Recensione concerto Zibba @Hiroshima a Torino e intervista

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Il tour post-San Remo di Zibba e gli Almalibre parte dall’Hiroshima Mon Amour di Torino. La scaletta unisce pezzi che hanno fatto la storia artistica di Zibba come “Margherita”, “La notte che verrà” e “Anche se oggi piove” ai pezzi più recenti brani come “Bon Vojage” e “Come il suono dei passi sulla neve” oltre alla ormai famosissima “Senza di te” presentata a Sanremo. Nuovi arrangiamenti e uno stile più maturo sono la caratteristiche di questo spettacolo. Nuove sonorità e pezzi risuonati con una nuova luce e che rispecchiano in pieno lo stile del nuovo disco “Senza aspettare l’estate”.  Arrangiamenti scandiscono il tempo di un’evoluzione artistica che negli anni hanno condotto Zibba sino al prestigioso palco dell’Ariston, passando per prestigioso Premio Tenco. E’ una serata di pioggia, ma non sufficiente per fermare il numeroso pubblico accorso all’Hiroshima. Canzoni come “Nancy”, in una nuova versione, e “Prima di partire” fanno cantare il pubblico. Momenti di assoluta poesia con le incantevole “O Mae Mà” e “Dove i sognatori son librai” e “Una parola illumina”. Un breve medley ricorda brani storici e bellissimi ed evocativi per chi ha seguito Zibba per tanti anni “Un’altra canzone” e “In una notte con solo sue stelle”. Le bellissime canzoni di Zibba si susseguono, comprese le cover divenute famose come “Ciao, ti dirò”, “La vita e la felicità” (la canzone vincitrice di X-Factor, cantata da Michele Bravi e scritta in collaborazione con Tiziano Ferro) e “Il mio esser buono”, portata al successo da Cristiano De Andrè. Stupenda e coinvolgente anche la canzone che regala il titolo al nuovo album “Senza pensare all’estate”. I nuovi arrangiamenti dei brani più e meno recenti del cantautore ligure raccontano una crescita professionale e denotano una maturazione artistica. I brani saporiti e popolari fanno posto a una vena che diventa sempre più profonda e intimista. Temi che toccano tanti aspetti della vita, dal fumo del bar a parlare di donne, alla birra dopo il concerto, all’amore in tutte le sue sfumature. Per una donna. Per un figlio. Luoghi e odori conosciuti lungo la strada e cari a Zibba e un continuo riferimento al mare. Uno dei punti di forza della musica di Zibba e gli Almalibre. Emozioni e incanto che dal concerto rimangono nella memoria e nelle sensazioni. Così come dal primo concerto. Un successo sicuramente meritato, frutto di tanto lavoro e passione per la musica e per il palco. Tutte caratteristiche che non smettono di coinvolgere. Un bel concerto, espressione piena anche del nuovo disco “Senza pensare all’estate”. Assolutamente da ascoltare.

Abbiamo posto alcune domande a Zibba:

Gli arrangiamenti del nuovo disco e del tour sono frutto di una naturale evoluzione artistica o di una precisa scelta stilistica?

Frutto di una serie di incastri, di energie. Sicuramente c’è un’evoluzione artistica che sta prendendo forma e che vedrà nei prossimi album andare in una nuova direzione, ancora una volta, il nostro suono generale. L’inserimento delle percussioni e dei synth sta caratterizzando anche il mio modo di scrivere e pensare gli arrangiamenti.

“Senza aspettare l’estate” è una canzone particolare e racconta un modo di pensare, un tentativo di godersi il momento. Temi a volte davvero di svegliarti e non essere poeta?

Si, capita spesso. Quando come tutti cado nel tranello di far comandare solo la mente. Siamo spesso in attesa che qualcosa, le stagioni, dio, gli altri, portino luce nelle nostre giornate. Meglio muovere il culo e provare a cambiare le cose per come vorremmo fossero. Mettersi nella condizione di essere felici sempre è un lavoro duro ma paga. Ci vuole coraggio e passione anche qui.

La tua è una carriera lunga, che parte da lontano. Quanto conta la classica “gavetta” per raggiungere la qualità dei tuoi dischi?

Forse conta, ma conta anche la band. Conta come si sta quando si entra in studio. Zibba e Almalibre non sono mai stati così sereni e liberi di godersi i momenti. Questo cambia le cose, nel suono e nel colore. Poi ci metti tutti gli anni di palco e tutti i dischi fatti, l’esperienza e tutte quelle cose che sappiamo aiutano a sentirsi più sicuri. Ma di fondo sei tu, la qualità di quello che fai passa per quanto avevi voglia realmente di farlo.

Negli ultimi tempi hai collaborato con numerosi artisti importanti, cosa hai imparato da loro? Quanto sono stati importanti nel raggiungimento di questo successo?

Da ognuna delle persone incontrate nel cammino provo a prendere il massimo. Conta. Tutti ci insegnano qualcosa anche indirettamente. Non sarei quello che sono, qualunque cosa io sia, senza aver incontrato chi mi ha fatto tremendamente bene o maledettamente male. Si elabora. Si cresce. La musica non è mai un fatto solo personale.

Come riesci a gestire la vita familiare con un’attività musicale intensa che ti porta a girare l’Italia e che d’ora in poi non potrà che aumentare?

Con la fortuna di avere accanto persone che capiscono, che amano quello che faccio e il come. D’altronde stare con un cantante non è mai stato semplice per nessuno. Ci si impegna al massimo quando l’obiettivo comune resta invariato nonostante gli eventi. Costruendo senza aver paura di sbagliare. Consapevoli che sbagliare serve quanto far bene.

Anche l’ultimo disco è stato prodotto da etichetta indipendente, temi che l’ingresso nel panorama delle major possa in qualche modo modificare la tua naturalezza nello scrivere che abbiamo imparato ad apprezzare sin dai primi dischi?

No, semplicemente prima di cedere il nostro lavoro nelle mani di qualcuno vorrei trovare le persone giuste. La differenza tra major e indipendenti non è più così enorme, noi preferiamo restare soli fino al momento in cui riusciremo a trovare un discografico con il quale poter condividere valori e birre al bancone oltre alle prospettive lavorative. Sono fiducioso, ma per ora restiamo noi. Nulla potrà mai snaturare quello che siamo, non ce ne sarebbe motivo. Facciamo musica perchè non possiamo farne a meno, perchè amiamo tutta l’energia e la passione che sono nutrimento per le nostre giornate. Resteremmo noi comunque

Ringraziamo Zibba per la gentile collaborazione.

Recensione album “Tutta scena” di Jok e Rueka

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L’album “Tutta Scena” di Jok e Rueka ha radici nell’hip hop italiano più classico e molte influenze dalla musica leggera italiana. I brani sono cantati con passione e i beat sono perfetti per quello che sembra un progetto di “ripristino” di quel rap che molti italiani hanno imparato ad amare. In questo disco non si nascondono le fragilità della vita, proprio come nel primo brano “Tanta nostalgia”, in cui il peso della penna diventa l’alibi per parlare della sofferenze dei giorni più voti. Della guerra contro il grigio dei momenti più difficile, in cui tutto sembra cadere. La forza della rabbia e una chiara citazione degli articolo 31 rendono il pezzo accattivante. “Non ti sento” è sentire il senso più profondo delle cose. La voglia di scappare. Evadere. Imprimere la propria storia. La solitudine che diventa rabbia. Il negativo della foto. In “Dentro ogni storia” c’è il senso dei momenti. Della vita. Dei versi più oscuri. Il brano “Le nostre donne” ricorda per molti versi il sound dei Gemelli DiVersi. Un brano intenso che regala il giusto peso a una figura fondamentale della vita: la mamma. “Il più meglio” è un gioco fatto di sarcasmo, ironia, giochi di parole e citazioni a raffica. Il brano “Rimo perché” è un’onda che si muove tra ironia e realtà. Tra passione e verità. Nel pezzo “Toc Toc” si percepisce amarezza che si perde nel buio. Il senso più profondo tra le cose più semplici. La svolta. L’attimo che può cambiare tutto. Una durezza nata per difendersi. “La notte di san Lorenzo” è l’amaro racconto di un attimo. Quello che cambia tutto. Un desiderio che nulla possa finire davvero. La sofferenza  che diventa ritorno. Un’emozione fitta al cuore. La vita. Ancora. “Non mi viene fa il punto sulla situazione artistica hip hop. Sulle verità di comodo. La civiltà dell’immagine. “Mai più noi” racconta i sentimenti e l’amarezza dell’addio. “La mia vita” parla della vita nel quartiere, delle scelte che poi vere scelte non sono. Le prime immagini che portano dall’adolescenza ai primi palchi, senza dimenticare mai chi si è davvero. “Cenere” ha un beat nato dalla traccia “Volersi male” di Marco Masini e porta in scena i graffi della vita. La rabbia. Quello che resta. “Embè” racconta i valori che svaniscono cercando del successo. Lo schifo che diventa normalità. “Selfmade” è un viaggio passo dopo passo, alla ricerca di una strada lontano dagli sguardi di chi vede gli insuccessi altri come i propri traguardi. In “Nulla di buono” ci sono sogni. Anima. Capire il valore del denaro. E chi sei davvero. “Tutta scena” è un album con forti radici nell’hip hop italiano, pieno di energia e di canzoni forti e orecchiabili. Consigliato.

Recensione album “Late Night Session” di Mocce

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L’album “Late Night Session” del produttore Mocce raggruppa una serie rapper talentuosi che rimano su beat evocativi e affrontano temi comuni tra i rapper emergenti. Si parla di rabbia, di voglia di raccontare le difficoltà nella realizzazione di un sogno. L’album inizia con l’intro “Aria sospesa” in cui ci sono parole dure che riecheggiano su un ottimo beat. “Feeling” ė un brano in bilico tra hip hop e soul. Una traccia intensa che ricorda il sound dei primi Sottotono. Le parole del brano “Rabbia e Sogni” sono rabbiose e raccontano una vita sull’asfalto. Sogni che si rincorrono alla ricerca di se stessi. “Qui da solo” possiede un sound che coinvolge e ricorda la musica da club. Un beat che, anche in questo caso, ricorda i Sottotono, quasi come un tributo per chi li ha ascoltati e amati. “Ora sentici” ė una risposta alla vita creata con le rime. La scuola dell’hip hop che nasce e cresce. Poesia che diventa musica. Il brano “Late Night Session” non è solo divertimento. E’ musica. Immagini che diventano note e versi. Suoni diversi. E’ la voglia di farsi ascoltare. Una musicalità non originale, ma che attrae. In “Persi” viene esplicitamente citato Tormento come maestro. Ed è inevitabile non sentirne le influenze nel pezzo. Il risultato è buono. Melodia attraente e una quantità di versi che diventano musica anch’essi, tutte componenti necessarie per un buon pezzo hip hop. Il brano “Chi sono” ė come guardarsi dentro. Le necessità e i sogni. Ė ciò che serve davvero e che fa vivere. Ed ė anche quello che uccide. Il pezzo “Sempre io” ė l’anima allo specchio. Senza regole. Un viaggio tra sogno e realtà, tra ombra e successo. Il pezzo “Questa realtà” un po’ ricorda il primo Neffa, Un beat che riporta al passato. Una serie di versi che riportano a una realtà fatta di chiaro-oscuri. Di momenti. “Balla per me” è un ballo d’amore che gira intorno ai soldi come attorno a un palo da lap dance e  che forse è una metafora di una vita parallela. Di una vita lontana. La sofferenza messa in mostra. Un sorriso finto. Il beat di “Ci vuole cuore” ricorda il suono degli anni ottanta e suona molto bene. Versi che si rincorrono. Un po’ come lo stile che i Sottotono proposero con l’album “Sempre lo stesso effetto”. Un’ottima scelta stilistica. “Non guardo indietro” racconta storie di vita, semplici, comuni. Ma di vita. Un sound che guarda oltre i giorni d’oggi. Ė voglia di futuro. Ė musica. L’album “Late Night Session” suona bene seppur non brilli in originalità, con atmosfere che riportano al sound dei Sottotono e in generale della mitica “Area cronica”.  La copertina del disco ha una grafica curata e accattivante. Un consiglio per concludere: toccare temi meno comuni nell’hip bop emergente aiuterebbe a proporre una novità che verrebbe certamente accolta con maggior entusiasmo. Nel complesso il disco si lascia ascoltare.

Recensione album “Murales” di Sonia Mariotti

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L’album “Murales” di Sonia Mariotti è delicato e dolce, composto da canzoni sono semplici e incantate. ”Solo la fine di noi” racconta di un triangolo di specchi, di pensieri e amori imperfetti. “Ballata d’amore” è una canzone semplice. Intensa e malinconica. In “Ogni volta” si sente il dolore, il farsi male, nei giorni a perdere. Nelle verità che si giocano a carte nella partita tra le sfumature della vita. “Murales” vola in un equilibrio labile, tra viaggi e ritorni. Le parole e gli sbagli. Le note leggere, la ricerca di un senso scritto sui muri silenziosi. “Giocami” è una ballata persa nei giochi di parole. Richiami ed echi lontani. Sentimenti e ostacoli. In “Regalami chi sei” si percepisce il corso delle cose, le reazioni intangibili. Memorie. Pensieri instabili. Racconti d’amori intensi pieni e solitari. “Vivo dentro” è la sequenza dei pensieri. Il sussulto in un giorno qualsiasi. Le parole a rincorrersi. “On the hill” è una ballata con un ritmo leggero e una melodia accattivante. “Liberami l’anima” è una poetica ballata d’amore, di paure di perdersi nei rimorsi e nei ricordi. Un disco che miscela semplicità con un linguaggio diretto e dolce.

Recensione “I segreti dell’intelligenza corporea” di Marco Pacori

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“I segreti dell’intelligenza corporea” è un libro particolare, che svela un mondo nascosto, ma che con maggiore attenzione è possibile scoprire. Il corpo parla con un suo linguaggio, a volte criptico, a volte più esplicito, ma che svela la sua identità. I rapporti tra le persone sono regolati da questi comportamenti, i quali, in qualche modo, possono essere modificati per ottenere dei risultati. Il libro racconta i risultati di una serie di esperimenti volti a evidenziare come i comportamenti possano essere modificati mettendo i soggetti a contatto con determinati fattori. Esperimenti basati sulla correlazione tra odore sgradevole, materiali ruvidi, e le reazioni inconsapevoli dei soggetti coinvolti. I capitoli presenti nel libro raccontano l’esperimento, il risultato e i consigli su come usare queste reazioni in vari contesti, come per esempio durante  un colloquio di lavoro. Marco Pacori svela come parlare di “sensazioni di stomaco” non sia scorretto, ma che anzi lo stomaco sia una parte importante del sistema nervoso legata al cervello. Racconta come utilizzare le tecniche collegate all’intelligenza corporea per migliorare determinazione e sicurezza in se stessi o per migliorare creatività e apprendimento. Un metodo che spinge ad allenare questa forma di intelligenza e renderla in qualche modo “disponibile” e utilizzabile. “I segreti del’intelligenza corporea” è un viaggio nel corpo umano, nelle sue contraddizioni e nei suoi meccanismi importanti quanto impercettibili e nelle sue sfumature. Un altro lavoro che Pacori crea per raccontare quello che non sappiamo o che abbiamo sempre sottovalutato, come mettere al servizio il nostro stesso istinto. Semplicemente ascoltando e ascoltandoci.

A cura di Daniele Mosca in collaborazione con Amelia Tipaldi

Recensione album “Murales” di Sonia Mariotti

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L’album “Murales” di Sonia Mariotti è delicato e dolce, composto da canzoni sono semplici e incantate. ”Solo la fine di noi” racconta di un triangolo di specchi, di pensieri e amori imperfetti. “Ballata d’amore” è una canzone semplice. Intensa e malinconica. In “Ogni volta” si sente il dolore, il farsi male, nei giorni a perdere. Nelle verità che si giocano a carte nella partita tra le sfumature della vita. “Murales” vola in un equilibrio labile, tra viaggi e ritorni. Le parole e gli sbagli. Le note leggere, la ricerca di un senso scritto sui muri silenziosi. “Giocami” è una ballata persa nei giochi di parole. Richiami ed echi lontani. Sentimenti e ostacoli. In “Regalami chi sei” si percepisce il corso delle cose, le reazioni intangibili. Memorie. Pensieri instabili. Racconti d’amori intensi pieni e solitari. “Vivo dentro” è la sequenza dei pensieri. Il sussulto in un giorno qualsiasi. Le parole a rincorrersi. “On the hill” è una ballata con un ritmo leggero e una melodia accattivante. “Liberami l’anima” è una poetica ballata d’amore, di paure di perdersi nei rimorsi e nei ricordi. Un disco che miscela semplicità con un linguaggio diretto e dolce.

Recensione “Pensieri raccolti” di Aliceland

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L’album “Pensieri raccolti” di Aliceland è melodioso, dolce e emozionante. I brani sono intensi e soffici. “Chiamerai” è una ballata semplice e appassionata. Un amore. E le ferite che lascia. La canzone “Immagina” possiede un bel suono di chitarre. E’ un pezzo leggero e melodioso con una voce dolce e sognante. “Pianeti” è una ballata struggente con passaggi lenti e con una profondità di immagine. Lati che si nascondono ed esplodono in un ritornello che vibra. Una storia. “Oltre il vetro” racconta una storia d’amore.  Una prigione di sentimenti, dove la noia uccide senza far rumore.  “Tramonto d’estate regala un suono di pianoforte che si sente in lontananza. Come l’eco dei ricordi. Dei sogni. Tutti dormono. Lei raccoglie pensieri e li racconta. Ascolta. In “Segreti notturni si può ascoltare un bel ritmo e una voce soffusa e melodiosa.  “Let me know” incanta con un bel ritmo, un pop rock attraente e affascinante con un ritornello energetico. “Sacred mountain” è una ballata carica di immagini con atmosfere intense e sognanti. “Com’era” parla di un amore d’autunno che va via. Di un freddo che arriva, col peso dei ricordi. Le ferite. I cambiamenti forzati. Le nuove abitudini. “Il gioco” racconta gli sguardi. I sogni e i discorsi che tornano. Pensieri che restano sospesi tra anima e passato. In “Ovunque” c’è l’istantanea di una nuova vita, di un racconto. Ritrovarsi forti. Dopo la turbolenza, dopo il vento e le tempeste. Ritrovarsi. “Sand and silence” ci si lascia trasportare dal suono melodioso e profondo e dalle sfumature e brividi. Ritagli di istanti.  “Spengo” è come chiudere gli occhi. E dimenticare. Perdersi. Restare incantati mentre si scopre che il cuore non sa dormire. Come non sa farlo la vita. “Crying” è una ballata profonda e intensa. Alice ci regala un disco che si lascia ascoltare, c’è passione, c’è musica ben suonata e canzoni semplici ma molto intense. Fa sognare e pensare. Un bel disco.

Sempre ammesso che serva

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Quanti sogni non aiutano, e gli occhi, persi nel mare, non sanno trovare una strada. E’ torbido. Quanti istanti possono far piacere, poco prima di uccidere. Così trascini gli istinti primordiali a uno stato che non conosci. E in fondo, nemmeno ti interessa. Solo chiudere gli occhi. Lasciare che il tempo si nasconda. Ho passato tanto tempo a parlare con me stesso, cosa ho capito? Poco. Forse niente. Siamo vetri sporchi, noi. Piccole ombre colorate di vento. Poco prima di fuggire. I luoghi sembrano sempre gli stessi. E io la soluzione non ce l’ho, perché tutto sia diverso. Ci si ritrova qui, al bar. A guardare la superficie del caffè. Sempre uguale. La notte splende come sempre, illuminata da una luna che fa quasi paura. No. I sogni non aiutano. Ti fan sentire inadeguato. Sempre. La terra brucia, sarà stato il troppo sole. La testa mi fa male. Sembra senta il peso del tempo. Senza fine. O forse, una fine ce l’ha. Ed è sempre tardi per guardarsi dentro. Sempre ammesso che serva a qualcosa. Il giorno è un giorno come tanti. Piccole ombre disegnate a stento. Sulla sabbia. Mentre la rabbia ascolta, e sembra stanca anche lei. E’ la prima volta che la vedo così. Non ha più quei lineamenti duri. Non sembra più così determinata. Vorrei sbagliarmi, ma sembra avere paura. Anche lei. Io resto qui. Su questa banchina, da quanto tempo sto aspettando quella nave? Forse non passerà. Ed è meglio così. I miei passi si susseguono, come capitoli di un libro. Ogni tanti mi fermo, guardo una vetrina. E riparto. Quanti sogni non aiutano. Quante stelle non illuminano.

Recensione romanzo “Sulla sedia sbagliata” di Sara Rattaro

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Quattro storie difficili, in cui i sentimenti sono la trama stessa. Storie che sembrano lontane, ma che sono unite da un unico filo conduttore. Gli occhi di una madre. Gli occhi di un figlio. La ricerca di se stessi, delle pieghe della vita che allontanano da quello che davvero che si vorrebbe. Da quello che sei. Quattro immagini diverse. Andrea che sotto effetto di stupefacenti uccide la fidanzata Barbara. La narrazione a effetto consente al lettore di capire il punto di vista dell’omicida, analizzando la struttura del perché di quell’atto, e della madre, la cui immagine perfetta viene infangata e sbattuta in prima pagina. Sono due anime le cui storie si scontrano, e, in fondo, si incontrano. Un viaggio a ritroso nel senso più completo della vita e della morte. Questo romanzo racchiude infatti anche la storia della mamma di Barbara, che vede uscire la propria figlia da casa, per non vederla tornare mai. E’ il suo dramma, la perdita della realtà, della propria coscienza. E’ la sua follia. Un’altra istantanea è la storia di Valeria che scopre l’amore, ma solo per un attimo. Fino a quando scoprirà dal telegiornale che il ragazzo che ama ha ucciso la madre. E’ la storia di Zoe, che attende un trapianto, una vita normale. Un amore. Questo romanzo è un viaggio in queste quattro storie e in tanti punti di vista molto differenti tra loro. L’attenzione si sofferma sul rapporto madre figlio (o figlia), sull’accettazione di un dolore a cui non si può più porre rimedio, e su tutto ciò che, in qualche modo, ha portato a quella situazione. Ai sensi di colpa, le paure inespresse, la voglia di scappare lontano semplicemente per non vedere e non capire ciò che sta accadendo. E’ lo scontro con il senso di abbandono e con la necessità di ritrovare la vita, se non più quella di prima, una vita. Si parla di rabbia, di sogni, di dolore. Di perdono. Un vortice che trascina il lettore nell’alternarsi della narrazione delle storie, in cui si percepisce la medesima genesi del dolore e dell’amore stesso. Un treno, tanti viaggiatori e stazioni. Un punto di arrivo. Diverso per tutti.