Ritorno alla vanga

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Mi sono imbattuto nella proposta del Ministro dell’Agricoltura Lollobrigida per il Servizio Civile agricolo, ovvero dare la possibilità a dei giovani di andare nei campi per difendere la “Patria”. Al netto che anche in agricoltura ormai si fa uso di mezzi ad alta tecnologia e che quindi questa visione dei campi suona quanto meno anacronistica, si sta completamente sottovalutando di quale sia davvero il senso del Servizio Civile, che sempre più spesso appare come l’unica modalità per fare esperienza e consentire di costruirsi un curriculum per giovani partendo dai propri corsi di studio e che, viceversa, dovrebbero accettare le regola di un sistema che vuole replicare a vita il fantastico modo degli anni ’80 in termini di sfruttamento della manodopera. Dimenticando che oggi il mondo ha bisogno di menti aperte, di idee da sviluppare, di andare avanti e imparare a utilizzare le nuove tecnologie da applicare in tutti i settori, agricoltura compresa. Esistono sistemi automatizzati e sensorizzati per rendere più efficace e sostenibile l’utilizzo dell’acqua per scopo agricolo, che monitorano l’umidità delle varie specie coltivate al fine di fornire il giusto quantitativo di acqua e sostanze nutritive. Esiste un mondo che progetta mezzi agricoli ad alto rendimento. Un mondo che studia la climatologia per consentire l’attecchimento delle migliori colture. Personalmente mi è capitato spesso di avere di fronte ragazzi con tutte le carte in regola per costruire ognuna di queste forme di futuro. Ragazzi a cui leggi negli occhi che hanno voglia di fare, di costruire. Il mondo a cui buona parte della politica vorrebbe riportarci è stato superato dalla realtà di oggi. Non è un caso se anche il mercato dell’auto è tramontato, per continuare a difendere qualcosa che non c’è più. Se il mercato dell’auto elettrica sta diventando il punto di forza della Cina e non il nostro è perché al posto del tech e della sostenibilità a chi è titolato a fare scente politiche piace più pensare alla vanga e ai tempi che furono. Il futuro, però, non aspetta. E c’è anche un mondo ormai stanco di questa politica del tutto inutile e dannosa.

Dilemma artificiale

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In giro c’è un gran parlare di intelligenza artificiale. Una corsa sfrenata a spiegare cos’è, come si utilizza oggi e come potrà essere applicata domani. Tra entusiamp e paura si muove un esercito di pensatori, tutti con la soluzione già in mano. Al netto di questo scenario semplicemente surreale, si muove la realtà. Negli ultimi quindici anni abbiamo visto svilupparsi tecnologie impensabili anche solo fino all’anno prima. Abbiamo visto diventare essenziale un oggetto come il cellulare, trasformatosi in poco tempo in un mini computer da passaggio. Nel frattempo è sempre migliorata la capacità di processo e di memoria di questi dispositivi, sempre più piccoli e performanti. Lo stesso è accaduto per le capacità di calcoli dei sistemi alla.base dei principali colossi tech, così da creare macchine in grado di sviluppare vere e proprie analisi che simulano il ragionamento umano, pianificando un futuro in cui questi sistemi possano effettuare scelte più o meno autonome. Qui si gioca il futuro. Le scelte più o meno autonome. Questo concetto va semplificato facendo qualche esempio. Potremmo aver necessità di un sistema che possa monitorare in remoto uno scenario, sia esso una perturbazione o un sistema produttivo, al fine di prevedere eventuali malfunzionamenti del sistema? La verità è che la risposta è sì. Potremmo averne bisogno, perché sarebbe possibile superare quelle che sono le criticità insite nell’essere umano: distrazione, errore, capacità relativa di concentrazione e di analisi. In più questi sistemi sarebbero in grado di “vedere e processare” una quantità enorme di dati in tempo reale e di effettuare in tal modo scelte probabilmente più ragionate di quelle effettuate dall’uomo in un momento di emergenza, potendo basarsi su immensi data base di dati pregressi e di esperienze di anni di eventi. Sembra tutto perfetto, fino all’errore della macchina stessa. Il sistema deve esserr formato e a farlo è l’umano stesso, spinto dalle sue paure e dalla sua mania di controllo, più o meno giustificata. E qui nasce il quesito: quanti gradi di libertà è opportuno assegnare a questi sistemi perché non si sviluppino a tal punto da non aver più bisogno di noi e che sviluppino capacità proprie di valutazione? Lasciare loro il ruolo di strumento o spingerli a un pensiero più “puro” del nostro? Ma questo è un finto dilemma, appunto, artificiale. Perché rientra in una sfera più grande, della ricerca eterna di qualcosa di “più grande”, concetto che ben poco ha a che fare con la scienza. A oggi è importante conoscere il funzionamento di questi strumenti, capire come usarle per migliorare le nostre attività, senza limitarne a prescindere l’utilizzo per paura di esserne travolti. Il resto è solo una paura, più o meno ingiustificata.

Immagine generata da Gemini.

Fame di fama

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Si parla molto del.dissing tra tutti questi signori: Fedez, Tony Effe, Ferragni e compagnia bella. E sì, ho ascoltato credo tutto e letto abbastanza. Da questo a mio avviso triste spettacolo emergono solo riferimenti a chi si è fatto una e chi si è fatto l’altra, tra chi è più bello di chi, tra chi guadagna più soldi postando video in palestra. Ragazzi, ma, davvero? Anche si trattasse di una strategia per risollevarsi dalle brutte storie sulla beneficenza, cercando di tenersi a galla, no, basta, la musica è una cosa seria e qui siamo di fronte a gang di marchettari e piazzisti di se stessi. C’è alla basa un fraintendimento, non tutti quelli che vi seguono sono vostri fan, la maggior parte delle volte vediamo passare questi video percependo una strana forma di stupore. Perché questo fenomeno dei social, dove diverse tipologie di soggetti sentono di poter “influenzare” qualcosa o qualcuno è certamente da studiare. E premesso che siamo tutti più o meno schiavi di qualche algoritmo, che bisogna sollecitare ogni giorno per evitare che ci facciano scomparire nell’oblio, facciamo ormai fatica a guardarci allo specchio senza un qualche filtro che ci faccia sentire meno vecchi o meno patetici.

Ciao, Totò.

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Era il 1990. Erano le prime partite di calcio che vedevo in vita mia. Poi la favola del giocatore che si alzava dalla panchina per risolvere la partita. Lo sguardo spiritato, quasi di stupore, dopo il primo gol. Ricordo l’atmosfera di festa per i gol successivi, fino alla semifinale Italia – Argentina, contro niente meno che Diego Armando Maradona. Ricordo le attese fuori dagli spogliatoi della Juve per avere il suo autografo, che ancora oggi custodisco. Ricordo i cori allo stadio, come fosse ieri.
Se ne va una parte di quella vita, perché Totò Schillaci per me era ed è rimasto un mito.

Buon sessantesimo compleanno Marco Masini

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Le canzoni di Marco Masini sono stati per me una colonna sonora, nei momenti difficili e in quelli più belli. La gente parlava, parla e parlerà ancora, ma la verità è che la bella musica, quella che sa emozionare passa sempre. Le chiacchiere restano lì, nel rancore di chi non ha altro da offrire. È vero con alcune di quelle canzoni abbiamo sfiorato la rabbia, che però celava la voglia di rialzarsi e ricominciare ogni volta, di continuare a sognare, anche quando ti dicevano di stare zitto, di non pensare. Quelle canzoni insegnavano ad andare avanti nonostante tutto, a far diventare le lacrime nuove parole, nuove melodie, nuovi testi. Quelle canzoni hanno contribuito a farci diventare ciò che siamo, sicuramente non perfetti, ma fieri di dare ogni volta tutto ciò che abbiamo per giocare ogni partita, a prescindere dal risultato. Ci sono stati momenti in cui i teatri erano diventati improvvisamente vuoti, li abbiamo visti tornare a riempirsi e a cantare quelle stesse canzoni. A urlare vaffanculo a chi ci aveva ferito, ma anche che si può tornare a scrivere nuove storie d’amore.
Per questo e per tanto altro, Marco, non posso che farti i miei migliori di buon sessantesimo compleanno. E che dire, se non dirti grazie.
#10amori

Il successore” di Mikkel Birkegaard, edito da Longanesi

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Il successore” di Mikkel Birkegaard, edito da Longanesi, è davvero un bel thriller. E di questi tempi non è così semplice trovarne. Un mistero incastrato in un meccanismo narrativo ben costruito. Una storia che parte dal suicidio di William Falk, il Re del romanzo giallo danese, il cui cadavere viene ritrovato sulla poltrona di casa di Laust Troelsen, con accanto la scritta “SCUSA”. Anche Laust è uno scrittore, ma che non ha mai pubblicato niente e per vivere svolge stancamente la professione di insegnante. Falk, però, ha nominato una serie di scrittori conosciuti tempo prima per portare avanti il suo ultimo lavoro, tra i quali proprio Laust, il quale dovrà, per essere scelto per il difficile compito, vivere nei ritmi e nelle consuetudini di William.
I personaggi del romanzo sono affascinanti, a partire da Laust e William, per arrivare a Paul, Versal e Flemmingway.
Il ricorso ai flashback ben si incastra con la narrazione degli eventi in corso. Si tratta di una caccia al tesoro, rappresentato proprio dal testo del romanzo postumo di William Falk, sullo sfondo, però, c’è un mistero ancora più grande e complesso. Un meccanismo a orologeria che mette in scena una storia accattivante e coinvolgente. Ottimo romanzo.
#IlSuccessore

Il profumo di un’altra scusa

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Senza alcuna scusa,
la notte non ha portato consigli.
Chiusa in una stanza,
origli discorsi che non comprendi.
E lo capirai col tempo,
che spesso non accade.
Che non c’è vento che tenga,
quando cade una nuvola.
È l’alba, lucida e nuda.
Cruda come crederci ancora;
Ora che la nuvola è fumo.
Il profumo di un’altra scusa.

Il tempo della leggerezza

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Incrocio sulla banchina della stazione una persona che a prima vista mi sembra di conoscere. Capisco che quella persona è stata una persona amica nei tempi dell’adolescenza, fino al periodo dell’Università. Successivamente ci allontanammo, non ricordo nemmeno bene il motivo, probabilmente il tempo ci aveva cambiati. Nemmeno un saluto, una parola, nulla. Mi ha fatto riflettere su come i legami, le amicizie svaniscano spesso senza lasciare traccia, anche se sappiamo bene che non è vero, le tracce restano. Restano le delusioni, come macchie indelebili su un pavimento appena lavato. Ripensi a quei tempi, era inevitabile che io cambiassi. Era essenziale. A volte per andare oltre bisogna distruggere qualcosa di se stessi, anche se questo porterà a essere visto e percepito come qualcosa di differente. Il tempo della leggerezza era finito, anche se a volte mi sembra non esserci mai stato.

Quando tutto è cambiato

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11 settembre 2001.
Ricordo ancora il momento esatto in cui il telegiornale ha mostrato le immagini del primo aereo che si schiantava contro la torre.
Ieri sera rivedevo quelle stesse immagini in documentario dell’evento e non riesco ancora oggi a immaginare che sia davvero accaduto, nemmeno essendo andato sul posto e aver visto gli immensi buchi rimasti, diventati poi monumenti. E poi penso che da quello stesso momento il mondo è cambiato. Una sequenza di eventi ci hanno condotti fino alla situazione storica attuale, attraversando scenari orribili, riportando le lancette della storia a decenni prima. Come una tremenda macchina del tempo, sembra non riuscire più a riportarci a quella vaga e inconsapevole serenità e soprattutto alla consapelezza di un attimo prima dello schianto. Gli equilibri persi, non sono mai stati davvero ritrovati, in un mondo che cerca il suo sviluppo, ma alimenta i proprio conflitti. Che cerca di emanciparsi, ma resta fermo nelle idee di contrapposizione, per l’ansia di potere, forse, o di fermare un tempo, per sua natura ciclico. E poi ci siamo noi, un’umanità spesso cinica ed egoista, spaventata e opportunista, arrabbiata e rassegnata. Il crollo delle torri ha rimesso in evidenza tutto questo, quegli equilibri nascevano da un’illusione, che le guerre non ci fossero più. Ma non era vero. Quella serenità e quella consapevolezza erano finzione. Quelle guerre erano solo altrove.

C’è chi urla

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C’è chi urla,
ai bordi delle strade.
Ai limiti del bosco,
oscurità e contorni fluo.
Dove la follia è un vanto,
e ci si svende col sorriso
C’è chi vende inchiostro,
su piedistalli di cartone.
Specchi deformi,
in offerta speciale.
C’è chi urla,
ai confini di un mondo,
in cui scriveranno per noi.
Noi, emozionati,
davanti a un mare
perso tra i filtri,
di ciò che non siamo.