L’altalena di Marco Masini

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L’altalena di Marco Masini racconta la storia del cantautore nei dettagli e retroscena che ne hanno delineato successi e insuccessi di una carriera caratterizzata da luci e ombre. Avevo già letto una biografia del cantautore, ma in questa si entra nel vivo di un punto cruciale, ovvero della forma di malessere che ha caratterizzago la vita artistica del cantautore, in particolare in relazione alla diceria che lo definiva tra gli adetti ai lavori un “porta sfortuna”. Situazione che man mano lo aveva isolato e tenuto lontano dai palchi più importanti per molto tempi, fino a costringerlo al ritiro dalle scene. Parla dell’affetto dei suoi fan, che lo hanno spinto a continuare. Del rapporto con gli autori, in primis Bigazzi, che con lui hanno dato vita ai più grandi successi, delle rotture, gli allontanamenti e delle crisi che hanno portato ogni volta a una rinascita. Ho trovato tuttavia questo libro ingiusto nei confronti delle canzoni che l’autore ha creato nel tempo, come se fossero soltanto alcune ad aver lasciato un segno. È il caso del disco “Scimmie”, bellissimo, ma considerato di fatto un errore. Questo libro racconta l’ipocrisia della musica, di quanto sia necessario fingere per mantenere il successo. Nel leggerlo ci si sente delusi, scoprendo così di aver seguito per anni uno spettacolo finto, perché per molti che hanno seguito con lui quel viaggio ora scoprono che erano in viaggio su un pulman di cartone. È vero, il mondo della musica è stato crudele, ma lo è stato anche il mondo normale, in cui chi ascoltava quelle canzoni era considerato a sua volta un perdente. C’era musica migliore ai tempi e c’è stata anche dopo, si è scelto di percorrere quella strada, inconsapevolmente, senza sapere che dietro quelle canzoni non ci fosse molto altro che presunzione. L’altalena è un libro che, più che raccontare, vuole giustificare scelte e posizioni. Trasuda rimpianto per il successo di un tempo. Sicuramente raccontare quella storia può essere stato liberatorio, speriamo sia l’inizio di un nuovo percorso, meno legato al passato e più in ottica di futuro artistico.

Foto: fonte web (Mondadori)

Bianco è il colore del danno, di Francesca Mannocchi

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“Bianco è il colore del danno” di Francesca Mannocchi è un viaggio in una vita, nei suoi contrasti, nell’anima oscura di un conflitto che cambia ogni equilibrio e certezza. È una ricerca di consapevolezza, una sfida impari alla paura. Ma è anche una confessione potente, delle debolezze e delle fragilità di una donna. La scoperta di un mondo interiore. È il tentativo di perdonare e perdonersi, cercando qualcosa di sé, che inevitabilmente si è perso. Ma anche la volontà di trovare un nuovo punto di vista.

Il mutilatore di Marco Paracchini, edito da Golem Editore

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Il protagonista è Kenzo Tanaka, un detective privato, che, a seguito del ritrovamento di una serie di valigie contenenti parti del corpo appartenenti a delle giovani donne, affianca l’ispettore Gamanote in una corsa contro il tempo per fermare un feroce serial killer.
Una delle particolarità di questo noir è l’ambientazione, l’indagine si svolge, infatti, a Tokio.
Il Mutilatore è un noir dalla trama fitta ed efficace, che ricorda il primo Faletti e Murakami, in alcuni passaggi legati agli aspetti caratteristici del Giappone.
Il risultato è un romanzo con ottima leggibilità con spunti interessanti sulla vita, la cultura giapponese e su relazioni e rapporti tra personaggi.
Ottimo per chi ama i noir e per chi predilige una scrittura veloce, chiara e una trama diretta.

Due parole sul romanzo “La ragazza del collegio” di Alessia Gazzola.

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Due parole sul romanzo “La ragazza del collegio” di Alessia Gazzola.
Ok. L’Allieva è una serie che ha riscosso e riscuote un grande successo.
Vien sa sé che è un peccato non portare avanti una saga come quella.
Però, arriva un momento in cui le storie iniziano ad apparire spente e senza più quel brio che le caratterizzava.
E questo momento credo sia arrivato.
Ben inteso, il romanzo è scritto bene e si legge piacevolmente, ma a questi livelli non può e non deve essere sufficiente.
I nuovi personaggi non emergono, il finale è sbrigativo, sia per quanto riguarda l’indagine, sia sulla trama principale che riguarda i protagonisti principali, Alice e Claudio. Molta confusione.
Spiace, ma questo romanzo non rimarrá tra i miei preferiti.

Due parole su Don’t Look Up

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#DontLookUp
Se ne sta parlando molto, quindi perché non darci un’occhiata?
Certo, se questa è davvero una metafora per parlare delle catastrofi imminenti e della mancanza totale di attenzione, nonché della predominanza degli interessi economici su quelli anche solo logici legati alla sopravvivenza della specie, siamo messi male.
Non perché il film, in sé, sia male. Anzi. È ironico, metaforico e decisamente simbolico, ma arriva tardi perché possa sensibilizzare qualcuno.
Ormai è difficile capire cosa sia commedia e cosa sia realtà, nella comunicazione e nella politica, perché tutti siamo fin troppo confusi. In questo la trama coglie nel segno, raccontando un mondo vittima della sua indifferenza, della smania di protagonismo dell’essere umano, che ha perso completamente contezza della sua vulnerabilità.
Un modo come un altro per esorcizzare la società moderna e per riflettere, forse.
Insomma, trovo poco giustificato il grande successo, poiché non l’ho trovato particolarmente innovativo, ma ho apprezzato il tentativo. Tutto sommato, da guardare.

Due parole su Squid Game

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Due parole su SquidGame.

Io l’ho trovato triste. La narrazione scava molto nell’animo dei protagonisti, al punto da diventare una metafora del mondo, di come la vita possa portare una persona a fare scelte disperate al fine di riscattare la propria identità e la propria storia. A scommettere tutto, compresa la propria vita. Il punto è proprio questo, la vera protagonista della storia sembra proprio essere la disperazione. Non si intravedere una vera e propria forma di riscatto da parte dei personaggi, in qualche modo sembrano tutti perdenti, incapaci di riprendersi davvero la propria vita. In questo modo diventano ostaggio di un gioco perverso e perfido, che li spinge ben oltre i limiti della civiltà, perché la vera sfida è sopravvivere. La metafora copre la differenza tra il mondo ricco e la povertà più assoluta, tra la disperazione e la perversione, in un vortice che oltrepassa l’intrattenimento, per arrivare alla voglia di prendere le distanze. Ok, anche in questo caso si tende a guardare questa serie più per moda che per volontà, però dovremmo sforzarci di leggerci il messaggio che vuole dare, perché non è solo una serie per intrattenere e va ben oltre le scene sensazionalistiche più conosciute. L’obiettivo, infatti non sembra quello di intrattenere, fa di far provare quella forma strana di tristezza. E in questo raggiunge bene il risultato.

#SquidGame

#Netflix

Due parole sul finale de La Casa di Carta

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Due parole sul finale de #lacasadicarta,le diciamo? Ma sì.Come avevo già scritto, si tratta più che altro di un fumetto. Nulla di verosimile, ma questo non è necessariamente un problema.Per quanto mi avesse lasciato molto basito la prima parte della quinta serie, devo ricredermi. Il finale mi ha emozionato. D’altro canto la serie è stata costruita bene, non in modo perfetto come la prima, ma si lascia guardare.I personaggi sono molto intriganti, a partire dai principali, molti dei quali forse non avrebbero dovuto essere sacrificati troppo presto. Ma penso ci siano motivazioni più ampie rispetto a quelle della trama.La storia è abbondante, a tratti eccessiva. Ma è proprio in questo eccesso che la trama prende forza, autoalimentandosi e caricandosi dell’emotivitá delle storie di ogni personaggio. Il fulcro è il professore, ma è una metafora del gruppo, dell’ideale come scopo della propria vita. Dell’unione come locomotiva delle proprie azioni e specchio del futuro. In qualche modo questa storia é istruttiva, sicuramente un valido intrattenimento.#lacasadepapel

La casa di carta 5, ecco cosa ne penso.

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La Casa di Carta è una moda.
Probabilmente potrebbe tutto racchiuso in questo concetto.
La quinta seria, che altro non è se non il continuo della seconda, che già era una lontana parente della prima, non mi ha convinto.
La trama è scadente.
Tutto è eccessivo.
Le emozioni vengono ripetutamente spiegate e contestualizzare.
Troppe scene eccessivamente inverosimi.
Al netto di una narrazione che sicuramente funziona e attrae, c’è poco altro.
Vedremo il finale, con la speranza che possa quantomeno rialzare la media.

#lacasadicarta

24, seconda serie.

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Vi avevo già parlato della prima serie di #24, serie che vede 24 puntate, ognuna delle quali racconta un’ora di una storia che si svolge, appunto, durante un periodo di tempo di 24 ore. Nel raccontarvi la prima serie, vi avevo evidenziato una serie di criticità, come la presenza di alcuni rallentamenti nella narrazione. Nella seconda serie queste criticità non ci sono e la narrazione sfiora la perfezione. Seppur rimanendo una storia con moltissime forzature ed esagerazioni, alcune davvero eccessive, la storia appare scorrevole e gradevole. L’attore principale Kiefer Sutherland si dimostra anche in questo caso molto capace, così come gli altri attori, in questo caso soprattutto Carlos Bernard e Reiko Aylesworth. Meno convincente la recitazione di Dennis Haysbert in un personaggio,  quello del Presidente degli Stati Uniti, che non emerge mai abbastanza, soprattutto visto il ruolo rilevante che ricopre.
Nel complesso la serie è veloce, intrigante e toglie il fiato nel rincorrersi di colpi di scena.
#serietv