Recensione “Tutto è vanità” dei VeiveCura

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“Tutto è vanità” è un album con una forte matrice strumentale e lo si capisce sin dall’intro “L’alba, dentro”. Il secondo brano “Di roccia” ha un ritmo quasi epico con parole criptiche che scivolano tra poesia e pensieri, mentre “Cara Vana” sembra galleggiare su un tappeto di fragili inganni, leggiadri incantesimi e voci che sussurrano versi nascosti su una melodia morbida e ottimamente suonata. Fiati, percussioni assecondano un incedere poderoso della melodia, mai banale. “Correnti del nord vs correnti del sud” è una colonna sonora di istanti e momenti come pensieri naufraghi. Il suono del pianoforte è sempre una magia, e in “Ciuri” emerge come una sinfonia soffusa tra le parole in dialetto dei versi della canzone. Suoni allegri e spensierati imperversano in “Delfini” e si trasformano in un viaggio di note in “Delfino io, delfino tu”. L’album si conclude con “Le nuvole”, come un bel sogno in cui si riaprono gli occhi con l’arrivo dell’alba, come a concludere la notte, ancora un po’ addormentati. E tornare a guardare il sole che sale verso il cielo. Un disco orecchiabile ed emozionante, ricco di particolarità e che crea atmosfere sognanti e che si imprimono nella mente, difficilmente catalogabile in un genere musicale. Un po’ ambient, un po’ pop, ma ciò che conta è che si tratta di ottima musica, suonata con passione. Un disco da ascoltare.

Recensione spettacolo “Inferno Opera in Musica” degli Effetto Notte feat. Orchestra Giovanile Vianney @ Teatro Alfa, Torino

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Al Teatro Alfa di Torino il 2 e il 3 Marzo è andato in scena “L’inferno Opera in Musica” degli Effetto Notte, per la prima volta accompagnati dall’Orchestra Giovanile Vianney, diretta da Marco Raiteri. Il nuovo allestimento dello spettacolo ha unito ai momenti classici dello spettacolo nuovi spunti e rivisitazioni dei brani dell’opera. Assistendo alle prove e alla preparazione dello spettacolo si nota subito quanto lavoro ci sia stato dietro lo show e l’impegno che gli artisti ci hanno messo per metterlo in scena. L’immagine di una candela e un sibilo misterioso aprono lo spettacolo, poi il primo pezzo eseguito dall’orchestra giovanile Vianney crea un’atmosfera ipnotica, costruita con i suoni, con le immagini e l’impatto sul palcoscenico. Nella “Selva oscura” ci accompagnano i versi di Dante, ottimamente recitati da Filippo Losito e poi la musica degli Effetto Notte e dell’orchestra Vianney, che miscelano e intrecciano stili diversi ma che costruiscono una potente interpretazione di pezzi come “Caronte” e “Il portale”. Non mancano i due intermezzi più classici “Paolo e Francesca” e “Conte Ugolino”, con i magistrali assoli di chitarra classica di Andrea Pioli. Lo spettacolo sembra evolversi e cambiare faccia, passando da momenti di autentica poesia in musica, sfiorando il rock con gli assoli di chitarra elettrica di Giorgio “Josh” Angotti nella “Città di Dite” e “Ulisse”, per approdare a una musicalità a tre dimensioni, accompagnati dalle voci di Fabrizio Tonus, autore di gran parte dei pezzi con Mattia Bozzola, ed Elisa Paoletti. Ritmo della batteria suonata da Federico Silva e l’intensità delle interpretazione sono le protagoniste dei pezzi che portano al finale con “Lucifero” e al verso che scandisce il finale epico dello show: “..e uscimmo a rivedere le stelle”. “Inferno Opera in musica” è uno spettacolo che non tradisce mai le attese e in queste due serate lo conferma.

Fotografie: Simona Vacchieri

Movimento NO-TAV: Cosa e chi rappresenta, oggi?

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Il movimento NO-TAV ha un’origine antica, il cui scopo era di ribellarsi a un’opera che i manifestanti ritenevano inutile e oltremodo costosa. Sulla base di questo intento il movimento ha organizzato incontri, cercato di intervenire sul progetto originale dell’Alta Velocità in Val Susa per migliorarne l’efficiente, ridurne i corsi e l’impatto sul territorio. Ciò che è poi accaduto è noto alle cronache: a un certo punto di questa storia, il progetto ha comunque proseguito il suo corso e il dialogo con il movimento e soprattutto con i residenti della Val Susa si è prima affievolito, poi è svanito. Attualmente sono in corso le procedure espropriative, necessarie allo Stato per prendere possesso da parte delle aree per la realizzazione dell’opera. Molte sono state le manifestazioni e gli attestati di solidarietà verso le idee No-Tav, alcune sensate, e altre volte ad auto-promuovere comodamente dei potenziali nuovi leader di questo movimento. Quello che resta è un movimento stanco e che fatica a trovare un’identità, ora che i lavori sono iniziati ed è difficile fermare una macchina infernale. I temi sono molti, da quello economico a quello ambientale, ma ognuno di questi ha una matrice comune, che si sposa con una domanda su tutte: perchè quest’opera è così importante da renderla “strategica”?. I dati analizzati dimostrerebbero che il traffico di merci in Val Susa è in netto calo da anni, così come lo è quello dei passeggeri e che esisterebbero altre soluzioni tecniche per utilizzare tratti di tunnel già realizzati, evitando di scavarne di nuovi. Le motivazioni sono tante, ma gli episodi in corso in Val Susa e che hanno avuto luogo lunedì nella stazione di Porta Nuova a Torino (in cui testimonianze raccontano di un’aggressione delle forze dell’ordine sui dimostranti) mettono in luce una tensione crescente e che non sembra volersi placare. Tra i manifestanti ci sono fronti più pacifici e altri che lo sono meno. Non si può negare che la presenza di gruppi anarchici sia molto elevata. Senza alcuna criminalizzazione né per la polizia, né per i manifestanti, bisogna analizzare quanto sta accadendo e soprattutto definire contro cosa il movimento NO-TAV si scaglia. Se è vero che inizialmente l’obbiettivo era evitare la realizzazione dell’opera, è vero anche che ora come ora il movimento rappresenta qualcos’altro. E’ in grado di riunire pensieri e idee diverse, fino a rendere quasi trascurabile l’origine stessa del movimento, che ora si ribella a un uso senza moderazione dei soldi dei contribuenti, del territorio e della buona fede di un intero paese che ancora oggi non sa quale sia la verità sull’alta velocità in Piemonte. Torniamo alla domanda iniziale: perchè quest’opera è così importante, ma soprattutto per chi lo è? Le opere pubbliche in Italia sono sempre state storicamente caratterizzate da importi “gonfiati” da procedure spesso “poco trasparenti”e vinte (a volte con la complicità indiretta di normative malleabili) da imprese con traffici poco chiari. Per molti anni questa procedura ha reso possibile ogni cosa, oliata da politici compiacenti e corrotti. Potrebbe essere una chiave di lettura pensare che ora che il nostro paese ha toccato il fondo del barile e che la gente è stanca di questa mentalità che non ha altri aggettivi se non quello di mafiosa? Un movimento del genere sarebbe certamente considerato scomodo agli occhi di chi non vuole che questo sistema malato si fermi. Ed è da questo punto che nasce la tensione: questa protesta nasconde una motivazione diversa da quella relativa alla sola realizzazione dell’opera in questione: riguarda l’intera mentalità italiana e la volontà degli italiani di trovare una strada nuova. Se il movimento NO-TAV fosse associato a quello dei NO-GLOBAL o degli INDIGNADOS, cosa cambierebbe? Certamente diventerebbe automaticamente più forte, più pericoloso, perchè non riguarderebbe più soltanto una piccola valle, che è ben poca cosa rispetto alla “scala” di un’opera come l’alta velocità, ma l’Italia e il mondo intero. Perchè è sempre così pericoloso che un popolo inizi a pensare e farsi domande? Quello che ci si augura è che nessuna politica si impossessi dell’idea che c’è alla base di questo movimento. Non sia Grillo, la cui moralità è discutibile. Non sia il Pd, la cui mentalità è ancora lontana dal popolo e non lo sia nessuna delle linee politiche attualmente in gioco. E se fosse proprio l’idea anarchica quella che (almeno in questo caso) è più corretta per sostenere questo tipo di pensiero? Sarebbe troppo semplicistico se così fosse. La bandiera dei NO-TAV è spesso considerata “trasversale” rispetto alla politica, all’economia ma è specchio di un risentimento di un popolo stanco e anestetizzato, quindi forse questo movimento non è stanco: forse si sta soltanto trasformando.

Siria: Referendum farsa?

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Siria. Il nome di un paese, di una realtà. Oggi il popolo siriano è andato a votare per il referendum per una nuova costituzione e per la democrazia, il tutto sotto l’occhio attento di Assad (dittatore). Ma non si sono placate le repressioni, anzi, sono costanti e lacerano la voglia di libertà del popolo, repressa con la violenza. I media tacciono, o peggio raccontano una realtà che non corrisponde a quanto sta accadendo. Dove sono le Nazioni Unite con l’intento di rendere questo voto, un voto vero? L’illusione è che un voto proposto da un dittatore e gestito dallo stesso possa mettere davvero fine a una dittatura. Lo sappiamo, così non potrà essere. La primavera araba sembra avere due velocità, che dipende dall’interesse che l’occidente dimostra. Petrolio? Sarebbe banale. Deve esserci una motivazione più importante o forse una paura latente (tenuto conto che la dittatura è stata imposta dai paesi europei a seguito della seconda guerra mondiale). La Siria è storicamente un luogo difficile, anche per la sua posizione geografica e per i suoi scottanti confini. Ciò di cui l’occidente ha paura è la potenziale guerra civile in questo paese. E’ forse per questo che ci si tiene lontani? Quello che è davvero importante è garantire libertà a questo popolo: una vera libertà. Così’ mentre il popolo votava a Damasco e Aleppo, un’altra parte di Siria, ancora oggetto di repressione, hanno boicottato la consultazione. Quest’azione potrebbe nascondere una verità scomoda e dura da digerire: il referendum potrebbe (e uso potrebbe) essere una farsa. Lecito riflettere, doveroso parlarne. La guerra di informazione sappiamo essere governata ancora da Assad, che vuole far credere al mondo che vada tutto bene, così come molti dittatori prima di lui hanno fatto. Siamo così stolti da crederci? La cronaca ci porta a raccontare che sono state sequestrate (sia con blitz nelle case che con posti di blocco) un numero enorme di carte di identità per poterle utilizzare per votare usando quei nomi. Per quanto riguarda i dati di affluenza è stato dichiarato dallo stato il 99%, ma l’affluenza reale è invece molto, molto più bassa (pare ai minimi storici). Continueremo a seguire la questione siriana con attenzione.

Foto e fonte: Ansa

Recensione “Il giardino delle rose” di Chiara Ragnini e intervista all’artista

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La musica che Chiara Ragnini ci propone è fresca, orecchiabile ed emozionante. Le premesse per un disco interessante ci sono tutte e ascoltando le canzoni dell’album “Il giardino delle rose” se ne trova conferma. Sin dalla prima traccia si rimane attratti dalla musicalità che l’artista esprime, “Quello che ho” è infatti una ballata elegante e con ritmo intenso e passionale. “Gli scoiattoli del bosco” ci porta in una brillante favola in musica, esplorando un sentiero immerso in sentimenti che svaniscono con i colori del tramonto e nei suoi riflessi sul mare, mentre “Il giardino delle rose” regala chiavi di lettura nascoste nei versi che sembrano volare su una melodia accattivante. “Ogni mia poesia” è un dolce e soffuso soffio di vento rubato a una precoce primavera, mentre “Acqua da bere” incanta nel suo giro di chitarra e nell’avvolgente voce di Chiara. “Guardami” è come un sussurrato richiamo tra semplicità e abbandono a una passione tagliente,“Oltre le nuove” possiede un’inconsapevole coscienza che esprime serenità nel guardarsi dentro, oltre le luci di una nuova alba. “La neve non fa più rumore” è un pezzo soffice, che sembra viaggiare su un cuscino di note, così “Di terra e di mare” ci accompagna con la melodia sognante delle chitarre sulle quali si posano leggermente le parole di Chiara, che accarezza con la sua voce un ritornello orecchiabile  e sinuoso. Il disco si chiude con la ritmata “Aria”, che come un ballo in riva al mare ci fa sentire a una festa in spiaggia, tra parole che si rincorrono in questo passeggiare tra i ricordi, la dolce malinconia e le parole sussurrate a una poesia distratta. Ci si perde in una favola sincera ascoltando queste canzoni, leggere come piume, piacevoli, nelle quali sembra di sentire il sapore dell’estate, di percepire i colori di ogni singola nota che si perde nei brividi della voce intensa e passionale di Chiara Ragnini. Sicuramente “Il giardino delle rose” è un album da ascoltare e dal quale lasciarsi trasportare in un viaggio di sensazioni che rimette in pace col mondo. Un bel disco.

Vi abbiamo presentato il disco “Il giardino delle rose”, ora Chiara ci racconterà di lei, rispondendo alle domande che le abbiamo posto:

1. Le tue canzoni sembrano delle favole in musica, sono avvolgenti e intense. Quanto ti senti rappresentata dalla tua immagine di artista? Ci sono cose che nascondi alle tue canzoni?

La mia immagine come artista coincide con la persona che sono quotidianamente: solare, positiva, con una enorme curiosità e voglia di conoscere il mondo. Le mie canzoni rispecchiano stati d’animo che spesso tendo a nascondere alle persone che mi sono vicine, perciò ti direi che è più il contrario: tendo a riversare in musica emozioni e parole che da sola farei fatica a tirare fuori. La musica è per me un mezzo potentissimo per emozionarmi ed emozionare.

2. La tua musica sprigiona sensazioni e si sente la fragranza delle emozioni che ti animano, come pensi che i prodotti costruiti dai reality possano ostacolare chi come te esprime la propria anima costruendosi un’identità col sudore, i sacrifici e soprattutto suonando in giro?

Purtroppo il mercato attuale italiano vive un periodo particolare: si preferisce investire su prodotti facili, preconfezionati, omologati. Investire su idee nuove è un rischio e probabilmente al momento non ce lo si può permettere, fatto salve per poche eccezioni. Spero tanto di poter trovare chi possa affezionarsi al mio progetto al punto da volerci mettere la stessa passione che ho io, anche in termini economici.

3. La musica sta cambiando per rigenerarsi in icone spesso fasulle e coperte di paillettes. Secondo te c’è ancora spazio per l’essenza, per la verità e per la purezza delle emozioni?

Io credo di si.
Credo che l’appiattimento culturale, generale e non solo nello specifico della musica, debba per forza finire, prima o poi, implodendo su se stesso.
Nel frattempo, se i grossi canali mediatici e di comunicazione non offrono spazi adeguati, bisogna prendersene altri con le unghie e con i denti. E questo è il mio caso.

4. Nelle tue canzoni parli molto di natura, che rapporto hai con lei? Dove componi le tue canzoni e cosa ti ispira maggiormente?

Adoro stare in mezzo al verde, il mare e la campagna sono le mie dimensioni ideali. Da tre anni a questa parte vivo immersa negli ulivi dell’entroterra ponentino ligure e questo è stato e continua ad essere molto stimolante per la scrittura e la composizione. Anche se, in realtà, molte delle idee migliori nascono in macchina, tornando dal lavoro oppure durante i miei spostamenti da e verso Genova, la mia città natale. Trovo molto stimolante anche comporre testi e musiche con altre persone: l’esempio più recente è stata Due Castelli sulla Sabbia, scritta a quattro mani con Michele Savino, cantautore, compositore e grande amico, genovese come me; ma cito con grande piacere anche l’esperienza di Radar Talent Interceptor, condivisa con gli amici musicisti Subbuglio!, band del savonese, Claudia Loddo, cantautrice romana, Monica Criniti, cantautrice meneghina, e molti altri. In quell’occasione abbiamo fatto del vero e proprio brainstorming ed è nata una gran bella canzone, che spero sentirete presto. Occasioni come quella sono davvero molto, molto stimolanti per la creatività.

5. In “Ogni mia poesia” racconti una parte di te intima e intensa, quanto ti racconta davvero questa canzone?

Ogni mia poesia è una canzone d’amore, autobiografica, intima. Mi racconta appieno, dando un’idea molto precisa di cosa significhi per me amare una persona.

6. Tra le tue canzoni compaiono parole come Terra, Acqua e Aria e il tuo modo di cantare esprime il fuoco. Raccontaci qual è il tuo quinto elemento, quello che ti rende così viva e vivace, così come traspari nelle tue canzoni.

Sicuramente la passione, sempre alla base di tutto: senza di essa non avrei avuto la forza e la determinazione di arrivare dove sono arrivata e dove arriverò, piano piano e con fatica e sudore.

7. Qual è il momento più emozionante della tua vita musicale e che senti di raccontarci?

Ce ne sono tantissimi, sicuramente l’aver suonato la chitarra di Luigi Tenco è fra questi. L’occasione è stata quella del Restauro in Festival, curato da Pepi Morgia, l’estate scorsa qui in Liguria. Più in generale, suonare dal vivo è sempre l’emozione più grande, percepire l’attenzione e la curiosità negli occhi delle persone, il calore degli applausi e i complimenti sinceri, che quando arrivano si sentono, forti e chiari.

8. Il mondo della musica non è perfetto, c’è ancora molta ipocrisia, soprattutto quando si calcano palchi importanti come quelli sui quali ti sei esibita?

Per quanto possa sembrare strano, in realtà c’è molta più ipocrisia e invidia nei contesti piccoli che sui palchi importanti. Purtroppo nelle scene locali manca spesso la voglia di collaborare e supportarsi a vicenda, senza rendersi conto che cercare di pestarsi i piedi gratuitamente non è altro che una guerra fra poveri. Bisognerebbe imparare a mettere il becco fuori dall’uscio di casa propria, allargare i propri orizzonti, soprattutto mentali, e avere voglia di confrontarsi e condividere. D’altronde, la musica è principalmente condivisione. No?

Grazie Chiara per la tua disponibilità. In bocca al lupo per il tuo lavoro!

Recensione “Mr Thomas’s Travelogue Fantastic” dei Thomas

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Gli stili musicali che si intersecano in questo disco sono molti e l’effetto provocato è molto interessante. Il primo pezzo “Frenkin’Monsters” è ritmato, con influenze che viaggiano dal jazz al blues, senza dimenticare l’elettronica, mentre il secondo “Bee Hive” mostra un’atmosfera tra rock e musicalità che si perdono negli anni 70’. “43 sunset” possiede le potenzialità musicali del rock puro, anzi del Rock and Roll, per essere più precisi, anche in questo caso con contaminazioni della musica anni ’70. Il risultato è una sonorità moderna e accattivante. “Rollercoaster” si lancia in un periodo storico e musicale più recente: gli anni ’80 e lo si capisce si dalle prime note della canzone. Orecchiabile e affascinante, con un ritornello che si apre a sonorità degne della Discomusic. Parlavamo di anni ’70 ed eccoli esplodere in “Sunshine”, pezzo trascinante e ricco di richiami musicali da apprezzare e approfondire a ogni nota. “True Romance” suona moderna, elettronica quanto basta, trasposizione adatta alla musica club, originale e classica allo stesso tempo. Ottima miscela per un pezzo che sa farsi ascoltare. “Clogged” è una ballata lenta, ma ricca di sapori particolari e intriganti, c’è un’originalità che si esprime proprio nei continui richiami alle sonorità di tempi diversi. Questa miscela esplosiva genera pezzi particolarmente succosi. “Monolab” ci porta quasi alla musicalità dei “Beatles” con contaminazione elettroniche e non è una cosa facile da creare, considerata la tipologia dei pezzi precedenti. Ciò che emerge è un’estrema duttilità di questi musicisti, capaci di entrare in epoche diverse, come se viaggiassero sulla macchina del tempo. Come parlare dei Beatles senza citare anche i Rolling Stone? Ebbene “Hei!” in parte ci porta proprio all’altra faccia del rock, quella più “sporca”. Il disco termina con una ballata armoniosa, “Santhe”. Piacevole ascoltarla e gustarla, come per tutte le canzoni di questo album che racchiude tanti generi, emozioni e gusti diversi. E’ difficile decifrarne il contenuto fino in fonfo, poiché si presta molto alla soggettività dei vari ascoltatori. Si, perché è davvero un disco che è difficile non apprezzare, per l’intuito creativo e per la conoscenza della musica a 360 gradi. Ottimo sound, classico ma contemporaneo, diverso e tradizionale. Controsenso? Si, lo è, ma è controsenso assolutamente positivo. “Mr Thomas’s Travelogue Fantastic” è un bel disco.

Recensione “Fuggire e ritornare” di Riccardo D’avino

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Il cantautore piemontese Riccardo D’Avino ci presenta il suo primo singolo “Fuggire e ritornare”. Il sound melodico e allo stesso tempo rock è orecchiabile e ben suonato, con canzoni che non si discostano troppo dal pop classico. I richiamo alla musica italiana, come quella di Ligabue, sono tanti. I testi sono semplici, ma si prestano bene alle programmazioni radiofoniche. “Due o tre cose che so di te” è una ballata pop sentimentale con una buona linea melodica. “Angeli distratti” è una canzone più introspettiva in cui l’autore cerca qualcosa in se stesso, mentre “Così felice” è un pezzo più veloce e dinamico che richiama la musicalità italiana. In equilibrio tra racconto e sogno è “Questa realtà”, anche in questo caso con un sound orecchiabile e radiofonico. In generale si può dire che Riccardo possa ambire a un pubblico giovane e sensibile, in grado quindi di apprezzare al meglio le sue proposte musicali. Nelle canzoni presentate manca un tocco di originalità che potrebbe renderle più accattivanti e intriganti, tuttavia questo Ep si propone come biglietto da visita per il mercato e l’accesso al panorama radiofonico è fondamentale. Da questo punto di vista le canzoni funzionano e sono direttamente fruibili. Rimaniamo in attesa dell’album, che ci fornirà sicuramente maggior informazioni per capire la personalità e la maturità di Riccardo D’Avino.

Traiettorie

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Ai lati degli occhi

Come sbavature leggere

E colori che si rincorrono

Essere, quando si perdono

Ingannarsi, quando si spera

E il vento si raccoglie

E coglie l’incanto del mare

Era il senso delle cose

Quando finisce di piovere

Novità e pericolose stelle

Che nulla han da perdere

Ai bordi del sole

Ci sono raggi sfuggenti

E donne sole piangono

Per le paure ricorrenti

Traiettorie che infrangono

Onde sul selciato del presente

Open DATA: L’informazione come una nuova risorsa – ce ne parla l’assessore all’innovazione della città di Settimo Torinese Elena Piastra

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La risorsa primaria della società moderna, ciò che determina e stabilisce il vero “potere”, è l’informazione. Potrebbe bastare questa affermazione per spiegare l’importanza del patrimonio contenuto negli archivi degli enti pubblici di tutta Italia, diventati, grazie all’informatizzazione, meno ingombranti, trasformandosi in file fruibili e riutilizzabili. Parallelamente la tecnologia ha fatto passi da gigante, creando oggetti come smart-phone e tablet, che permettono, tramite la nuova lingua globale, internet, di condividere queste informazioni velocemente e utilizzando pochissimo spazio. In queste poche frasi è racchiuso come la società è cambiata e come l’informazione abbia assunto un ruolo sempre più fondamentale per la crescita degli individui, fino a diventare una vera e propria risorsa. Da questo processo nasce Open-Data, un meccanismo che consente agli enti pubblici di mettere a disposizione degli utenti, quindi dei cittadini, una quantità disarmante di dati. Cos’è il dato? Può essere un numero, una statistica, una cartografia. A cosa possono servire questi dati? Gli esempi sono tanti, ma quello più importante ci porta al Gis, ovvero Global Information System, creato per mettere le informazioni su supporti cartografici e di poterle capire anche solo “guardandole”. Sembra complesso, eppure non lo è. Pensate a “Google Earth”, un autentico mappamondo virtuale sul quale è possibile mettere dei “post-it”, collegando un luogo e delle informazioni, come accade con una mappa e le relative indicazioni riguardanti l’ubicazione dei monumenti più importanti, delle strade e delle scuole. Di qui il passaggio è breve considerando la quantità di dati a disposizione, da quelli relativi al traffico, alla frequenza dei mezzi pubblici, al turismo, e sono soltanto alcuni piccoli esempi. Tutto diventa fruibile, tramite tesi, ricerche, studi, trasformando e “riciclando” quei dati, che altrimenti sarebbero svaniti sotto centimetri di polvere. Sempre di più sono gli enti pubblici che stanno entrando in questo nuovo mondo.

Poche settimane fa abbiamo intervistato l’assessore all’innovazione della Città di Settimo Torinese Elena Piastra, che punta con energia sul progetto Open-Data, aprendo un laboratorio per creare delle “app”, delle applicazioni mediante le quali si può interagire con le informazioni, fornendo dati in tempo reale ai cittadini, dai dati sul traffico, a quelli di allerta e protezione dai fenomeni idrogeologici. Ragazzi con la passione per l’informatica si sono messi volontariamente a disposizione per far diventare questo progetto sempre più importante.

Approfondiamo con l’assessore il tema delle potenzialità di Open-Data:

Sappiamo che il laboratorio sulle “app” per il riutilizzo dei dati è iniziato ed è una miniera preziosa di idee, ne hai già individuate di realizzabili e che possono diventare al più presto fruibili per i cittadini?

 

L’esperienza del lab è davvero unica nel nostro Paese, almeno per ora. Il lab vuole essere un incubatore intermedio, tra impresa-cittadino ed ente pubblico. Il lab ha un ruolo importante sia nella selezione dei dati che vanno pubblicati, sia nella fase di progettazione, di idee. La vera novità è proprio questa: non è l’amministrazione a scegliere e a pagare il servizio per il cittadino, ma al contrario la scelta del servizio e dell’acquisto dello stesso appartiene al cittadino e alle regole del mercato. Alcune idee nate nel lab sono decisamente interessanti e prenderanno parte al primo concorso nazionale per apps che è apss4italy. Per me, come amministratore intendo, il risultato è già raggiunto: diverse persone si sono trovate, hanno analizzato un problema partendo dal territorio e hanno proposto una loro soluzione, in un caso non presentando solo l’idea, una demo o un app, ma persino un prototipo.

 

Il progetto Open-data in Piemonte è raggiungibile dal sito dati.piemonte.it, gestito dal Csi Piemonte ed esistono realtà anche per la Camera dei Deputati, è previsto un sistema di “accentramento” di tutti i dati disponibili in Italia su un unico supporto che racchiuda tutte le risorse?

La Regione Piemonte è stata la prima regione italiana a muoversi rispetto a un supporto unico per i vari enti locali. È probabile che si vada verso un’unica piattaforma che raccolga tutti i dati nazionali, ma ad oggi non è ancora previsto.

 

Secondo te è possibile che alcuni dati possano non diventare pubblici, restando quindi celati nei dossier, o peggio che ci sia alla base una scelta di non pubblicarli per timore del possibile riutilizzo?

 

Alcuni dati non è corretto che siano pubblici: ad esempio tutti i dati che possono ledere la privacy. Inoltre, è possibile che si scelga di non pubblicare alcuni dati.

Su questo tema si fa molta discussione. Per motivazioni diverse, alcune delle quali molto complesse e prive di volontà censoria o in qualche modo occultante. Un dubbio che spesso mi pongono i tecnici è ad esempio se sia corretto rendere in formato aperto la cartografia che costa molto all’ente e che un tempo (in versione cartacea) veniva ceduta solo a caro prezzo. Un altro dubbio delle amministrazioni riguarda la possibilità di interpretazione dei dati, nel senso che si teme che i dati grezzi, lasciati in visione senza alcuna spiegazione, possano essere mal interpretati.

 

Cosa differenzia un dato riutilizzabile da uno che non lo è? Mi spiego, cosa rende il dato “attendibile” alla luce di un possibile riutilizzo, e qual è (se c’è) un meccanismo di selezione tra le risorse disponibili?

 

Un dato, per appartenere, tecnicamente, alla dicitura open, deve essere in formato aperto, cioè facilmente modificabile, il termine inglese che rende bene l’idea è machinable, leggibile da una macchina. Le licenze sono diverse, Settimo ha scelto CC0.

 

 

Sapresti definire orientativamente una tempistica entro la quale questo progetto possa portare a un sistema collaudato ed efficiente del sistema Open-Data?

 

Difficilissimo dirlo: molto dipende da come reagirà il nostro Paese e se la strategia open data sarà capace di fare da volano all’economia, così come dovrebbe essere. Sicuramente questo sarà un anno importante, vista anche la posizione che ha tenuto l’attuale Governo rispetto all’Agenda digitale. A breve apriranno al riuso città importanti: Torino, Firenze, Roma: la mole di dati che possiedono potrebbe rivelarsi determinante.

Ringraziamo ancora l’assessore all’innovazione della Città di Settimo Torinese per la gentile e preziosa collaborazione.

Recensione romanzo “Il Marchio del diavolo” di Gleen Cooper

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Il thriller deve necessariamente avere dei punti fermi: velocità, suspence e una bella storia da raccontare. Green Cooper li conosce molto bene e sa come orchestrare una linea narrativa con colpi di scena, snocciolando avvenimenti che hanno luogo in tempi differenti. Questa storia infatti corre parallelamente tra l’epoca di Nerone e quella attuale. La protagonista, Elisabetta, è una giovane archeologa che riesce capire l’importanza di alcune raffigurazioni astrali, rappresentate in una tomba romana (San Callisto) e chiede di approfondire le ricerca, cosa che le viene impedito. A seguito dell’omicidio del fidanzato Marco da parte di due malviventi, lei decide di diventare suora. Ma il passato torna misteriosamente nella sua vita, conducendola ancora una volta in nella tomba di San Callisto. La storia che Cooper racconta è ricca di intrighi e colpi di scena, inseguimenti e scoperte, costruendo una realtà alternativa che fa riflettere. Struttura ben solida e una semplicità nel raccontarla sono le caratteristiche della tecnica  narrativa di questo autore, balzato alle cronache dopo il successo del suo romanzo “La biblioteca dei morti”. In genere si può dire che “Il Marchio del diavolo” sia un bel thriller, ma non si può negare che il respiro ricalca terreni già esplorati da altri scrittori, soprattutto per quanto riguarda l’intrigo in vaticano durante l’elezione del nuovo pontefice, ma sono tuttavia sottigliezze, il libro si legge bene, è veloce e attrae dall’inizio alla fine. Ottimamente costruiti i personaggi e le loro storie, compresa la figura di Cristopher Marlowe che spicca nel conflitto tra protestanti e papisti.