Colpevoli

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Quando abbiamo saputo della tragica fine di Giulia Cecchettin la maggior parte di noi uomini si è sentita colpevole. E molti di noi si sentono ancora tali, anche a valle della condanna all’ergastolo dell’autore di quel brutale assassinio, Filippo Turetta. Siamo colpevoli perché sentiamo sempre troppo spesso concetti maschilisti ondeggiare pericolosamente nei comuni discorsi. Il concetto maschilista è ancora vivo ed è sempre accanto a noi. Vive quando viene espresso nella considerazione che una donna non è adatta a fare un determinato mestiere, quando si accusa velatamente una donna di abusare della maternità, quando si giudica per l’abbigliamento, sorridendo sornioni con approccio morboso. Maschilismo. Sarebbe opportuno che questa condanna facesse riflettere sulla qualità terreno nel quale cresce la pianta del controllo, della prevaricazione. Della violenza. E cresce fondamentale perché ció che spesso manca è il rispetto, che a sua volta vive solo attraverso il dare un vero valore ai sentimenti. Perché se ami una persona, se hai amato una persona, l’ultima cosa che vorresti fare è farle del male, fosse anche con le parole. Questa condanna deve avere un peso, perché se a cambiare non saranno gli uomini sarà perfettamente inutile ogni concetto espresso con slogan appesi ai muri o con oggetti rossi posizionati in ogni dove. La consapevolezza risiede nell’accettare questa condanna come monito a guardarci tutti dentro e a chiedere scusa per tutte le volte che di fronte a parole e concetti maschilisti non abbiamo mosso un dito, né detto alcuna parola di difesa del concetto di rispetto.

Chi è il più cattivo del reame?

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Oh, Putin, Putin, chi è il più cattivo del reame?
Domanda per nulla retorica in uno scacchiere che diventa sempre più complesso, o meglio, al netto dei neocomplottisti con la bandierina russa dell’ultima e penultima ora, lo è sempre stato. Il coinvolgimento della Korea del Nord, prima ancora degli armamenti dell’Iran e della supervisione della Cina, nel confitto in Ucraina ha da tempo espanso i confini di una guerra, che nasce da una presunzione di diritto da parte russa su territori controllati ai tempi dell’Unione Sovietica. Sin dai primi momenti Putin pensava di poter chiudere presto la pratica. A impedirlo è stata, a oggi, la contrapposizione occidentale. Discutibile la scelta americana di consentire all’Ucraina di colpire obiettivi su territorio russo con armi fornite dell’occidente. Il quadro, per quanto qui semplificato, è chiaro. E non si tratta nemmeno di definire chi ha più o meno ragioni. I conflitti sono sbagliati per definizione. La scelta americana fatta da Biden, ma pochi giorni dall’incontro con Trump, è da contestualizzare proprio in questo ultimo passaggio. A livello geopolitico sembra una mossa per porre delle basi per una strategia che porti a prendere atto di una situazione diventata insostenibile, non tanto per una potenziale escalation, in realtà in essere da tempo, ma perché ogni passo rischia sempre più di essere un punto di non ritorno. Ed é ciò che non deve accadere. Tornando al punto iniziale, in ballo ci sono equilibri geopolitici chiari, che più che ad alleati o assi portano a gruppi di interesse, quindi ai Brics per quanto concerne l’area economica e commerciale che da questo punto di vista si oppone alla realtà “occidentale”. Uso le virgolette perché il tema commercio è ben più ampio dei confini dei singolo stati, mai quanto oggi, in cui le multinazionali possono essere anche più potenti degli Stati. In questo ognuno di questi fattori è da leggersi sotto diversi punti di vista ed è per questo che si.tratta di uno scenario complesso e sicuramente non definibile in un post come questo, ma nemmeno con il posizionamento di una bandierina su un profilo social qualsiasi o con considerazioni sconclusinate più associabili al Bar Sport.
Ma ora guardiamoci allo specchio, chi è più il più cattivo del reame?

Fonte foto: Il Messaggero

Buoni e cattivi

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Siamo sinceri, Elon Musk, accanto al noto Donald Trump nuovamente Presidente degli Stati Uniti, sembrano due personaggi di un tecno-thriller. Questo in un’era storica particolare, che vede anche impetuoso il ritorno di sentimenti nazionalisti e imperialisti. Accerta però anche un’altra cosa. Il tramonto di un mondo che sembra di colpo essere diventato grigio, vecchio e inebetito, con quell’immagine crepuscolare di un Biden che biascica cose e casca dalle scale. Ma facciamo un passo indietro. Elon Musk, a modo suo, sta scrivendo la storia. E lo sta facendo usando armi che per decenni la politica ha messo da parte, comunicazione efficace, tecnologia spinta ai massimi livelli, applicata all’intelligenza artificiale, alla conquista dello spazio anche per i privati, rivoluzione del settore automotive, insomma ha dimostrato l’importanza della volontà di uscire dagli schemi. Qui arriamo al punto. Cosa e quali sono questi schemi? La politica ci ha abituati ad accettare rinunce in favore di compromessi, che spesso nemmeno portavano rilevanti vantaggi. Quello che nei tecnothriller era chiamato Nuovo Ordine Mondiale, altro non era se non un’associazione di soggetti portatori di interessi mondiali. Associazione che oggi appare in crisi, a vantaggio di una nuova, che ha al suo interno un potenziale nuovo futuro, per i più sconosciuto. E le cose ignote fanno paura. Probabilmente questo scenario è nato proprio quando il social twitter ha censurato Donald Trump, cancellando io suo account, a seguito dell’attacco a Capitol Hill. Il passaggio successivo è stato l’acquisto del social da parte di Musk, poi diventato l’attuale X e ridando così voce a Trump, riportandolo alla Casa Bianca. Nel frattempo Musk ha sperimentato razzi che andavano nello spazio e tornavano a casa, sviluppato il settore automotive con Tesla e fatto sperimentazioni su robotica e intelligenza artificiale. Alle chiacchiere ha anteposto i fatti, cambiando così in un attimo il concetto di politica. Che questo possa essere un modo per rompere quel muro di ipocrisia che per anni ha tutelato una visione del grigia, vecchia e inebetita? Il paradosso è che se Elon Musk e Trump sono i “cattivi” della storia, i “buoni” chi sono?

Foto: Wired

A un passo dalla storia

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A un passo dalla storia.
Il vociare delle folle esultanti per la vittoria di Trump è ancora forte. Uscendo dal gioco delle tifoserie di invasati, è necessario fare ordine su quello che è lo scenario che si prospetta, soprattutto in ottica europea. E qui possiamo aprire tanti temi, tra cui il percorso finalizzato a creare un’Europa unita, esperimento che più che all’unione ha portato all’estremizzazione di diversi temi, uno dei quali è proprio quello ambientale. Dimenticando totalmente che il sistema europeo fa parte di una realtà molto più grande, con i propri interessi e le proprie finalità. Cina, India e, appunto, Stati Uniti. In fondo, alle radici della sconfitta di Harris c’è la scelta non puntare su temi che invece Trump ha toccato: gli interessi della classe media, ormai lontano retaggio dei tempi che furono. Questa realtà viene costantemente dimenticata anche dalle nostre parti, ma credo che il disinteresse per la realtà europea, già dimostrata da Trump nel passato, non può che portare a una nuova pagina di storia. Concluso a questo punto lo scenario post seconda Guerra Mondiale, non può che aprirsene uno nuovo, con le sue incertezze e le sue certezze, ovvero quella che la guerra in Ucraina, ma più che altro la decisione originaria della Russia di tornare a riconquistare il suo potere, diventerà qualcosa con cui fare davvero i conti, magari non semplicemente delegando ai soldati ucraini il combattimento. Uno scenario esagerato? No. Non lo è. E non lo può essere se persisterá l’incapacità della politica nostrana ed europea di guardare al di fuori della propria tifoseria, ma di guardare al futuro, di pianificare, di fare il bene di una società, senza esondare nella demagogia, che con la realtà nulla c’entra. La.vittoria di Trump deve insegnarci qualcosa. Non tanto perché vinca una parte o l’altra, ma perché si tornino ad affrontare temi in ottica di un futuro che per forza di cose non potrà più essere come il passato. Penso all’intelligenza artificiale, allo stare al.passo con la tecnologia e sí, con la difesa dell’Ambiente, ma senza diceventare necessariamente e ottusamente ambientalisti senza alcuna idea davvero sostenibile (cioè guardando pure ai soldi) da proporre per un vero cambiamento.
Perché a dire il vero, ormai siamo ben oltre il primo passo dalla storia.

Nessuna risposta

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Dov’eri? chiese a quella donna che non riusciva a riconoscere.
Sono sempre stata qui. Rispose lei, cercando di sistemarsi i capelli, bagnati dal temporale improvviso.
Non è vero. Hai lasciato qui solo la tua ombra.
Io non sono ancora progettata per rispondere a questo tipo di quesiti, rispose lei.
Chiuse il pc e si affacció alla finestra. Di fronte a lui l’ennesimo grattacielo a coprire quello che era stato il mare.
In strada le solite automobili impazzite, le impronte degli pneumatici nelle pozzanghere, le serrande chiuse, gli spacciatori agli angoli delle speranze di quei pochi fantasmi in giro.
Sul divano una chitarra, velata di polvere.
Nella sua testa, una vecchia canzone.
Ma era ora di andare a lavoro, in una fabbrica visori tridimensionali.
Il sole nascosto ben oltre le nuvole.
Dov’eri? chiese all’ultimo sogno, appeso a un muro ormai ingiallito.
Nessuna risposta.

Non avevo ancora visto Joker

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Non avevo ancora visto Joker. Una storia che usa la metafora della diversità in modo impeccabile. Un uomo che soffre di disturbi mentali viene deriso, discriminato, trattato con sufficienza. Gli eventi lo porteranno a compiere atti sempre più violenti e “spettacolari”, fino a portarlo a realizzare il suo più grande sogno, eseguire uno sketch comico in televisione. Ma gli atti di quest’uomo ispireranno un esercito di persone, che inizieranno a vederlo come un esempio. Ed è così che la città e il mondo inizieranno, forse per la prima volta, a vederlo davvero. Un viaggio in quello che va oltre la semplice metafora, che accende i riflettori su quelle che sono le fobie, gli isterismi, le follie di una società che sempre più spesso non riesce a vedere i propri difetti, legittimando la violenza come un qualsiasi altro modo di comunicare. Un elogio alla solitudine mai voluta. Un inneggiamento, però, alla ricerca di se stessi, alla propria felicità, che è appunto, un viaggio soggettivo e relativo.

Foglie svanite

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Le foglie cadute,
il rumore assordante.
L’eco di un tempo,
il racconto innocente.
L’autunno inoltrato,
una lettera al vento.
Il momento sbagliato,
il mare e il cemento
Le foglia cadute,
aspettando che piova.
Le foglie svanite,
in una musica nuova.

Storia di due anime, di Alex Landragin

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“Storia di due anime” è un romanzo particolare, che sembra viaggiare nel tempo, così come tra i generi letterari, dal fantasy al thriller, passando per la narrativa classica con atmosfere di una Parigi decadente. Il fulcro di questa narrazione è “lo scambio” che si ottiene grazie a una grande preparazione e guardandosi negli occhi. In questo modo nei tre racconti proposti si interfacciano diversi personaggi assolutamente affascinanti, come Madeleine, Madame Édmonde, ma soprattutto di Alula e Koahu, le cui anime si muoveranno nel tempo e nello spazio in una rincorsa tra senso di colpa per aver tradito la legge e l’impossibilita di tornare indietro dopo uno scambio. Il romanzo è leggibile anche seguendo un percorso narrativo diverso, che salta tra le tre storie, personalmente ho preferito una lettura complessiva, definita come la narrazione della Baronessa. La sensazione dopo aver letto questo libro è strana. Sicuramente è scritto molto bene e la trama è avvincente, le atmosfere sono affascinati e i personaggi ricercati, compresa la linea che tiene unita i tre romanzi, che, oltre allo scambio, vede protagonista il personaggio di Charles Baudelaire e della società che porta il suo nome. Una storia misteriosa e affascinate che mi sentirei di consigliare agli amanti del genere fantasy e di narrativa più classica, ma con diverse licenze poetiche. Meno per chi ama i thriller. Nel complesso è una buona lettura, interessante per quanto riguarda da costruzione della linea narrativa e la complementarietà dei tre racconti, interlacciati dall’alone del mistero dell’anima.

Ritorno alla vanga

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Mi sono imbattuto nella proposta del Ministro dell’Agricoltura Lollobrigida per il Servizio Civile agricolo, ovvero dare la possibilità a dei giovani di andare nei campi per difendere la “Patria”. Al netto che anche in agricoltura ormai si fa uso di mezzi ad alta tecnologia e che quindi questa visione dei campi suona quanto meno anacronistica, si sta completamente sottovalutando di quale sia davvero il senso del Servizio Civile, che sempre più spesso appare come l’unica modalità per fare esperienza e consentire di costruirsi un curriculum per giovani partendo dai propri corsi di studio e che, viceversa, dovrebbero accettare le regola di un sistema che vuole replicare a vita il fantastico modo degli anni ’80 in termini di sfruttamento della manodopera. Dimenticando che oggi il mondo ha bisogno di menti aperte, di idee da sviluppare, di andare avanti e imparare a utilizzare le nuove tecnologie da applicare in tutti i settori, agricoltura compresa. Esistono sistemi automatizzati e sensorizzati per rendere più efficace e sostenibile l’utilizzo dell’acqua per scopo agricolo, che monitorano l’umidità delle varie specie coltivate al fine di fornire il giusto quantitativo di acqua e sostanze nutritive. Esiste un mondo che progetta mezzi agricoli ad alto rendimento. Un mondo che studia la climatologia per consentire l’attecchimento delle migliori colture. Personalmente mi è capitato spesso di avere di fronte ragazzi con tutte le carte in regola per costruire ognuna di queste forme di futuro. Ragazzi a cui leggi negli occhi che hanno voglia di fare, di costruire. Il mondo a cui buona parte della politica vorrebbe riportarci è stato superato dalla realtà di oggi. Non è un caso se anche il mercato dell’auto è tramontato, per continuare a difendere qualcosa che non c’è più. Se il mercato dell’auto elettrica sta diventando il punto di forza della Cina e non il nostro è perché al posto del tech e della sostenibilità a chi è titolato a fare scente politiche piace più pensare alla vanga e ai tempi che furono. Il futuro, però, non aspetta. E c’è anche un mondo ormai stanco di questa politica del tutto inutile e dannosa.

Dilemma artificiale

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In giro c’è un gran parlare di intelligenza artificiale. Una corsa sfrenata a spiegare cos’è, come si utilizza oggi e come potrà essere applicata domani. Tra entusiamp e paura si muove un esercito di pensatori, tutti con la soluzione già in mano. Al netto di questo scenario semplicemente surreale, si muove la realtà. Negli ultimi quindici anni abbiamo visto svilupparsi tecnologie impensabili anche solo fino all’anno prima. Abbiamo visto diventare essenziale un oggetto come il cellulare, trasformatosi in poco tempo in un mini computer da passaggio. Nel frattempo è sempre migliorata la capacità di processo e di memoria di questi dispositivi, sempre più piccoli e performanti. Lo stesso è accaduto per le capacità di calcoli dei sistemi alla.base dei principali colossi tech, così da creare macchine in grado di sviluppare vere e proprie analisi che simulano il ragionamento umano, pianificando un futuro in cui questi sistemi possano effettuare scelte più o meno autonome. Qui si gioca il futuro. Le scelte più o meno autonome. Questo concetto va semplificato facendo qualche esempio. Potremmo aver necessità di un sistema che possa monitorare in remoto uno scenario, sia esso una perturbazione o un sistema produttivo, al fine di prevedere eventuali malfunzionamenti del sistema? La verità è che la risposta è sì. Potremmo averne bisogno, perché sarebbe possibile superare quelle che sono le criticità insite nell’essere umano: distrazione, errore, capacità relativa di concentrazione e di analisi. In più questi sistemi sarebbero in grado di “vedere e processare” una quantità enorme di dati in tempo reale e di effettuare in tal modo scelte probabilmente più ragionate di quelle effettuate dall’uomo in un momento di emergenza, potendo basarsi su immensi data base di dati pregressi e di esperienze di anni di eventi. Sembra tutto perfetto, fino all’errore della macchina stessa. Il sistema deve esserr formato e a farlo è l’umano stesso, spinto dalle sue paure e dalla sua mania di controllo, più o meno giustificata. E qui nasce il quesito: quanti gradi di libertà è opportuno assegnare a questi sistemi perché non si sviluppino a tal punto da non aver più bisogno di noi e che sviluppino capacità proprie di valutazione? Lasciare loro il ruolo di strumento o spingerli a un pensiero più “puro” del nostro? Ma questo è un finto dilemma, appunto, artificiale. Perché rientra in una sfera più grande, della ricerca eterna di qualcosa di “più grande”, concetto che ben poco ha a che fare con la scienza. A oggi è importante conoscere il funzionamento di questi strumenti, capire come usarle per migliorare le nostre attività, senza limitarne a prescindere l’utilizzo per paura di esserne travolti. Il resto è solo una paura, più o meno ingiustificata.

Immagine generata da Gemini.