui rispondo tendenzialmente in modo evasivo. Questo perché penso che ognuno dovrebbe costruire un proprio pensiero. La mia generazione è nata col vinile, vissuta con le cassette nei walkman, diventata adulta con i cd e ora vive un mondo ormai completamente digitale. Allo stesso tempo abbiamo visto diventare la politica da istituzionale e spesso compassata a giocoso trasformismo senza più alcun punto di riferimento. Come se i social avessero lavato via i pensieri. Si discute spesso di fascismo, comunismo, ma la verità è che stiamo dimenticando il passato e non siamo più in grado di analizzare il presente. Questo fa si che si faccia di tutto per non pensare al futuro. A me interessa poco chi voterà ognuno di voi, personalmente non mi spaventano le idee diverse dalle mie, mi spaventa però che tutto possa risultare uguale. Il rischio della politica di oggi è non riuscire più a proporre un’idea di futuro, ma consigliare il voto di uno o dell’altro, come se fosse l’acquisto di un detersivo, piuttosto che un altro. Viviamo in tempi difficili, mai come ora penso che ci voglia coesione tra interessi comuni e penso a un’Europa che possa e debba davvero diventare adulta. Penso che il nazionalismo estremizzato sia un errore, così come credere che i dittatori in giro per il mondo possano essere fonte di ammirazione. Credo che parlare sia fin troppo facile. Penso che in un mondo imperfetto, per ambire alla pace, più che le bandire, serva la forza per poterla raggiungere. La forza vuol dire tante cose, un’efficace diplomazia non può che avere alla base una struttura con i piedi ben piantati a terra. La forza vuole dire votare, ma non solo, vuol dire esprimere quale mondo vogliamo costruire. Per cui, nessun consiglio su cosa votare, ognuno provi ad ascoltare, a capire, poi, a immaginare se ciò che sentono possa ispirare o meno la propria idea di futuro.

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Il sibilo di un mondo distante.
Case vuote.
Sventrate.
Una bambola abbandonata.
E poi, polvere e ancora polvere.
Un giorno tornerà la vita.
Un giorno.
Fragori lontani.

Dove siamo rimasti?

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Dov’eravamo rimasti? Parlano di terze guerre mondiali con il Mojito in mano, di diritti mentre ridono dei loro amici, di business mentre svendono i sogni degli altri. Il mondo continua a girare e a darci l’illusione di contare davvero qualcosa, ora che le parole corrono più veloci dei proiettili, aver qualcosa da dire è un difetto. Si dicono folli e affamati, ma la fama ha un prezzo che nessuno è in grado di pagare. É perdersi. E quanto volte mi è successo, quando sapevo che il mio unico quartier generale era mio walkman. Quando le urla sovrastavano ogni pensiero di guardare oltre le mura, che mi facevano sentire sempre un po’ di meno. Quando sono tornate le parole ho sentito il vento poco prima della tempesta. Ora so che non è importante che qualcuno ti ascolti, ma che ti possa sentire davvero tu. Siamo rimasti qui, a osservare in silenzio chi urla di pace, mentre spara alla sua stessa immagine, riflessa allo specchio, come ex Miss Italia alla ricerca di un posto in un talent.

Siamo tutti colpevoli

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Io non ti conoscevo.
Oggi conosco solo il tuo nome.
Eppure, vorrei chiederti scusa.
A nome degli uomini.
Capaci anche della bestialità che ti ha uccisa.
Della vigliaccheria.
Dell’infamia.
Vorrei chiederti scusa per non essere stati capaci di abbandonare una cultura malata, che vuole la donna come una proprietà.
Per essere fragili, impotenti di fronte a emozioni che ci rendono piccoli. Trascurabili, ridicoli.
Giulia, io me ne vergogno.
Mi vergogno di far parte di un genere che tra le sue fila espone mostri, spesso cullati e compatiti dalle proprie famiglie. Che usano la violenza, il proprio fallimento, come loro unica capacità.
Sarebbe troppo facile prendere le distanze. Ma quel genere comprende anche me. È un genere che, oggi più che mai, mi fa schifo.
Ti chiedo scusa. La frase rituale di tutti quelli che picchiano la propria compagna, per poi rifarlo ancora.
No, non posso nemmeno chiederti scusa.
Oggi non possono esserci scuse.
Oggi siamo tutti colpevoli.

Esce #LaRispostaénelNome

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Oggi esce #LaRispostaénelNome.


Scrivere questo romanzo è stato per me molto difficile.

Un po’ perché si tratta di una storia molto più intensa e sofferta rispetto alle mie precedenti, un po’ perché ho dovuto scriverla e riscriverla, affinché potesse essere raggiunto il giusto equilibrio tra l’amore e il dolore, tra i diversi sentimenti che questa trama voleva e vuole trasmettere.
Non so dire se io ci sia riuscito o meno, questo spetta ai lettori dirlo.


Perché questa storia non è più mia, ma vostra.
Anzi, nostra.


Perché nella storia di Lorenzo c’è un po’ la storia di tutti noi.


Nelle nostre cadute e nel nostro rialzarci.


Poi, ci sono tutti gli altri, quelli che si siedono sui spalti. Quelli che noi dobbiamo ogni giorno fare ridere o piangere.
Consapevoli che poi, in camerino, davanti allo specchio, rimarremo solo noi a raccontarci se sia stato un successo, oppure l’ennesimo fallimento.


Senza alcun trucco.

Consapevoli che, comunque sarà andata, sul palco ci risaliremo ancora.


Perché noi siamo fatti così.