Intervista ad Amelia Tipaldi, autrice del libro “Come si fa il latte della mamma”

Pubblicato il Pubblicato in Interviste, Pensieri, Recensioni

Vi ho parlato del nuovo libro “Come si fa il latte della mamma” di Amelia Tipaldi e Carlotta Passarini. Ecco una breve intervista all’autrice del testo Amelia
Mamma, raccontami una storia

Come è nata l’idea di questo libro?

L’idea è nata già dieci anni fa con la nascita del mio primo bambino,
cercavo libri per bambini che parlassero di allattamento, ce n’erano
pochissimi.
Si vedevano soprattutto neonati con ciucci e biberon. Ho pensato che mi
sarebbe piaciuto scrivere un libro per bambini che mostrasse la mamma
allattare.
Nel frattempo ho avuto altri due bambini e sono diventata consulente alla
pari per l’allattamento al seno.
Una notte di un anno fa circa ho scritto una poesia che rispondeva alle
domande che fanno i bambini e le mamme sull’allattamento.
La poesia ha avuto un grande successo su Facebook ed è arrivata al Leone
Verde che ha deciso di pubblicarla.

A chi è rivolta la tua opera?

Il libro è per i bambini che si pongono domande tipo da dove viene il latte
della mamma? Domande che si pongono ad esempio quando nasce il fratellino.
Ma è un libro adatto anche alle mamme che allattano e alle mamme in attesa
per augurargli un buon allattamento.

Affronti il tema del senso di colpa della mamma, sia quando ha paura che non
potrà allattare, sia quando non sa quando sia il momento giusto per
smettere, esiste un momento giusto per ogni cosa?

Ogni allattamento è una storia a sè, io stessa ho allattato i miei tre
bambini e con ognuno è stato diverso, durata, approccio ecc.. ogni mamma sa
cosa è meglio per sè e per il suo bambino.
Spesso invece molti interferiscono dettando tempi e modalità e questo crea
ansie e sensi di colpa.

Ci racconti perché hai scelto un formato che unisce parole e immagini
(splendide, tra l’altro)?

E’ stata una scelta naturale, la poesia è una forma di comunicazione molto
versatile e se affiancata da illustrazioni viene arricchita ancor di più di
emozioni che restano indelebili.
Le illustrazioni per i bambini più piccoli può offrire ulteriori spunti di
riflessione e per le mamme può essere una fonte di ispirazione.

Qual è il consiglio che senti di dare a una neo mamme che si appresta ad
allattare?

Di avere fiducia in se stesse e nel proprio bambino e nel caso si avesse
qualche difficoltà iniziale non aver paura a chiedere il supporto di
esperti.

Ti vedremo in giro prossimamente per parlare del tuo libro?

Il 19 ottobre sarò all’ospedale di Settimo Torinese durante il convegno
“Gocce di Latte”
Alcune associazioni di sostegno alle mamme mi hanno chiesto di presentare il
libro nelle loro sedi, stiamo definendo le date.
Vi terrò aggiornati di sicuro.

Ringrazio Amelia per la gentile collaborazione.

Sveliamo il mondo di Chiara Dello Iacovo e il suo primo album “Appena Sveglia”

Pubblicato il Pubblicato in Interviste, Recensioni

“Introverso” è brano il che, dopo l’avventura di “The Voice”, ha svelato al grande pubblico di San Remo la bravura della giovane artista Chiara Dello Iacovo. Ho ascoltato il suo primo album “Appena Sveglia” e ora ve ne parlerò. Il primo brano si chiama “Vento”, un po’ come l’origine della malinconia, la necessità di dover prendere coscienza del tempo che si allontana e, nell’incedere dei ricordi , fare i conti con se stessi. “La mia città” racconta di un luogo, che è poi parte di noi stessi. Un luogo il cui confine è qualcosa che resta dentro, in fondo. Nei giochi d’apparenza, nei sogni di cui non puoi fare a meno. Narrare una storia, la propria, scritta sull’asfalto che racconta, proprio come l’inchiostro. “Donna” è un brano che scava nell’anima di una donna, nei suoi riflessi nascosti, negli istanti rubati. Nel cercarsi, nell’attimo in cui la sera incontra la notte e ci si guarda dentro. “Scatole di sole” è un pezzo introspettivo che racconta l’illusione di capirsi, di cercare una strada nuova che porta a ritrovarsi. E aggrapparsi a se stessi, e all’immagine di sè. “Soldatino” è la metafora della vita, delle delusioni che si presentano nel rincorrersi dei giorni, quando questo vuol dire crescere. Immagini che scandiscono la trasformazione delle speranze che diventano certezza. La vita non è come la immaginavi tu. Comprendere che il gioco è, spesso, truccato. “1° maggio” narra l’amarezza della ribellione, la storia di un sogno. La genesi del diritto, della lotta per ottenerlo. La storia tramandata sui muri di una città che appare spoglia anche quando è più facile tacere. “Genova” è una ballata elegante e intensa, un’istantanea che parla di un mondo intero. Una città che si specchia dai finestrini di un treno. L’attesa del mare. Genova è quel mondo. Genova e le sue ferite. I suoi ricordi. Il tempo che le toglie i colori, la rende sfumata. Genova è sentirsi un po’ lei. Nella sua musica, nelle sue melodie. Nella sua anima calda in cui si può anche affogare. “Il signor buio” è la notte porta pensieri, tesse ragnatele di ricordi e incanti. Nei momenti in cui si perde, e in cui ci si perde. Un sabato sera, in cui però credere ancora. Una melodia accogliente e avvolgente. “La rivolta dei numeri” è la nostalgia, fatta di numeri, di istanti. Anche questo in brano Chiara cerca se stessa e, forse, la trova. “Appena Sveglia” è un album riflessivo, orecchiabile ma profondo, svela un’artista giovane e di talento, che sa giocare con se stessa senza mai perdere di vista le sue radici. Che incanta con un’aria apparentemente stralunata, ma che svela maturità sia artistica che personale. Un personaggio e una persona. Due facce che regalano una sola identità, un po’ come la luna. Un bel disco.
Chiara Dello Iacovo è stata nostra ospite e le abbiamo posto alcune domande, ecco cosa ci ha risposto:
“Introverso” è brano il che, dopo l’avventura di “The Voice”, ha svelato al grande pubblico di San Remo la bravura della giovane artista Chiara Dello Iacovo. Ho ascoltato il suo primo album “Appena Sveglia” e ora ve ne parlerò. Il primo brano si chiama “Vento”, un po’ come l’origine della malinconia, la necessità di dover prendere coscienza del tempo che si allontana e, nell’incedere dei ricordi , fare i conti con se stessi. “La mia città” racconta di un luogo, che è poi parte di noi stessi. Un luogo il cui confine è qualcosa che resta dentro, in fondo. Nei giochi d’apparenza, nei sogni di cui non puoi fare a meno. Narrare una storia, la propria, scritta sull’asfalto che racconta, proprio come l’inchiostro. “Donna” è un brano che scava nell’anima di una donna, nei suoi riflessi nascosti, negli istanti rubati. Nel cercarsi, nell’attimo in cui la sera incontra la notte e ci si guarda dentro. “Scatole di sole” è un pezzo introspettivo che racconta l’illusione di capirsi, di cercare una strada nuova che porta a ritrovarsi. E aggrapparsi a se stessi, e all’immagine di sè. “Soldatino” è la metafora della vita, delle delusioni che si presentano nel rincorrersi dei giorni, quando questo vuol dire crescere. Immagini che scandiscono la trasformazione delle speranze che diventano certezza. La vita non è come la immaginavi tu. Comprendere che il gioco è, spesso, truccato. “1° maggio” narra l’amarezza della ribellione, la storia di un sogno. La genesi del diritto, della lotta per ottenerlo. La storia tramandata sui muri di una città che appare spoglia anche quando è più facile tacere. “Genova” è una ballata elegante e intensa, un’istantanea che parla di un mondo intero. Una città che si specchia dai finestrini di un treno. L’attesa del mare. Genova è quel mondo. Genova e le sue ferite. I suoi ricordi. Il tempo che le toglie i colori, la rende sfumata. Genova è sentirsi un po’ lei. Nella sua musica, nelle sue melodie. Nella sua anima calda in cui si può anche affogare. “Il signor buio” è la notte porta pensieri, tesse ragnatele di ricordi e incanti. Nei momenti in cui si perde, e in cui ci si perde. Un sabato sera, in cui però credere ancora. Una melodia accogliente e avvolgente. “La rivolta dei numeri” è la nostalgia, fatta di numeri, di istanti. Anche questo in brano Chiara cerca se stessa e, forse, la trova. “Appena Sveglia” è un album riflessivo, orecchiabile ma profondo, svela un’artista giovane e di talento, che sa giocare con se stessa senza mai perdere di vista le sue radici. Che incanta con un’aria apparentemente stralunata, ma che svela maturità sia artistica che personale. Un personaggio e una persona. Due facce che regalano una sola identità, un po’ come la luna. Un bel disco. Chiara Dello Iacovo è stata nostra ospite e le abbiamo posto alcune domande, ecco cosa ci ha risposto:

L’album “Appena sveglia” è un disco particolare musicalmente e decisamente impegnato. Quando é nata questa maturità artistica?

Io non lo definirei un album impegnato. Più che altro è un album sincero con se stesso, consapevole di sé, ma senza alcuna pretesa di imporre la sua visione delle cose

In quasi ogni brano si percepiscono le radici del territorio in cui hai lasciato un po’ di te stessa. Cosa ti ha lasciato una città strana come Torino?

In realtà la mia città natale è Asti, con la quale ho sempre avuto un rapporto un po’ contrastante. Torino la sto vivendo da poco, anche perché a causa del mio mestiere non ho troppo tempo da dedicare alla staticità. Di sicuro abbiamo molti lati comuni, tra cui quel modo discreto di lasciarsi solo…intravedere.

Il tuo è un disco che parla di speranze tradite e di sogni che restano ad aspettare. Consiglieresti a un bambino di sognare o di essere razionale?

Ma con che coraggio una ragazza che ha scelto di provare a vivere di arte potrebbe dire ad un bambino di non sognare? La razionalità è necessaria per non andare alla deriva ma è un salvagente che si sviluppa col tempo, grazie agli incidenti di percorso, alle sconfitte e ai conseguenti aggiustamenti di rotta che sei costretto a compiere, ma al timone della nave c’è sempre un sognatore, se no manco si esce dal porto.

Cosa ti aspetti da questo disco e dalla musica in generale?

Col XX secolo abbiamo imparato che attraverso la musica si possono creare delle vere e proprie rivoluzioni sociali e generazionali. Purtroppo credo che questa sia ormai rimasta un’utopia. Il nostro presente gioca in una modalità “onnipresente” dove è difficile catalizzare l’attenzione su una cosa in particolare che possa quindi funzionare da traino o da miccia per un cambiamento di grandi proporzioni. Siamo nell’epoca della condivisione e quindi credo che anche per quanto riguarda la musica l’unica cosa che abbia ancora un senso sia usarla come tramite per condividere, per metterci in contatto, per tenerci stretti gli uni agli altri. Insomma, l’unica cosa che per me sembra ancora avere un senso è l’amore, e la musica è il modo più efficace per disseminarlo.

Uno dei fili conduttori di questo disco sembra essere il rapporto con i numeri e il rapporto come un numero. Si possono codificare le emozioni?

Suggerisco di prendere uno studente di Lettere ed uno di Neuroscienze e porre ad entrambi contemporaneamente questa domanda. Dopodiché studiare gli effetti dell’esperimento ed imbastire una teoria su come la scelta di una determinata facoltà influenzi le tue scelte di vita a livello esistenziale.

Sei tu che cerchi la musica o é la musica che trova te?

Come in ogni relazione basata sullo scambio reciproco, di solito ci si incontra a metà strada.

Non ho potuto non notare che in questo album parli poco d’amore o comunque lo fai in modo indiretto, é una scelta?

L’amore in senso lato in realtà è la spinta primordiale che sottende tutti i miei testi, in modo più o meno evidente. Parlare d’amore in modo diretto non è mai facile, soprattutto a vent’anni quando di esperienza in merito ne hai davvero troppo poca e perciò rischi inevitabilmente di cadere nel banale.
6. Tu che ci sei riuscita, ci racconti come si sopravvive a un talent riuscendo a conservare l’originalità e l’intensità della propria identità?
Dipende sempre da cosa si è disposti a perdere: prima di entrare in un meccanismo del genere bisogna avere ben chiare le proprie priorità. Per me l’esperienza del talent non è stata semplice perché ho sempre cercato di viverla “in prospettiva”, senza lasciarmi traviare dallo scintillio illusorio del momento presente, di quell’apparente e provvisoria notorietà che avrebbe potuto indurmi in tentazione. Avevo ben chiaro che tutto quello sarebbe presto sfumato e che l’unica cosa che mi sarebbe rimasta in termini concreti, sarebbe stata me stessa: e quella me stessa quindi, ho cercato sempre di proteggere davanti a tutto.

Ringrazio Chiara per la disponibilità e Francesca Zizzari per gentilezza, professionalità e supporto.

#Parliamodi “Sospetti sul lago”. L’autrice Anna Serra ci racconta il suo romanzo

Pubblicato il Pubblicato in Interviste, Recensioni

“Sospetti sul lago” è un romanzo che racconta il viaggio di una donna tra le sfumature di un amore sfumato, tra le parole non dette, le emozioni mancate. La protagonista è Rossella, una psicologa che vive in una solitudine che tale non è, cerca l’amore in un marito assente. Cerca il suo aiuto, la presenza e si ritrova sempre sola. Irrimediabilmente sola. Ed è a margine di questo labirinto di cristallo che Rossella incontra Stefano, un uomo che risveglia le sue emozioni, la sua passione. Qualcosa dentro di lei rinasce, anche i sogni sembrano risvegliarsi come fiori di campo, ma una notte accade qualcosa. Un episodio che cambia la sua vita. Che la annienta. Lo stupro. La paura ha due occhi azzurri, occhi che Rossella inizia a vedere ovunque. Occhi che mettono in discussione anche Stefano. Tutto cambia. Un bacio che diventa inferno, un sogno che si tramuta in incubo. L’incedere di passi che rievocano l’abisso, petali di fiori taglienti come lame. L’amore diventa qualcos’altro, una indecifrabile sensazione, l’incomprensione, il mistero, la certezza che frana come un castello di carte. “Sospetti sul lago” è un romanzo che pone il lettore di fronte al proprio timore più ancestrale, quello che non concede scampo. La volontà di scoprire l’inganno, la volontà di capire ciò che nel profondo è inspiegabile. La verità e le sue diverse dimesioni. La storia è ambientata in luoghi che mostrano una innegabile bellezza e che allo stesso tempo sono misteriosi, celano inquietudine proprio nella traquillità della loro essenza. Un contrasto che sembra rivivere nell’animo di Rossella, il veleno e il suo antidoto. L’amore che nella solitudine trova la sua dimensione, un equilibrio labile, pronto a cadere quando le labbra di Rossella sfiorano quelle di Stefano. Quando l’amore diventa il suo contrario.

“Sospetti sul lago” tiene il lettore in equilibrio sul filo di una storia tormentata, esplora e divora il senso delle cose, le stravolge e le mostra nella più piena nudità delle emozioni.

Ho posto alcune domande ad Anna Serra:

Rossella è una psicologa, cerca di curare l’infelicità altrui, ignorando la propria. Da dove nasce la gabbia di cristallo che le hai creato intorno?

Effettivamente Rossella, essendo psicologa, ascolta giornalmente i tormenti dei suoi pazienti, cercando di porvi rimedio come meglio sa fare. Ma è lei per prima a vivere nell’infelicità. Apparentemente la sua è una vita perfetta, da sogno: ha un lavoro che la gratifica, un marito benestante che le garantisce una quotidianità agiata e una casa stupenda. Cosa desiderare di più? Ma di fatto si tratta, come dici tu, di una gabbia di cristallo: il matrimonio in sé diventa una gabbia nel momento in cui il marito si allontana sempre più da lei, lasciandola sola a gestire una vita costruita per due.

Il personaggio di Alberto è protagonista e allo stesso tempo non protagonista, in che momento della storia assume questa sua caratteristica?Alberto, il marito della protagonista, diventa sempre meno centrale nella storia per colpa delle sue assenze e della sua distrazione. Rossella si allontana progressivamente da lui e arriva ad un punto in cui l’amore coniugale pare spezzarsi definitivamente. Alberto c’è, è presente in tutta la storia, dall’inizio alla fine, eppure fin da subito assomiglia più a un “fantasma”: si lascia assorbire dal suo lavoro, dalle responsabilità di una mansione professionale d’alto livello e non si impegna seriamente nel rapporto con la moglie. Anche quando lei ha un disperato bisogno di lui, Alberto è sfuggente; nella classifica dei suoi pensieri più importanti Rossella pare non esserci.

Stefano è un personaggio particolare, entra nella storia come un sogno, poi le ombre lo avvolgono, quasi fino a farlo scomparire. Anche in questo caso sembra essere un protagonista che non assume un ruolo principale, qual è la genesi di questo personaggio?

Stefano effettivamente entra nella storia con le sembianze del principe azzurro: fisicamente attraente, simpatico, sensibile. Non perde occasione di regalare fiori a Rossella e a volte le parla come un poeta, come un uomo d’altri tempi. Il vuoto sentimentale scavato dal marito, viene poco a poco colmato dalle attenzioni e dalla galanteria di Stefano. Rossella resta affascinata dai suoi modi di fare, il sentimento di amicizia diventa qualcosa di più forte ed intimo, poi drasticamente tutto cambia e il personaggio di Stefano, prima cristallino, viene inghiottito dalle ombre del sospetto e si carica di mistero. Sembra nascondere una doppia personalità, una doppia vita. L’angelo potrebbe essere, in realtà, un demone. L’uomo buono sembra nascondere una faccia inquietante e pericolosa.

Volevo appunto dar vita ad un personaggio misterioso, ambiguo, che appare in un modo, ma che potrebbe anche essere l’esatto contrario di ciò che sembra.

Sospetti sul lago possiede le sfumature del thriller e le caratteristiche del romanzo di narrativa, come definiresti il tuo genere?

Non lo ingabbierei in un unico genere. E’ un romanzo introspettivo in cui prevalgono i sentimenti, pezzi di vita reale, le riflessioni di una donna alle prese con una situazione difficile; in altri momenti ci avviciniamo al thriller con passaggi in cui la tensione, la suspense e la drammaticità crescono.

Nella storia sembra esserci un filo conduttore nascosto che sembra ruotare attorno a un personaggio apparentemente secondario, come è nata la figura di Gino?

Gino è l’anziano giardiniere tuttofare, uomo instancabile che trova sempre un rimedio ai problemi casalinghi di Rossella. Nei lavori manuali è praticamente il sostituto di Alberto: interviene là dove il padrone di casa è assente e lavativo. E’ descritto come una figura paterna, quel padre che lei ha perso troppo presto. E’ uno dei punti di riferimento della protagonista. Lo vediamo fischiettare allegramente mentre è all’opera tra fiori e piante, rendendo meno cupe le giornate di Rossella.

Diciamo che per costruire la figura di Gino mi sono ispirata a mio padre: quando ho un disguido in casa, qualcosa da mettere a posto, chiamo lui! Non che sia un esperto di bricolage, ma mi ha aiutato molto quando ho messo su casa.

I luoghi hanno un ruolo importante in questa storia, sembrano raccontare l’inquietudine di Rossella, sei molto legata a questi paesaggi?

Il romanzo presenta numerose descrizioni del paesaggio e delle sue metamorfosi secondo le stagioni. I luoghi spesso riflettono lo stato d’animo della protagonista oppure le danno conforto nei momenti più bui. La storia è ambientata nella zona di Avigliana, non distante da Torino, all’imbocco della Val di Susa, con uno sguardo rivolto all’imponente e antichissima Sacra di San Michele. E’ un luogo che personalmente apprezzo molto: a due passi dalla città, nel parco naturale dei laghi di Avigliana ci si immerge nella natura e nella quiete. L’odore dell’acqua, l’ombra degli alberi, lo starnazzare degli anatroccoli, l’ondeggiare delle passerelle galleggianti, le barche ormeggiate a riva, i chioschi dove sorseggiare una bibita o gustare un gelato …. Vi consiglio una rilassante passeggiata! Non rimarrete delusi!

Nel tuo romanzo scrivi di un amore conflittuale, che nella sua essenza appare come una condanna. Quanto è importante l’amore per Rossella?

Rossella è una donna dallo spirito romantico, che in parte crede nella favola del principe azzurro. Per lei l’amore è importantissimo, oltre al suo lavoro è un valore in cui crede molto e quando ha affrontato la scelta del matrimonio, lo ha fatto credendoci fino in fondo e pensando che fosse per sempre. Ma il suo consorte non l’aiuta in tal senso, rendendo le cose più complicate. La condivisione, lo stare insieme, il dialogo, la complicità vengono meno, logorando un rapporto che avrebbe potuto essere speciale. Rossella ce la mette tutta per salvarlo, per renderlo eterno, come aveva immaginato il giorno del “sì”.

La protagonista subisce una delle peggiori violenze che una donna possa subire: lo stupro. Cosa potrebbe mai curare una tale ferita?

Purtroppo Rossella vive un momento molto drammatico: è vittima di uno stupro che le lascerà ferite nel corpo e nell’anima. Diventa diffidente, avverte minacce ovunque, le sue notti sono invase da inquietanti incubi. Proprio lei che è psicologa, abituata a gestire crisi interiori, si trova a dover risolvere e superare un grande disagio.

Come si potrebbe curare una simile ferita? Di ricette non se esistono, ovviamente. Credo che solo il tempo possa aiutare a dimenticare almeno parzialmente il trauma subito. E avere accanto persone che ti vogliono bene, amici, famigliari che con il loro calore e il loro amore ti guidino verso un senso di normalità. Anche il lavoro può aiutare: concentrarsi in ambito professionale e ricevere gratificazioni può essere molto utile per non pensare troppo a quanto accaduto.

La maternità è un tema che viene trattato nel romanzo quasi con cautela, legato al personaggio di Rossella, e che in qualche modo sembra sfuggirle. Perchè questa scelta narrativa?

Sì, è vero, si parla di maternità ma sottovoce. E viene descritto il suo lato più oscuro, meno gioioso: l’altra faccia della medaglia. Rossella scopre di essere incinta in un momento in cui la sua vita matrimoniale si incrina e inizia a domandarsi se suo marito sarà un buon padre, se troverà il tempo da dedicare alla piccola creatura che sta prendendo forma dentro di lei. Comincia a fantasticare sul figlio in arrivo, immaginando di udire la sua vocina risuonare fra le stanze, ma la dolce attesa subirà un duro colpo, lasciando profonde cicatrici nell’anima che faranno male soprattutto nei suoi incubi notturni.

Stai lavorando a un nuovo romanzo? Ci sveli il titolo?

Ebbene sì, c’è un nuovo romanzo in lavorazione, anzi, direi che è terminato. Ci lavoro da molto tempo, ancor prima della stesura di “Sospetti sul lago”, ma l’ho rimaneggiato e stravolto mille volte, finché sono arrivata alla forma definitiva!

La scelta del titolo è ancora in cantiere. Posso solo fare alcune anticipazioni sul contenuto. Innanzitutto non è una continuazione di “Sospetti sul lago” ed è narrato in prima persona. La protagonista è una signora settantenne che ricorda con nitidezza le tappe più significative della sua esistenza, passando attraverso i suoi numerosi e tormentati amori. La donna che fu e quella che è vengono messe a confronto, con le loro debolezze, rimpianti, errori, ma anche con il loro coraggio e forza. E quando si entra nella cosiddetta “terza età”, la vita è ancora capace di regalare stimoli inaspettati per il futuro.

Ringrazio Anna per la gentile collaborazione e per aver raccontato la storia di Rossella.

#Parliamodi “Isolde non c’è più”, il nuovo romanzo di Bianca Rita Cataldi

Pubblicato il Pubblicato in Interviste, Recensioni

Il romanzo “Isolde non c’è più” racconta la storia di un ragazzo, Golvan, e dei suoi pensieri più segreti. I sentimenti che si trasformano e che diventano da semplici a complessi. Golvan è innamorato di Gwenn, una ragazza irraggiungibile, perennemente innamorata di qualcun altro. Golvan vive delle sue amicizie che tali non sono davvero, per cercare di trovare se stesso attraverso un equilibrio che non c’è. Nella vita di questo giovane ragazzo c’è però una donna, un’amica fidata. Importante. Lei è più grande e, spesso, più matura, Isolde, appunto. Il rapporto che nasce tra Isolde e Golvan e intenso e completo. Si conoscono l’un l’altro come nessun altro. Sono complici, confidenti. Loro due sono dei veri amici. Ma qualcosa con il trascorrere del tempo cambia. Qualcosa dentro Golvan, cambia. Così la storia prende una strada inaspettata. Tutto si complica. Il mistero di un sentimento strano, che lega due mondi apparentemente lontani. E Isolde, all’improvviso, scompare. Per Golvan si apre la sfida più difficile della vita. Ritrovare quella donna per trovare se stesso. “Isolde non c’è più” è un viaggio nella mente di un ragazzo che sta diventando uomo e di una donna che sa di essere tale. E’ la storia degli addii e degli amori che non nascono, ma che si trasformano. E’ un intrecciarsi di emozioni e ricordi, di storie. Bianca Cataldi riesce anche questa volta a dare luce al mistero più profondo del rapporto tra le persone, a intrigare con una storia dalle radici semplici. La narrazione è fuida, veloce e mai banale. Una storia che è poi quella di tutti noi. Racconta le debolezze e le paure e allo stesso tempo anche la voglia di ricominciare, e di cominciare. L’amore. Perché è di questo che stiamo parlando. I sogni, il vortice e l’ossessione di cercarsi negli occhi di qualcun altro. Svelare la trama che si nasconde nei pensieri più astratti. E l’incanto delle parole che raccontano la storia di un protagonista, di quel ragazzo che si affaccia alla vita e alle sue contraddizioni, alle aspettative tradite. Quei sentimenti che però non muoiono, ma si alimentano e si mostrano come fumo che continua a uscire dalla cenere. Tutte le sensazioni di una vita, che Bianca narra con la consueta e ormai affermata maestria.

#Parliamodi #CapoScirocco di Emanuela Ersilia Abbadessa

Pubblicato il Pubblicato in Interviste, Recensioni

Il romanzo “Capo Scirocco” di Emanuela Ersilia Abbadessa è affascinante, intenso, passionale, intrigante. E’ una macchina del tempo che trascina il lettore in una Sicilia carica di sapori, pensieri e di una inconsapevole bellezza. L’autrice racconta con maestria i controsensi dell’amore e della vita stessa. La follia di un sentimento, del desiderio e il fascino perfido del successo. L’apice e il vortice. Il paradiso e l’inferno, nello stesso istante. “Capo Scirocco” è un romanzo con una forte componente teatrale, una tragedia moderna, uno specchio che costringe a guardarsi dentro. I personaggi sono l’essenza profonda dell’animo umano, nelle contraddizioni e nei particolari che diventano i veri protagonisti della storia. Della protagonista, Rita, non ci si può non innamorare. Trasuda fascino e personalità, il suo amore è carnale e spirituale, incantato e disincantato. La sua è un’anima a cui manca qualcosa, e la cerca nel teatro, poi negli occhi di Luigi, senza trovarlo mai. Luigi è un ragazzo, che cerca di essere uomo, senza diventarlo mai. Anna è una ragazza, che vuole sentirsi donna. E accetta di esserlo, proprio quando vorrebbe fermare il tempo. Mimì è il cinismo, che cela la lealtà. I profumi di una terra che sembrano raccontare le vite stesse dei protagonisti. Il mare che racconta. Il vento che narra. “Capo Scirocco” è una storia che racchiude la storia di ognuno di noi. Delle sue paure, delle ambizioni che spazzano via ogni cosa. Della resa e del ritorno. Del giorno che svela la notte. Il bacio rubato. Il bacio necessario. Ogni parola di questo romanzo è un racconto a sé. Uno stile moderno e classico, allo stesso tempo L’ossimoro che è l’anima stessa del romanzo. La luce e l’ombra. L’essenza. Un romanzo da non perdere.

Ma andiamo a conoscere l’autrice di “Capo Scirocco”:

Donna Rita è un personaggio controverso, una donna passionale e allo stesso tempo devota. Come è nata l’idea di questo personaggio?

Non credo che Rita sia molto diversa dalle donne che conosco. La devozione, nel caso del personaggio è un pretesto legato all’ambiente in cui vive: il vero dissidio è tra l’essere e il dover essere e in questo credo sia simile a molti, non solo alle donne. L’approccio passionale alla vita è tutto femminile ma le pressioni sociali sulle sue scelte penso possano riguardare un po’ tutti. Solo con la maturità si riesce a prendere le distanze da ciò che gli altri pensano di noi e Rita ha una maturazione complessa e incompleta che associo al fatto di non essere stata madre e di sentirsi sempre un po’ figlia di qualcuno. L’ho modellata sul tipo delle eroine dell’opera italiana, la fonte di ispirazione e il gioco che ho voluto inscenare è proprio il melodramma ottocentesco con amori a tinte forti.

Luigi nasconde molti dei lati negativi degli uomini, quasi un cieco egoismo che non gli consente di vedere la sofferenza che può provocare una sottile indifferenza, cosa ti ha spinta a disegnare quell’ombra di cinismo in questo personaggio?

Io amo i personaggi cinici in letteratura e in qualche modo anche nella vita perché spesso, non sviati dal filtro delle convenzioni sociali, arrivano al fondo delle cose. Ma Luigi più che cinico è semplicemente tronfio e ambizioso, il vero cinico è l’amico Mimì che io amo follemente, il solo cioè a vedere la realtà per ciò che è, e anche il solo a comprendere infatti il dramma che si sta consumando. Il problema di Luigi è simile a quello di Rita: anche lui è un immaturo, cresce fisicamente e nella scala sociale ma così in fretta da non avere il tempo di maturare all’interno una vera consapevolezza dei sentimenti.

Terzo e non meno importante protagonista della tua storia: Anna. Il suo candore si scontra con gli interessi e con un amore puro. Anche in questo caso c’è quella contraddizione, che spesso è la chiave dell’anima di tutti gli esseri umani. Scrivendo il libro hai mai davvero “tifato” perché rubasse lei il cuore di Luigi?

Anna è il più moderno dei personaggi, sa quello che vuole e quando si innamora lo fa con consapevolezza e con altrettanta consapevolezza comprende quando è il momento di lasciare la scena. Non ho mai tifato per lei perché sapevo già dall’inizio come sarebbe andata, i miei personaggi non fanno nulla che io non mi aspetti, a volte possono prendere strade più lunghe ma alla fine arrivano esattamente dove avevo previsto.

Si sente il sapore di una Sicilia caliente, pura e inconsapevole della sua bellezza. Come è cambiata dal periodo storico in cui hai ambientato il romanzo a oggi?

Credo che la Sicilia sia cambiata moltissimo sul piano sociale e quindi il giogo della chiesa e della famiglia adesso abbia lo stesso peso che ha in altre parti d’Italia o d’Europa. Non penso invece sia mutato l’approccio alla vita, la passionalità. L’idea di bellezza inconsapevole mi piace molto, grazie per avermici fatto pensare, e, sì, credo che la sola vera bellezza sia inconsapevole e in questo la Sicilia non credo sia cambiata così come è la stessa la fierezza antica che possiede e che rappresenta uno degli altri contrasti di cui abbiamo detto.

Emanuela Ersilia Abbadessa. Un’artista eclettica e comunicativa, una tecnica fine e affasciante, ma chi è davvero Emanuela? Cosa nasconde?

Nel mio cinquantesimo anno di vita ho deciso di cominciare a tatuarmi per una serie di lunghe e complesse ragioni che affondano nella mia infanzia e che ho raccontato in una pagina del mio blog. Quando pensai al primo tatuaggio non ebbi alcun dubbio: da adolescente, leggendo l’Antologia di Spoon River mi colpì molto l’epigrafe di Serepta Mason, soprattutto il verso che dice: “Voi non vedeste mai il mio lato in fiore”. Allora avevo risolto di volerlo sulla mia tomba e al momento di pensare al primo tatuaggio mi resi conto che quella frase mi corrispondeva ancora perfettamente e così ho deciso di farmela scrivere sulla pelle: “My flowering side you newer saw”. Perché io sono una donna trasparente, mi racconto senza filtri e senza pudori, chi mi conosce sa quanto riesca a consegnarmi a chi ho davanti ma in realtà esiste un lato di me nascosto che credo non potrà mai essere visto da nessuno. Quindi non è che io nasconda ma forse semplicemente ho l’esigenza di tenere qualcosa per me proprio per arginare questa smania di rivelarmi.

Leggendo il tuo libro ho pensato a una “tragedia moderna”, cosa c’è dello stile classico nel tuo romanzo?

Credo soprattutto la lingua. Il mio romanzo è scritto interamente in italiano senza alcuna concessione al dialetto siciliano (vezzo molto di moda ultimamente che non amo). Credo contenga due sole parole tratte dal mio idioma locale. Una è una “parola del cuore” per me, picciridda (il modo in cui mi chiamava mia nonna paterna e poi mio marito) e vastasi usata per indicare i trasportatori del pianoforte e dunque usata secondo l’etimologia greca, da bastazo, appunto. Per i popolani, ma non solo per loro perché anche donna Rita vi indulge, ho pensato a costruire alcune frasi secondo la sintassi siciliana e quindi col verbo alla fine della frase, oppure ho usato alcuni avverbi italiani nell’accezione squisitamente catanese. Ma davvero poca cosa. Io sono italiana perché parlo l’italiano e scrivo in italiano; le coloriture locali sono il massimo che credo possa avere cittadinanza nella mia scrittura e non discendono da un desiderio di realismo (l’iperealismo, che è altra cosa, l’ho riservato alle descrizioni) quanto piuttosto dalla possibilità di modellare la lingua pur restando aderente all’italiano.

Una forte componente religiosa è parte integrante della storia, che rapporto hai con la religione?

Ho avuto una formazione cattolica e sono stata cattolica, anche praticante, per molti anni ma non solo. Amo la teologia e ho approfondito la lettura delle Scritture e lo studio di alcune religioni, soprattutto quelle monoteiste. Sono passata poi dall’agnosticismo all’ateismo e tale mi ritengo adesso pur avendo rispetto per le fedi altrui.

L’amore. Angelo e demone in tutte le sfumature del tuo racconto. Come non chiederti qual è il tuo rapporto con l’amore.

Ottimo! Ho amato, amo e sono riamata, cosa potrei chiedere di meglio? Anche se a volte penso che l’amore si sopravvalutato. Mio marito diceva sempre che nulla è eterno e persino la Quinta Sinfoniadi Beethoven un giorno sparirà. E se è così per un capolavoro del genere figuriamoci se può essere eterno l’amore!

Teatro e musica. Il tuo romanzo trasuda passione per queste due cose. Dove nasce questa simbiosi che hai saputo creare nella tua storia con i tuoi personaggi?

Nasce dal mio lavoro. Io ho sempre lavorato con la musica e amo il melodramma quindi al momento di scrivere, volendo divertirmi con un genere che amo mi è sembrato naturale scegliere questa forma.La musica è parte integrante del romanzo ed è presente a tutti i livelli sia strutturalmente perché Capo Scirocco è costruito appunto come un melodramma ottocentesco, sia perché possiede una “colonna sonora” grazie alle Arie e ai brani che vengono eseguiti. Poi sono presenti Verdi e Wagner: ciascuno è associato a una delle due protagoniste. Verdi a Rita Agnello, vera eroina da melodramma; Wagner ad Anna Cucè, razionale e amante della musica d’Oltralpe. Il contrasto tra i due musicisti e tra le due donne ricalca la querelle che proprio alla fine dell’Ottocento si agitò in Italia sull’eccellenza di Verdi o di Wagner, una diatriba solo apparentemente musicale ma nei fatti legata alla questione dell’identità nazionale.

Sembra esserci un alone oscuro nella storia, tra le parole, nelle ambientazioni. Ben nascosto, ma sembra vivere come un’ombra fino al finale. Una leggera malinconia, come se il vero protagonista fosse un qualcosa o un qualcuno che non c’è. Una sensazione latente, eppure presente. È solo una sensazione?

Non è solo una sensazione e, anzi, tra le tante definizioni che ho letto quella che mi piace di più è di Mario Baudino e mette in rilievo il lato oscuro del mio romanzo: “Capo Scirocco è un romanzo di ombre”. In effetti si apre con una grande ombra e con la stessa ombra si chiude, forse un retaggio di un’altra delle mie grandi passioni che è il romanzo gotico.

Stai lavorando a un nuovo romanzo? Ci anticiperesti qualcosa, magari il titolo?

Ho già finito e consegnato all’editore il nuovo romanzo che uscirà nel 2016 ma proprio il titolo non posso dirlo perché… ancora non l’abbiamo deciso!

Ringrazio Emanuela per la gentile collaborazione e per il viaggio appassionato.

#Parliamo di Tentazioni di Argeta Brozi

Pubblicato il Pubblicato in Interviste, Recensioni

Oggi parliamo di uno dei romanzi del momento, si chiama “Tentazioni” ed é intenso, attraente e ben scritto. La protagonista é Ilenya, una ragazza scottata dai suoi precedenti amori e che non riesce a lasciarli alle spalle. É giovane, ciò nonostante non riesce più a credere di potersi ancora innamorare. Un po’ goffa e buffa, ma allo stesso tempo cinica e seducente, spesso inconsapevolmente. La sua amica é Lolly le chiede di aiutarla a mettere alla prova la fedeltà del suo fidanzato. Ilenya riesce a portare a termine la sua missione e seduce il ragazzo, smascherandolo di fronte agli occhi dell’amica. Nel frattempo Ilenya si scontra, letteralmente, con un ragazzo durante un vago tentativo di iniziare a correre. Lui é Brian e tra i due nasce da subito una simpatia, che presto diventa qualcosa di più. Così Ilenya, senza mai ammetterlo, torna a prendere in considerazione l’idea di potersi fidare. Proprio quando questo sta per accadere Brian svanisce nel nulla. Lei non aveva osato chiedergli il numero di telefono, lui nemmeno. Senza alcuna possibilità di contattarlo, Ilenya lo attende, preoccupata che qualcosa di grave possa avergli impedito di tornare da lei. Ma con il tempo la preoccupazione diventa ferocia, una forma di rancore verso gli uomini. Qualcosa dentro di lei é cambiato e si isola pian piano dalle sue amiche. Questo evento rende Ilenya ancora più inferocita nei confronti di tutti gli uomini e si ritrova sola. I genitori vedendola spenta e sofferente decidono di regalarle un viaggio verso la meta tanto sognata: New York. Lí ritrova la sua vecchia amica Tess e incontra suo fratello Davis. Con quest’ultimo nasce un’amicizia travagliata. Con Tess e altre ragazze riesce a sfruttare la sua capacità di smascherare gli uomini con la seduzione. Nasce così un vero e proprio servizio per fidanzate sospettose. Per mostrare alle altre collaboratrici come muoversi, Ilenya porta termine il primo caso e induce il ragazzo a baciarla proprio durante il suo addio al celibato e il matrimonio fallisce. Quel bacio però rompe l’equilibrio faticosamente ritrovato di Ilenya, così come il ritorno di Brian. “Tentazioni” é un romanzo che si legge d’un fiato, ricco di colpi di scena e di riflessioni, una lettura leggera che emoziona e che costringe il lettore a pensare al valore dell’amicizia, dell’amore e soprattutto a tutto ciò che lega entrambe le cose: la fiducia. Un libro sicuramente consigliato per intraprendere un viaggio nei sentimenti, oltre i dubbi e i pensieri che si nascono dietro ogni rapporto. L’autrice è Argeta Brozi, una giovane e talentuosa scrittrice con già molta esperienza alle spalle nel campo della letteratura. Il modo di scrivere é giovane, dinamico, espressivo e riesce a essere aggressivo, seducente e sensibile, proprio come la protagonista del romanzo. Ilenya, é infatti deliziosa, intraprendente e affascinante. Determinata e sensibile allo stesso tempo un mix letale che non può non sedurre il lettore. Ci innamora facilmente della storia raccontata da Argeta. Un romanzo assolutamente consigliato.

Ecco una breve intervista ad Argeta.

Come è nato il sentimento di sfiducia verso gli uomini che caratterizza il personaggio di Ylenia?

Ylenia è sempre stata una da storia seria, perché nella sua famiglia ha avuto come modelli due genitori che si amano moltissimo, nonostante gli anni, ma la sua vita sentimentale e il suo credo nell’amore viene spezzato da una relazione difficile e a tratti violenta, e successivamente da un’altra delusione con un ragazzo conosciuto in treno. Inoltre, la sua amica Lolly è l’emblema di come le coppie non siano fatte per restare insieme: infatti lei va di storia in storia, alla ricerca del “principe azzurro” che, però, non arriva mai. Ylenia, già delusa dal passato, cova dentro di sé maggiore rabbia quando vede andare male le relazioni dell’amica, che vorrebbe vedere felice… La rabbia si tramuta in sete di vendetta contro gli uomini.

Quanto c’è di te nella tua protagonista?

In ogni storia e in ogni personaggio sicuramente qualche caratteristica personale c’è, ma il romanzo è frutto di fantasia, così come gli intrighi e le relazioni tra i vari protagonisti.
Alcune caratteristiche in comune con Ylenia sono la sincerità che a volte rischia di farci perdere chi ci sta vicino (si sa, la verità fa male e sono davvero in pochi a volerla realmente sapere…) e l’ironia, così come anche la gaffes… Ad esempio, la figuraccia che lei fa con la borsa è successa a me personalmente 😉

Amicizia e amore sono i due temi del tuo romanzo, quanto contano per te?

Per me, e credo per tutti, tantissimo. La vita gira tutta attorno all’amore e all’amicizia, attorno alle relazioni con altre persone, ai sentimenti. Penso che in ogni romanzo, persino in quelli di genere horror e thriller, ci debba essere una parte “romantica”, perché tutto inizia e finisce con l’amore, amore che a volte si tramuta in odio… In ogni caso sono sentimenti e senza di quelli non si possono emozionare i lettori.

La fiducia, questa sconosciuta. Quanto conta secondo te in un rapporto?

Sei riuscito a strapparmi un sorriso con la frase “la fiducia, questa sconosciuta” 🙂 La fiducia è TUTTO. Il maiuscolo è fortemente voluto. Il problema sai qual è? Che a volte non ci si può fidare neppure di se stessi…

New York e Roma, due luoghi così diversi. Qual è il luogo che tu chiami casa?

Quando ho scritto questo romanzo non ero stata né a New York né a Roma, la prima versione del testo infatti presentava poche descrizioni dell’ambiente, successivamente sono andata a Roma ma non nei luoghi che ho descritto all’interno del libro. Roma mi ha sempre portato fortuna a livello lavorativo, per cui ho voluto inserirlo all’interno del romanzo, anche in vista del fatto che mi è più facile immedesimarmi in una storia ambientata in una città non mia, ma non sono ancora andata a New York… mi piacerebbe molto 🙂 New York l’ho scelto invece perché ho sempre voluto andare in America, inoltre è la città dove abita la mia amica Downing, presente nel libro sotto false vesti, perché la sua reale vita non ha nulla a che fare con ciò che ho descritto in Tentazioni. Qual è il luogo che chiamo casa? È il luogo dove ci sono le persone che amo. Non importa dove.

Nel tuo romanzo si parla molto del rapporto genitori figli, è importante per te la famiglia?

Ho una famiglia molto unita e credo nella famiglia, quindi sì, è un argomento a cui tengo. Nell’ultimo periodo si può notare come siano venuti a mancare certi valori che fino a qualche anno fa erano fondamentali… Si è diventati più superficiali, vediamo i genitori come dei nemici da combattere, delle persone da cui stare lontani dalla maggiore età in poi… Io sono una di quelle che si stupisce quando sente gli adolescenti criticare altri perché “escono ancora insieme ai genitori”! Non sia mai, che vergogna! E perché mai poi? Quando sono stati i genitori a darci alla vita, quando ci hanno accudito, protetto e voluto? Quando saranno quelli che non ci abbandoneranno mai (ovvio, parlo di Genitori e non di genitori… sappiamo bene che c’è chi non sa essere genitore e fa dei disastri… ma sono situazioni particolari) a dispetto di tutti? Gli amici se ne vanno, la famiglia resta.
La famiglia è il pilastro della nostra vita, rinnegare la sua importanza è come rinnegare se stessi.

Ci saranno nuove avventure di Ylenia? Quali sono i tuoi progetti a cui stai lavorando?

Tentazioni è nato come un romanzo autoconclusivo, ciò che di fatto è. Ma negli anni, i lettori sono state pietre preziose: così entusiasti della storia, emozionati e affezionati ai personaggi e grazie a loro Ylenia avrà una nuova vita, in un secondo volume. Sono stati così tanti i lettori che mi hanno chiesto un seguito, che… come si fa a non accontentarvi? 🙂 Il secondo romanzo vedrà come protagonisti sempre Ylenia e Brian, ma avranno più spazio alcuni personaggi che nel primo erano “secondari”… La storia l’ho già iniziata e ho in mente tutta la storia, sarà sempre autoconclusiva e si potrà leggere anche separatamente rispetto al primo libro, ma ad esempio chi ha letto il primo potrà capire meglio le varie relazioni tra i personaggi, visto che li ha già “incontrati” e magari saprà anche per chi tifare 😉 mentre per i nuovi lettori potrà sembrare un romanzo a parte.
Ti faccio una soffiata, uno scoop per chi lo ha già letto…

La vita di Ylenia procede a meraviglia, se non fosse che all’improvviso scopre che Eva in realtà… 😉

Eh eh eh… Vi lascio il link del libro, acqua in bocca, non posso svelare di più 😉 http://www.amazon.it/dp/B00ZVQ70T2/

Ringrazio molto Argeta per la gentilezza e la professionalità, oltre che per le emozioni regalate con il suo romanzo.

Recensione romanzo “Il Fiume scorre in te” e intervista all’autrice Bianca Cataldi

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Interviste, Recensioni

Il romanzo di Bianca ricorda le atmosfere oniriche di Murakami, é misterioso e appassionato. Le scene che raccontano la storia di Alessandro sono in alcuni casi dure e intense. Questo approccio narrativo rende la storia verosimile anche oltre la sua natura quasi fantastica. I protagonisti sono ben costruiti, a partire da Dani, Massimo e Alessandro, senza dimenticare i personaggi di secondo piano, ma non meno importanti, come Eleonora. Proprio questa ragazza aprirà gli occhi di Dani, svelando una nuova realtà. Un nuovo punto di vista. “Il fiume scorre in te” é un viaggio che richiama una moderna discesa nell’inferno dantesco, e non é un caso che la figura di Massimo ricordi quella di Virgilio per Dante. Tra le righe di questo romanzo si sente la passione per la letteratura e per la scrittura. Avevamo già scoperto il talento di Bianca con il romanzo “Waiting Room”, e anche in questo romanzo l’idea é affascinante e lo sviluppo della storia, avvolgente. Nel romanzo non mancano riferimenti ai sapori e ai gusti dei luoghi in cui la storia é ambientata, la Puglia. Questo romanzo é un vortice di avvenimenti che portano il lettore a un finale emozionante e appassionante. L’intera storia fa riflettere sui sentimenti, sull’importanza di un amore e della percezione di quelle tracce che spesso ignoriamo, nel bene, e nel male.

Ho posto alcune domande a Bianca. Ecco l’intervista:

Domanda necessaria: quanto c’è di Bianca nella protagonista Dani

Moltissimo. Come credo accada a tutti gli scrittori esordienti, ho letteralmente riversato le mie paure, le mie emozioni e i miei ricordi nel corpo di Dani che, tra l’altro, era anche mia coetanea ai tempi della stesura. Non mi pento di questa scelta perché credo che ognuno di noi debba iniziare a scrivere partendo da ciò che conosce, senza inventare nulla. Certo, l’autobiografismo è da evitare, ma una giusta dose di contaminazione tra sé e il personaggio può andar bene in un romanzo d’esordio

Alessandro e Massimo, due mondi diversi, distanti a volte, meno in altre. Sono un po’ lo specchio delle mentalità maschili?

Sicuramente, e sono effettivamente l’uno l’alter ego dell’altro. Sono complementari, si incastrano alla perfezione come pezzi di un puzzle. Tuttavia non sono “il buono” e “il cattivo” di turno: come spesso accade, nel bianco c’è un po’ di nero e nel nero un po’ di bianco.

Qual è la definizione che daresti del tuo romanzo? In che genere lo collocheresti?

Credo che la definizione più calzante sia quella di Elisabetta Ossimoro, una scrittrice torinese: romanzo di formazione fantatemporale. E’ esattamente questo. Non possiamo parlare di fantasy classico perché, a conti fatti, di fantastico c’è solamente il viaggio nel tempo. Tutto il resto è fortemente reale.

Cos’è, secondo te, l’amore? E quanto si differenza da una cieca dipendenza affettiva?

Quand’ero più giovane credevo che l’amore fosse quel turbinio di emozioni che ti toglie il respiro e ti azzera ogni facoltà razionale. Col tempo ho capito che quella è semplicemente passione. L’amore, quello vero, è ciò che viene dopo, il fuoco stabile dopo la violenta fiamma iniziale. E’ questo ciò che separa l’amore cieco, ossessivo e dannoso, dall’amore sano che porta frutti.

Una domanda che può sembrare stupida, ma la faccio. Nel romanzo ritorna spesso il momento della colazione, cosa rappresenta per te?

La colazione è per me il pasto più importante della giornata, il momento in cui la famiglia si riunisce intorno a una tazza di caffè e la mattinata ha inizio, piena di aspettative e di progetti. E’ la mia personalissima ricetta del buonumore, ed è per questo che ritorna così spesso nel romanzo.

Dal punto di vista simbolico, oltre al perdono, cosa rappresentano le bambole?

Le bambole rappresentano l’innocenza perduta e, ogni volta che la porcellana s’infrange contro un muro, l’atto del perdonare si lega inevitabilmente alla frammentazione di qualcos’altro, di quel mondo intatto e puro che la protagonista custodisce dentro di sé. In altre parole, le bambole rappresentano la graduale corruzione dell’uomo nel momento in cui si spoglia del suo essere bambino per entrare nel mondo degli adulti.

Rispetto alla Bianca che ha scritto “Il fiume scorre in te” e a quella di “Waiting Room”, quanto senti di essere cambiata, dal punto di vista artistico e personale?

Moltissimo. Il mio stile ha subito una radicale trasformazione: in passato scrivevo “tanto”, a lungo, mentre adesso tendo a essere più breve e concisa. Soprattutto mi hanno cambiata le letture: Thackeray e Flaubert, in particolar modo, mi hanno insegnato a non “sbrodolare” parole, a non essere eccessivamente sentimentale, a non cadere nel patetico. Un grande aiuto, inoltre, mi è stato offerto dalle recensioni dei lettori, perché sono loro il grande specchio col quale ogni autore deve avere il coraggio di confrontarsi.

Sappiamo che è uscito il tuo nuovo lavoro Isolde, raccontaci in breve di cosa si tratta.

“Isolde non c’è più” è un racconto lungo che presto diventerà un vero e proprio romanzo e anche qui, come nel Fiume, abbiamo come tema principale il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. In questo caso, ad affrontare il “viaggio” sarà Golvan, innamorato da sempre della ragazza sbagliata. Al suo fianco ci sarà Isolde, vera anima del racconto: una ragazza sui generis che beve litri di cioccolata calda e ascolta musica sdraiata sul tappeto. Ho voluto raccontare la linea sottile che separa l’amicizia dall’amore e, soprattutto, il costante stato di solitudine nel quale l’uomo vive, seppur tra tanta gente, fino al momento in cui non riesce a trovare il vero amore.

A cosa stai lavorando adesso?

Sto scrivendo un noir. Lo so, lo so, è assurdo, soprattutto di questi tempi, però non posso proprio farne a meno. La storia mi è esplosa dentro ed è necessario che io la scriva. Contemporaneamente sto editando un altro romanzo. Parole chiave? Parigi, la libreria Shakespeare & Co., due aspiranti scrittori.

Ringrazio Bianca per la gentile collaborazione.

Recensione dell’album “Il Profumo di un’Era” e intervista all’autrice Amelie

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Interviste, Recensioni

L’album “il profumo di un’era” della cantautrice Amelie é un lavoro importante, intenso e ricco di sensazioni. Un rincorresti di emozioni, tra brividi e riflessioni. Si ha questa impressione sin dal primo brano “Il nuovo mostro”, che racconta un viaggio in tonalità minore. L’oscurità della notizia oltre il nero dell’anima. La dinamica del mostro. Un viaggio nell’anima umana, nella sua parte più sporca. In “Messaggi” si parla di credere in un ritorno, nell’essenza di un pensiero. L’Atmosfera del brano é intima, una musica che avvolge, che trascina. Guardi nell’anima, guardare oltre l’anima. Il volto della luna, quello sconosciuto. “Il Profumo di un’era” é una ballata al limite tra cielo e terra. Tra anima e pensiero. La trasposizione della realtà, il viaggio nell’altra dimensione, traghettati dal ricordo, dal pensiero. Dall’emozione. L’Evocazione dei ricordi e il lascito degli insegnamenti di una madre. Amelie svela la sua anima tra le note sofferte di un pezzo sicuramente importante e che mette in luce una grande maturità artistica e personale. “Milano” racconta l’amore per una città, per le sue vie. Per sue sensazioni. Le due anime di un luogo, l’essenza dei passi nel centro di pensiero. Un Natale rarefatto, pensieri che si raccontano, un momento più in là, oltre quel pensiero che coglie all’improvviso. “Zero” é il ritorno un mondo oltre noi. La fatica di essere se stessi, oltre l’orizzonte. “Con naso all’insù” é una ballata intensa, che mette al centro la passione di un sogno. Tra realtà e illusione. La follia di crederci, nonostante tutto. “Mondobit” é un pezzo ritmato, che richiama sonorità tra anni ’80 e ’90. Una dinamica di modernità, la realtà virtuale distorta da sentimenti artificiali. Cosa saremo? Chi saremo? Luoghi distanti, senza farsi male. Senza guardarsi. Un sguardo nel futuro, per non dimenticare il passato. Chi siamo. “Ti ho ucciso con un click” sulla scena di una storia, guardare una storia d’amore, da un punto impassibile. Senza rimorsi, senza trasparenze. Ballata intensa e profonda. Un brivido, che non si può nascondere. Soave. “L’alieno delle 3” parla della diversità. La conoscenza sconosciuta. La violenza del giudizio, della libertà negata. Il peso dell’ingenuità. “Dicembre” é un giorno in cui nevica e c’è il sole. Il paradosso del sentire un mistero, della vita oltre lo specchio di ciò che sembriamo. “Un’altra vita”. Racconta di una storia finita. Girare pagina, costruire un’altra vita. Una nuova vita. L’addio che fa male, ma che è l’unica soluzione. Il ricordo che rimane lontano. Un altro nome. Un’altra età. Ricominciare a vivere. Perdersi, per ritrovarsi. Ancora. “Che cosa c’è” é un viaggio tra note sibilline, intendere, capire. Incontrarsi al margine di un attimo. Raccontarsi, reinventarsi. Cambiare. “Polaroid” é il brano che chiude l’album. Fermare un attimo, nella cornice di una polaroid. Non nascondere nulla, mostrare l’evidenza della realtà. Mettere in luce i difetti, farsi vedere per ciò che si è. Immortalare l’ideale di un amore, tradito dalla sua essenza. Ingannarsi, per difendere il senso. Il profumo di un’era é un album che lascia emergere la bravura di Amelie, dal l’impostazione tecnica vocale, all’intensità delle interpretazioni. Un disco completo, che raccoglie testi più leggeri e più profondi. Un viaggio nelle emozioni più diverse, con brani che emozionano e fanno sognare. Brava Amelie, bello il disco, sicuramente da ascoltare. Un’ottima compagnia.
Molto buono. È il bene più prezioso che ho fin da piccola. Ho imparato a coltivarla, a gestirla, ad amarla e ad indirizzarla su uno stile di canto (credo e spero) molto personale (così mi viene spesso detto sia da addetti ai lavori che da ascoltatori).Trovare il proprio stile di canto, al di la dello studio della tecnica, credo sia la cosa più importante. Una volta che ci riesci ti senti completo,riconoscibile, ed io, dopo molto impegno, studio, passione, in questo momento mi sento gratificata. Nonostante io insegni tecnica vocale, credo che la cosa più importante per chi usa la voce a livello artistico, sia sempre la personalità timbrica ed espressiva. Se sei riconoscibile hai una marcia in più, che si piaccia o meno (quello dipende sempre dal gusto personale di ognuno). È pieno di gente che canta bene ma che confonderesti con altri cento cantanti. Per cui ho sempre lavorato cercando di tirare fuori I lati che preferisco del mio timbro, adottando per esempio uno stile basato sull’”aria”, sul soffiato e sulla voce leggera, divertendomi a giocare (soprattutto in questo nuovo disco) anche con parti liriche (come in “Polaroid”) o parti “urlate” in belting (come “Milano”, “Zero”). Diciamo che, riassumendo, la tecnica ti mette a disposizione solo tutti I colori della tavolozza, e poi tu scegli quali usare. Ritengo importante però che sul pop italiano e ancora di più sulla musica d’autore non si debba sempre adottare un virtuosismo esagerato per mettere in primo piano la vocalità a scapito delle parole o della musica. Preferisco il virtuosismo messo a disposizione della propria qualità timbrica e dall’espressività che riesce a creare emozioni. Quando canti canzoni che scrivi è sempre importante trovare l’equilibrio e la perfetta formula tra voce, testo, musica, arrangiamento. La voce è uno strumento che ha il compito più difficile: quello di far parlare una canzone.
Ho posto alcune domande ad Amelie. Ecco le sue risposte.
Un disco sofferto, sicuramente. Cosa ti ha spinta a entrare nella mente dell’uomo per descriverne i lati oscuri e le sfumature delle emozioni?
Lo puoi dire forte. Ho trascorso due anni a fare una sorta di “ricerca” interiore attraverso suoni, sensazioni, emozioni, ricordi: il tutto attraverso un approccio molto serio di quello che è il puro concetto di “musica”, concentrandomi su una maggiore conoscenza della mia “spiritualità” (espressa attraverso la mia voce e le mie melodie). È stato come un viaggio di esplorazione bellissimo e anche doloroso; è come se durante questa avventura mi fossi resa conto di quanto essere “umani” possa portare ad avere un mondo eterogeneo e ricco di sfumature non sempre belle. Per questo mi son presa del tempo. Ho voluto raccogliere e raccontare questa varietà attraverso brani molto differenti tra loro che possano in qualche modo descrivere le varie sfumature. Ed ecco quindi pezzi con più lati oscuri, noir, quasi cinici, e pezzi più luminosi e solari, intimi e riflessivi.
Che rapporto hai con la tua voce?Nel brano “Il profumo di un’era” racconti una storia intensa e un rapporto che ti ha segnata. Quanto ti è costato scrivere questa canzone?
Il Profumo di un’Era è il brano del disco a cui sono più legata. L’ho sognato e ha preso vita subito al mio risveglio. Io ho composto la musica. Per l’arrangiamento ho lavorato in simbiosi con Giovanni Rosina mentre per il testo ho affidato il tutto a Fabio Papalini, mettendo solo qua e là qualche mia parola o frase (come per il lavoro svolto su tutto l’album). Fabio aveva appena vissuto la perdita di sua madre e quando mi ha inviato il provino del testo è riuscito a commuovermi fino a farmi piangere: questo è quello che cerco nella musica: emozioni. La sua storia è raccontata in modo talmente universale e allo stesso tempo intimo che alla fine credo porti ognuno ad immedesimarsi in questo dolore. Io personalmente ho associato il testo alla perdita di mia nonna, una specie di seconda mamma (nel video infatti utilizzo delle sue foto risalenti ai primi del Novecento). Il messaggio del “Profumo di un’Era” credo riesca a trasmettere un messaggio facilmente condivisibile: le persone che ci trasmettono valori intramontabili ci lasciano un “Profumo” che non puoi dimenticare nonostante la loro assenza materiale e nonostante il tempo fisico scorra velocemente.
In questo disco ti sei molto raccontata e guardata dentro, come ti sentissi nuova. Cosa è cambiato in te? Come descriveresti questa nuova Amelie?
Sicuramente più forte, meno fragile, più concreta e più determinata. Mi sento più matura anche se alla mia età questo termine fa anche un pò ridere (sarebbe più opportuno utilizzare il termine “pensionata” ) :D. Ma c’è stata davvero una crescita e un cambiamento. Nel primo album per esempio mi ero limitata a scrivere solo 2 pezzi e rivestivo molto di più il ruolo di pura interprete. In questo disco invece sono tornata ad essere musicista al 100%. 10 canzoni su 13 sono mie, sono nate proprio da mie composizioni al pianoforte; alcune pre produzioni sono state fatte da me in prima persona. Ho lavorato tantissimo al lavoro di arrangiamento in simbiosi con Il mio insostituibile produttore Giovanni Rosina e conosco a memoria ogni suono usato in produzione. Sul brano “Che cosa c’è” per esempio, oltre ad aver composto la musica, ho voluto fare io interamente l’arrangiamento (ho imparato a usare abbastanza anche Logic ed è stata la fine…ci sto attaccata fino alle 5 del mattino). Per quanto riguarda i testi invece ho collaborato (come ti dicevo prima) con l’autore toscano Fabio Papalini: c’è stata anche con lui molta condivisione; ci confrontavamo sulle frasi, sulle parole da utilizzare o su qualche cambio armonico che potesse sottolinerare parole forti… abbiamo trascorso insieme intere nottate e giornate a parlare per esempio delle tematiche affrontate. Mi sono molto divertita in questi due anni, nonostante fare ricerca interiore comporti anche momenti dolorosi e non sempre facili. Ma la parte creativa è sempre quella che preferisco.
Sei molto presente sui social e ci sono diversi riferimenti in alcuni tuoi brani, racconti anche un po’ la solitudine di questi luoghi e si percepisce la nostalgia di una realtà meno virtuale. Qual è il tuo rapporto con la realtà “virtuale”?
Ultimamente il mio rapporto è cambiato molto. Aggiorno sempre tutto da un punto di vista professionale, mettendo sempre meno invece contenuti privati. Generalmente ho notato che negli ultimi anni c’è stato un cambiamento radicale del web. Nell’ultimo periodo c’è davvero troppa roba ed è difficile emergere in mezzo alle tonnellate di informazioni (soprattutto visive) che affollano i social. Oggi le “cose leggere” o basate su una semplice immagine inevitabilmente attirano maggiore attenzione, richiedono meno tempo e sono più immediate. Pertanto diffondere musica o progetti in cui c’è bisogno di un interesse meno “immediato” che richieda più tempo per un ascolto o una lettura (di una recensione per esempio) è una cosa che viene fatta davvero dalla minoranza….si sa che ormai I social sono luoghi sospesi in cui se condividi un selfie vieni sommerso di like e commenti, se condividi un articolo o un brano musicale, hai sicuramente meno gente che si mette li ad ascoltare con reale interesse lasciandoti un commento contestualizzato. Credo sia importante anche imparare a riconoscere coloro che ti seguono in modo fedele perchè davvero appassionati a ciò che proponi artisticamente, da chi invece commenta solo all’inizio per apparire e farsi notare o per pretendere magari qualcosa che vada oltre la semplice conoscenza virtuale o sostegno professionale. Con questo non voglio però gettare solo critiche sul web. A me in molte occasioni ha aiutato molto e ho conosciuto persone con le quali ho imparato anche a costruire bei rapporti di stima. Diciamo che generalmente la superficialità penso domini non solo nella vita reale, ma ancora di più sui social e su web, perchè di gente che perde un pò più di tempo ad ampliare veramente la “conoscenza” di qualcosa sui social ce n’è davvero poca e ahimè forse la musica di nicchia fatica ad emergere come al solito, a meno che non si nasca geni del marketing web….ma spesso chi ha animo artistico, si sa, con il marketing va poco d’accordo. Comunque come sai nel nuovo disco ci sono pezzi che parlano proprio di questa superficialità da web: in “Ti ho ucciso con un click”, dico proprio “Sei un cuore virtuale mi fai stare male, ti ho ucciso con un click”. Ormai il click è diventato anche una sorta di Crick.
Nel brano “Polaroid” emergono sfumature amare nei riguardi dei sentimenti, come a voler fermare un attimo passato, perché non possa sporcarsi. L’amore, oggi, è ancora quello che raccontavano i cantautori di una volta, o è qualcosa che si è già “sporcato”?
L’amore è qualcosa di grandioso che è stato esplorato dai più grandi cantautori in modo sublime da De Andrè a Tenco, da Endrigo a De Gregori, Battiato (che stra adoro). In Polaroid viene messo al centro un amore specifico: l’amore per la verità. Polaroid è proprio una sorta di inno alla verità. L’amore per la verità, certe volte fa male. E’ deleterio. Ci espone a consapevolezze di ogni tipo. Ed è inutile tentare di non vedere le proprie e altrui verità perché “tanto stanno sempre là”. Ma se si è abituati a farlo, o si vorrà navigare “a vista e non di schiena”, non se ne potrà fare a meno. Inizierà in quel caso un’ Era della nostre vite costellata di rivelazioni bellissime o forse di delusioni, rovine e catastrofi di dimensioni cosmiche, per noi. Ma siccome amiamo la cifra dell’ironia in ogni caso, a maggior ragione in questo frangente farà la differenza prendere tutto con savoir faire mantenendo sempre un certo “stile”. Per cui anche l’amore inteso come sentimento potrà rivelare un aspetto meraviglioso oppure solo “pornografia” (come si dice nel testo). Polaroid è uno dei 3 brani del disco che non ho scritto io in prima persona (zulian/papalini) ma come gli altri due unici pezzi non scritti da me (Messaggi e Mondobit), è nato esclusivamente per la sottoscritta e credo si senta. Zulian e Papalini lo hanno composto dicendomi subito “lo abbiamo scritto per te”. E appena l’ho sentito ho capito. Come Messaggi e Mondobit si inserisce perfettamente nel mio modo di concepire la musica e sembra davvero una mia composizione. Naturalmente insieme al Rosina ho lavorato poi all’arrangiamento per stravolgerlo e farlo ancora più “mio”. Ogni volta che ascolto il finale con quella coda strumentale con la parte lirica mi emoziono. E’ il giusto finale di quello che ho vissuto in questi due anni. Sono una sostenitrice (anche un po’ idealista) del concetto di verità, sempre. Nel bene e nel male. Per questo ho voluto concludere il tutto dicendo: “Scattiamo due polaroid del finale, con stile diciamoci così sia”.
Come descriveresti il tuo album in un twit?
Un’avventura musicale “col naso al’insù” tra “nuovi mostri”, “alieni delle 3”, “messaggi” e “click” per arrivare a scattare una “Polaroid” di “Un’altra vita” che parta da “Zero”. Tutto per assaporare il Profumo di un’Era, la nostra.
Ringrazio Amelie per la collaborazione, la professionalità e soprattutto per la simpatia.

Recensione del romanzo “Niente è come te” e intervista all’autrice Sara Rattaro

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Interviste, Recensioni

Il romanzo “Niente è come te” di Sara Rattaro è un flusso intenso, impetuoso e turbolento, di emozioni. Un impatto emotivo che non lascia scampo e che pagina dopo pagina conquista il lettore, lasciando emergere ricordi, sensazioni e pensieri rimasti nascosti da qualche parte. Ogni parola è conflitto e redenzione, immagine e sfumatura. I personaggi esplodono con la loro anima pulsante e con tutte le sfumature del loro carattere. La storia fa riflettere su un tema oggetto di attualità e che spesso appare davvero poco conosciuto, quello del “rapimento” di un figlio da parte di uno dei due genitori. In questo caso è diritto a essere padre a essere negato. E’ una distanza che viene imposta, non solo geometrica, ma psicologica. Questo romanzo racconta la sofferenza di un padre che non può vivere più integralmente la sua vita, che non può essere presente mentre la sua bambina cresce. E’ un padre che non è più un padre, bensì una figura nebulosa che scompare gradualmente agli occhi di sua figlia. Che diventa man mano sempre più lontana e ininfluente, fino a essere sostituita da un altro padre. La voglia di rivedere la sua creatura diventa un’ossessione, uno scontro odierno con la burocrazia, con l’ingiustizia e, infine, con se stessi, con quella sensazione di “aver sbagliato tutto”. Il protagonista è Francesco, un uomo che sa amare e lo fa fino a consumarsi dentro. Il destino gli riporta Margherita, la figlia che gli era stata portata via. Francesco deve imparare a conoscerla. Margherita deve scoprire che l’ha sempre amata. Che non l’avrebbe abbandonata. “Niente è come te” è un viaggio nei sentimenti, da quelli più colorati a quelli più oscuri, dal sapore della vittoria a quello della sconfitta. Il bianco e il nero e viceversa. Un romanzo che entra nell’anima senza nemmeno bussare. Devastante nella sua crudezza e nella realtà di una quotidianità difficile. Il rapporto padre figlio sembra quasi sempre normale, scontato. Sembra assurdo che a un genitore possa essere negato di veder crescere il proprio figlio. Eppure accade. Sara Rattaro mette in luce il dramma di tanti uomini e donne che ogni giorno vedono negato il proprio diritto. Una sofferenza che vieta anche di vivere, di avere il coraggio di rifarsi una vita. Di andare avanti. Ci sono pagine che vengono strappate e nulla potrà sostituirle, non esiste un surrogato dell’amore, l’amore per un figlio è qualcosa di più. Quel bambino è la cosa più importante, quella certezza di avergli donato la vita e la voglia di vederlo nascere, crescere, insegnandoli i primi passi e, poi, a vivere. Quel bambino a cui dire, niente, ma proprio niente, è come te.
Ecco una breve intervista all’autrice di “Niente è come te” Sara Rattaro:

Il “rapimento” di un figlio, sicuramente un tema difficile da raccontare. Cosa ti ha spinta a entrare in questo mondo così ricco di contraddizioni?

È stato l’incontro con uno dei protagonisti veri di questa storia. Un uomo che non ha contatti con sua figlia da molti anni. Grazie a lui sono venuta a conoscenza di molte storie che coinvolgono molti italiani e italiane che spesso non sanno nemmeno dove si trovino esattamente i loro figli.

Esiste un “giusto e sbagliato” in un caso di rapimento di un bambino? C’è in qualche modo una forma di “giustificazione” a un’azione così perfida?

È difficile dare una risposta. Chiunque decida di andarsene con un figlio in un modo così brutale deve avere delle ragioni in cui crede fermamente, che queste siano giuste o sbagliate è un altro discorso. La verità è il vuoto legislativo che governa questa situazione e che non permette mai di fare chiarezza e che tuteli le uniche vittime di tutto questo che sono i minori.

E’ legittimo pensare che chi scappa con il bambino da casi di violenza domestica metta in pratica un vero e proprio rapimento? Nel senso, ci sono secondo te casi in cui è necessario portare via il bambino?

Forse sì. In casi di violenza la situazione è molto diversa da quella che racconto. Bisogna considerare che il 93% delle accuse di violenza che vengono fatte contro un coniuge per giustificare la sottrazione, con il tempo vengono considerate infondate e decadono. Spesso è la migliore arma usata sia per prendere tempo che per facilitare l’allontanamento dell’altro genitore.

Nel romanzo racconti i disordini emotivi e alimentari dell’adolescenza legati alla disgregazione del rapporto tra i genitori, quanto questi due fenomeni sono collegati nella società moderna?

Credo sempre di più o forse ora se ne parla con più attenzione. Tutti i disordini emotivi e alimentari dell’adolescenza sono spesso riconducibili a disordini affettivi famigliari. I ragazzi che vivono la sottrazione di un genitore e la sua alienazione sono i più a rischio, sia che questo avvenga in seguito a un allontanamento internazionale che non.

Quando un uomo e una donna smettono di amarsi, smettono in quell’istante anche di conoscersi? Viene legittimo procurare un dolore anche quando non c’è motivo? E fino a che punto è corretto dire “lo faccio per il bene del bambino?”

Questa è una domanda molto difficile. Non so perché ma so che accade e molto spesso e non bisogna andare a cercare le coppie miste per averne la prova di un odio coniugale che supera l’amore per i figli. Troppo spesso si vedono situazioni in cui i figli sono merce di scambio o di ricatto per ottenere qualcosa o ferire l’altro coniuge. Quello che ogni genitore dovrebbe tenere presente è che le conseguenze di ogni azione coinvolge sempre e soprattutto il figlio, soprattutto l’odio.

L’amore è sempre un sentiero tortuoso, anche in questo romanzo sei riuscita a entrare oltre il sipario delle storie e dei sentimenti dei personaggi. A raccontarli con la ormai consueta maestria, quanto hai lasciato della tua anima in “Niente è come te”, quanto ti appartiene?

Mi appartiene, come tutte le mie storie, moltissimo e soprattutto appartiene al momento della mia vita in cui l’ho scritto e a tutto quello che mi ha insegnato soprattutto dal punto di vista umano. C’è stato un momento preciso in cui quella storia ha smesso di essere un fatto di cronaca durissimo e si è trasformato nel mio romanzo, e questo delicato passaggio lo ha voluto chi mi ha generosamente aperto il suo cuore raccontandomi un grande dolore, forse il peggiore incubo per un genitore.

Ringrazio Sara Rattaro per l’intervista e soprattutto per avermi regalato le emozioni del bellissimo romanzo “Niente è come te”.

Recensione concerto Zibba @Hiroshima a Torino e intervista

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Interviste, Recensioni

Il tour post-San Remo di Zibba e gli Almalibre parte dall’Hiroshima Mon Amour di Torino. La scaletta unisce pezzi che hanno fatto la storia artistica di Zibba come “Margherita”, “La notte che verrà” e “Anche se oggi piove” ai pezzi più recenti brani come “Bon Vojage” e “Come il suono dei passi sulla neve” oltre alla ormai famosissima “Senza di te” presentata a Sanremo. Nuovi arrangiamenti e uno stile più maturo sono la caratteristiche di questo spettacolo. Nuove sonorità e pezzi risuonati con una nuova luce e che rispecchiano in pieno lo stile del nuovo disco “Senza aspettare l’estate”.  Arrangiamenti scandiscono il tempo di un’evoluzione artistica che negli anni hanno condotto Zibba sino al prestigioso palco dell’Ariston, passando per prestigioso Premio Tenco. E’ una serata di pioggia, ma non sufficiente per fermare il numeroso pubblico accorso all’Hiroshima. Canzoni come “Nancy”, in una nuova versione, e “Prima di partire” fanno cantare il pubblico. Momenti di assoluta poesia con le incantevole “O Mae Mà” e “Dove i sognatori son librai” e “Una parola illumina”. Un breve medley ricorda brani storici e bellissimi ed evocativi per chi ha seguito Zibba per tanti anni “Un’altra canzone” e “In una notte con solo sue stelle”. Le bellissime canzoni di Zibba si susseguono, comprese le cover divenute famose come “Ciao, ti dirò”, “La vita e la felicità” (la canzone vincitrice di X-Factor, cantata da Michele Bravi e scritta in collaborazione con Tiziano Ferro) e “Il mio esser buono”, portata al successo da Cristiano De Andrè. Stupenda e coinvolgente anche la canzone che regala il titolo al nuovo album “Senza pensare all’estate”. I nuovi arrangiamenti dei brani più e meno recenti del cantautore ligure raccontano una crescita professionale e denotano una maturazione artistica. I brani saporiti e popolari fanno posto a una vena che diventa sempre più profonda e intimista. Temi che toccano tanti aspetti della vita, dal fumo del bar a parlare di donne, alla birra dopo il concerto, all’amore in tutte le sue sfumature. Per una donna. Per un figlio. Luoghi e odori conosciuti lungo la strada e cari a Zibba e un continuo riferimento al mare. Uno dei punti di forza della musica di Zibba e gli Almalibre. Emozioni e incanto che dal concerto rimangono nella memoria e nelle sensazioni. Così come dal primo concerto. Un successo sicuramente meritato, frutto di tanto lavoro e passione per la musica e per il palco. Tutte caratteristiche che non smettono di coinvolgere. Un bel concerto, espressione piena anche del nuovo disco “Senza pensare all’estate”. Assolutamente da ascoltare.

Abbiamo posto alcune domande a Zibba:

Gli arrangiamenti del nuovo disco e del tour sono frutto di una naturale evoluzione artistica o di una precisa scelta stilistica?

Frutto di una serie di incastri, di energie. Sicuramente c’è un’evoluzione artistica che sta prendendo forma e che vedrà nei prossimi album andare in una nuova direzione, ancora una volta, il nostro suono generale. L’inserimento delle percussioni e dei synth sta caratterizzando anche il mio modo di scrivere e pensare gli arrangiamenti.

“Senza aspettare l’estate” è una canzone particolare e racconta un modo di pensare, un tentativo di godersi il momento. Temi a volte davvero di svegliarti e non essere poeta?

Si, capita spesso. Quando come tutti cado nel tranello di far comandare solo la mente. Siamo spesso in attesa che qualcosa, le stagioni, dio, gli altri, portino luce nelle nostre giornate. Meglio muovere il culo e provare a cambiare le cose per come vorremmo fossero. Mettersi nella condizione di essere felici sempre è un lavoro duro ma paga. Ci vuole coraggio e passione anche qui.

La tua è una carriera lunga, che parte da lontano. Quanto conta la classica “gavetta” per raggiungere la qualità dei tuoi dischi?

Forse conta, ma conta anche la band. Conta come si sta quando si entra in studio. Zibba e Almalibre non sono mai stati così sereni e liberi di godersi i momenti. Questo cambia le cose, nel suono e nel colore. Poi ci metti tutti gli anni di palco e tutti i dischi fatti, l’esperienza e tutte quelle cose che sappiamo aiutano a sentirsi più sicuri. Ma di fondo sei tu, la qualità di quello che fai passa per quanto avevi voglia realmente di farlo.

Negli ultimi tempi hai collaborato con numerosi artisti importanti, cosa hai imparato da loro? Quanto sono stati importanti nel raggiungimento di questo successo?

Da ognuna delle persone incontrate nel cammino provo a prendere il massimo. Conta. Tutti ci insegnano qualcosa anche indirettamente. Non sarei quello che sono, qualunque cosa io sia, senza aver incontrato chi mi ha fatto tremendamente bene o maledettamente male. Si elabora. Si cresce. La musica non è mai un fatto solo personale.

Come riesci a gestire la vita familiare con un’attività musicale intensa che ti porta a girare l’Italia e che d’ora in poi non potrà che aumentare?

Con la fortuna di avere accanto persone che capiscono, che amano quello che faccio e il come. D’altronde stare con un cantante non è mai stato semplice per nessuno. Ci si impegna al massimo quando l’obiettivo comune resta invariato nonostante gli eventi. Costruendo senza aver paura di sbagliare. Consapevoli che sbagliare serve quanto far bene.

Anche l’ultimo disco è stato prodotto da etichetta indipendente, temi che l’ingresso nel panorama delle major possa in qualche modo modificare la tua naturalezza nello scrivere che abbiamo imparato ad apprezzare sin dai primi dischi?

No, semplicemente prima di cedere il nostro lavoro nelle mani di qualcuno vorrei trovare le persone giuste. La differenza tra major e indipendenti non è più così enorme, noi preferiamo restare soli fino al momento in cui riusciremo a trovare un discografico con il quale poter condividere valori e birre al bancone oltre alle prospettive lavorative. Sono fiducioso, ma per ora restiamo noi. Nulla potrà mai snaturare quello che siamo, non ce ne sarebbe motivo. Facciamo musica perchè non possiamo farne a meno, perchè amiamo tutta l’energia e la passione che sono nutrimento per le nostre giornate. Resteremmo noi comunque

Ringraziamo Zibba per la gentile collaborazione.