Torino Sotterranea: il mistero

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I sotterranei di #Torino sono ricchi di storia, si va dal labirinto di cunicoli costruiti a difesa della città e collegati alla cittadella, sino ad arrivare agli infernotti che collegavano case private e che garantivano vie di fuga a nobili e clero negli anni dei Savoia. Molti sono diventati bunker antiatomici, altri sono semplicemente svaniti nel nulla. Quel che resta è un grande mistero, passaggi segreti, laboratori sotterranei per la creazione della pietra filosofale, nascondigli del Sacro Graal. Tutto molto affascinante. Ne #lequazione ho voluto rendere giustizia a tutto questo mondo e, perchè no, sfatare alcuni di questi miti e magari puntare un po’ di luce su altri meno conosciuti.

 

Fonte Museo Pietro Micca

Il battesimo del buio, prequel de #LaMacchinadelSilenzio 

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La stanza era disadorna, illuminata da un candeliere. Qualcuno lo spingeva verso un tavolo coperto da un telo bianco. Un altare. Davide era al porto e guardava il mare. Poco lontano c’era un gruppo di ragazzi tra i quali riusciva a scorgere Irina. In quel momento notò un ragazzo avvicinarsi a lei e sfiorarle le natiche. Lei si ritrasse. Davide si avvicinò e iniziò a fissare negli occhi il ragazzo. Era davanti all’altare. Percepiva attorno a sé rumori, voci, urla. Qualcuno gli stava scagliando sul viso dell’acqua. Hai osato sfidarmi, poppante? Il viso di Davide era a un millimetro da quello del ragazzo. Con la coda dell’occhio vide Irina indietreggiare. «Portatemela qui» ordinò il ragazzo. Davide era bloccato da scagnozzi. Vide altri due compari trascinare Irina e iniziare a spogliarla. «Troppo facile» disse una voce ruvida, con un forte accento del sud. Davide riconobbe il vecchio. «Voglio vedere un confronto ad armi pari». Davide prese al volo un oggetto che il vecchio gli aveva lanciato. Una chiave. «Questo poppante non sa guidare, Maestro». «E allora di cosa ti preoccupi, Jarkov?» replicò il vecchio. Davide guardò lo scafo usato nel contrabbando di sigarette e realizzò che Jarkov era contrabbandiere. Il Maestro spiegò le regole, ovvero che non c’erano regole. Chi riusciva a far ribaltare l’altro scafo vinceva. Davide salì a bordo dello scafo e fece mente locale sui rudimenti di navigazione. Jarkov aveva posizionato lo scafo in mare aperto, oltre la scogliera. Davide accese il motore. Dall’oblò riusciva a vedere Irina, attorniata da altre ragazze. Tra di loro notò uno sguardo. Due occhi neri. Il monaco recitava in una lingua incomprensibile. Gli porsero una spada. La alzò e la vide scagliarsi contro di lui. Trasalì. Senza rendersene conto era riuscito a muovere la bestia del mare verso il mare aperto. Lo scafo guidato da Jarkov iniziò a girargli intorno disegnando traiettorie perfette e sollevando onde. Davide aveva conosciuto il vecchio per caso nelle campagne e gli aveva mostrato l’interno di una grotta. Manovrò l’imbarcazione strattonando in direzione dell’altro natante e poi accelerò. La virata deve essere come la pennellata di un pittore, aveva detto il Maestro. Mosse la leva a sinistra e lo scafo rispose docilmente passando a pochi millimetri da quello di Jarkov facendolo ondeggiare. Vide la prua del natante del suo rivale puntare verso di lui. Cercava l’impatto. Virò sulla destra per schivarlo e si ritrovò di fronte la scogliera che si avvicinava nell’insenatura. Era in trappola. Accelerò e puntò verso la scogliera. La spada si era appoggiata sulla sua testa. Il monaco gli aveva chiesto di sputare e giurare sulla croce a otto punte. Indossava una tunica che gli dava fastidio, così come il cappuccio da cui spuntavano soltanto gli occhi. È solo un bambino, aveva detto qualcuno alle sue spalle. Soltanto pochi metri lo dividevano dalla scogliera. Virò sulla sinistra e accelerò ancora. Percepiva la vicinanza del fondo dello scafo agli scogli. Sentì un rumore metallico. Imprecò. Un altro stridio lacerante. Si aspettava di vedere lo scafo imbarcare acqua. Mantenne la traiettoria parallela alla scogliera. Virò improvvisamente. Un rumore sordo. Poi si riportò verso il largo. Non sentiva più il rombo alle sue spalle. Puntò la prua verso la scogliera e vide lo scafo di Jarkov semi ribaltato e incastrato sulla sabbia della secca e con la parte destra completamente distrutta. Si guardò le mani. Tremavano. Il Maestro sorrise, soddisfatto. Nella grotta il Maestro gli aveva mostrato le carte nautiche. Il bordo della scogliera era a filo del punto con maggiore profondità, poi c’era una secca. Fra il pubblico assiepato sul molo una ragazza con gli occhi neri non riusciva a trattenere il battito del suo cuore. Quella ragazza si chiamava Adriana.

Spinoff de #lequazione e Prequel de #LaMacchinadelSilenzio 



Val Susa. Un disastro.

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Sapete quanto io tenga al territorio. Proprio per questo motivo seguo con apprensione quanto sta accadendo in Val Susa. Un incendio che sembra non volersi fermare, bruciando ettari e ettari di bosco. Questo per molti è un problema di aria irrespirabile, domani potrebbe diventare un problema di stabilità di interi versanti. L’aria che si respira sa di legna bruciata, l’atmosfera è ormai costantemente soffusa a causa del fumo che ha raggiunto zone anche molto distanti dai luoghi dell’incendio. Un disastro, alimentato sicuramente dalla siccità, ma anche dall’indifferenza. La Val Susa è nota per la Tav, o forse solo per i suoi manifestanti, ma la storia ne racconta l’importanza come punto di riferimento per i collegamenti tra Francia e Italia, sin dalla notte dei tempi. Un luogo da salvaguardare. E che invece sta bruciando, silenziosamente.

foto: 3bMeteo

Il primo capitolo de #LaMacchinadelSilenzio 

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New York

Convegno internazionale sul cambiamento climatico

Il dottor Kywata era in piedi sul palco e osservava compiaciuto la sala gremita di personalità nei campi della geologia, dell’idrologia e dell’informatica. Sapeva che erano tutti lì per lui, per ascoltarlo disquisire sul suo progetto presentato da tutti i media come “geniale”. Era riuscito a mantenere il segreto ed era stato coscienzioso nel lasciar trapelare solo lo stretto necessario affinché si percepisse l’importanza della sua intuizione: una scoperta in grado di modificare in maniera definitiva la storia del cambiamento climatico. Si voltò un attimo per guardare lo schermo dietro di lui, fermo sulla prima slide della presentazione; la più semplice, quella che indicava il nome del progetto e dei suoi autori. Lui e il dottor Haikidu. Sentì salire dallo stomaco un moto di fastidio. Aveva notato un errore. E lui odiava gli errori. La dimensione del carattere era chiaramente un trentadue, quando lui aveva scelto il trenta. Una volta sceso dal palco avrebbe licenziato quel miserabile che aveva rovinato la presentazione più importante della sua vita. Del resto la colpa era sua, non avrebbe dovuto fidarsi di un dottorando. Cercò di reprimere l’ira e iniziò il suo discorso. Cliccò su invio per far apparire la seconda slide: era completamente bianca. Strinse il pugno fino a farsi male. Era veramente troppo. “Maledetto incompetente” pensò. Cercò di mantenere la calma, cliccò ancora. Un’altra pagina bianca. Provò a parlare ma si accorse che gli mancava la voce. I pensieri non riuscivano a tramutarsi in parole, tutto sembrava bloccato. Si portò le mani alla bocca con un moto spontaneo, ma in pochi secondi si rese conto che stava perdendo il controllo delle mani, poi delle braccia. Le gambe cedettero all’improvviso e si ritrovò con gli occhi spalancati, vigile ma completamente incapace di comunicare. Sentì le urla e poi delle sirene in lontananza. Vide gli uomini in divisa blu che lo caricavano su una lettiga. Poi smise di capire.

 

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