Svanita è l’immagine

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Poesie

Non c’è oscurità,

né alcuna breccia di luna,

tra le pareti oscene

di questo locale buio

C’è il nome di una donna

e il verso di una bestia.

C’è consapevolezza.

E inganno.

La vergogna è sopita,

tra cumuli di arroganza.

Svanita l’immagine

Tradita la speranza

Non c’è vento stasera.

E piove.

Il distacco delle cose

È il piacere assoluto

Senza poesie e prose

Che hanno un sapore strano

Legato alla notte.

Alla storia.

Come l’idiozia,

l’armare l’inquietudine

e Ferirla ancora,

nella brama di dormire.

Questo rumore mi uccide,

come questo parlarsi addosso

Ho bisogno di silenzio.

Vorrei fuggire e non posso

 

Chiamano il mio nome:

sono il prossimo.

C’è freddo stanotte.

Ho i brividi.

Traiettorie

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Poesie

Ai lati degli occhi

Come sbavature leggere

E colori che si rincorrono

Essere, quando si perdono

Ingannarsi, quando si spera

E il vento si raccoglie

E coglie l’incanto del mare

Era il senso delle cose

Quando finisce di piovere

Novità e pericolose stelle

Che nulla han da perdere

Ai bordi del sole

Ci sono raggi sfuggenti

E donne sole piangono

Per le paure ricorrenti

Traiettorie che infrangono

Onde sul selciato del presente

L’inganno

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Pensieri

Futili come pensieri che aleggiano nella mente. Inevitabili, come il naufragio delle stelle. Sono i percorsi della vita, quelli che dimentichiamo al bar come un mazzo di chiavi qualunque. E spesso capita di pensare a come tutto sia così fragile, aleatorio. Quanti progetti facciamo, convinti che tutto sia eterno, che non ci sia una fine. Poi ti accorgi che una persona svanisce, e qualcosa dentro di te cambia. Ti rendi conto che non c’è sempre una seconda pagina del libro, non c’è sempre il finale che vorresti. Si vorrebbe imparare a vivere la vita, istante per istante, eppure navighiamo in mari e oceani di “vorrei”, “se”, “ma” e così perdiamo tempo. Tempo prezioso.  Rinviamo i momenti e nascondiamo quello che vorremmo dire. E’ come quando ti viene in mente una poesia, una canzone, ma non hai voglia di scriverla, così la dimentichi. La ignori. E lei svanisce, come svanisce una persona, così, in un attimo. Ci sono mali che non sappiamo combattere, questa è la verità. La nostra arroganza ci spinge a sentirci immortali, ma non lo siamo. Perché è di questo che parliamo, le parole poetiche ci aiutano a dire tante cose, ma così facendo le celiamo dietro a distese di spighe di grano. Ci inganniamo. E lo facciamo tutti i giorni, illusi dalle nostre parole, dai nostri sogni. Torno a scrivere quando sento un formicolio dentro, qualcosa che vuole uscire e resto in silenzio quando il groviglio di parole che riecheggiano nell’etere mi fa venire male alle orecchie e finisce per stordirmi. Ma anche nei silenzi ci sono delle verità e delle emozioni, perché tante volte si parla a sproposito, si urla e si dimentica di quello che è davvero importante: nessuno svanisce mai davvero. Ed è proprio quando tutto sembra cadere sotto i colpi inesorabili del tempo, quando la partita sembra impossibile da vincere, che bisogna attaccare. Ribaltare il risultato e nel farlo, godersi la partita, uscire dal campo tra gli applausi del pubblico. Anche se hai perso. E quella non sarà mai una sconfitta, sarà la vita.

Recensione romanzo “Agent 6” di Tom Rob Smith

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Narrativa, Recensioni

Il terzo capitolo della trilogia ideata da Tom Rob Smith “Agent 6” si differenzia molto dai due romanzi precedenti “Bambino 44”“Il Rapporto Segreto”. Il protagonista è ancora una volta Leo Deminov, personaggio complesso, articolato ed enigmatico. Tutto inizia con l’organizzazione del concerto della pace, organizzato a New York dalla moglie di Leo, Raisa, e al quale parteciperanno le due figlie Elena e Zoja. Complicazioni burocratiche impediranno a Leo di partecipare alla manifestazione. L’evento nasce per migliorare i rapporti tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica nel bel mezzo della guerra fredda, ma si trasforma in un intrigo internazionale, in cui spie e personaggi ambigui diventano la chiave dell’enigma contro il quale Leo dovrà confrontarsi: chi è Agent 6? Chi è colui che ha distrutto ciò che amava di più al mondo? Leo deve affrontare forse la peggiore delle sfide, ritrovare se stesso, salvare la sua famiglia e vendicarsi. Per farlo dovrà raggiungere gli Stati Uniti, cosa molto difficile per un ex agente del Kgb. Per farlo sarà disposto a fare ogni cosa, anche a ritornare a essere un agente del Kgb.

“Agent 6” è un romanzo introspettivo, che non rinunciare all’azione e alla sfida, il tutto costruito egregiamente, con un’ambientazione storica ben studiata e ricca di particolari. Il finale di questa storia chiude la trilogia nel miglior modo possibile, regalando l’emozione che ogni lettore cerca in un libro. La scrittura veloce e dinamica dell’autore si rivela azzeccata anche in questo nuovo lavoro, che a tratti risulta però più lenta, ma è lecito quando si deve affrontare una crisi interiore, che distrugge dentro il personaggio e ciò in cui crede. La bella moglie Raisa svolge un ruolo chiave nella trilogia di Leo Deminov, così come lo sono le due figlie Elena e Zoja, che mettono a nudo la vera anima del protagonista che, anche in questo caso, si rivela un eroe imperfetto e umano. Un libro da leggere, così come i primi due romanzi di Tom Rob Smith.

Ferite d’orgoglio

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Poesie

Le vele gelate

pure immagini di una tormenta

vele svanite

veste di donna che s’addormenta

Le ossa incantate

gesta divine dimenticate nel vino

Istinto e rancore

Istinto è rancore mai dimenticato

Spaventarsi

Perdersi e rinsavirsi senza colpo ferire

Ferite l’orgoglio

L’ultima volta

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Poesie
 

Hanno portato via tutto

le scorte per una vita intera

il lutto, e delusa è la stella

e la sera? Raccoglie imbrogli

Ne cogli il profumo?

C’è umidità stanotte

e quante domande;

Parlavo alla luna

Dimmi tu il perchè.

Senza lode ne infamia

Incantarsi, incontrarsi

Scontrarsi per capirsi

hanno portato via tutto

dai banchi dell’essere

Sta per piovere ancora

Sta per piovere

L’ultima volta

Recensione “Ciò che non posso avere” di Barbara Gobbi

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Recensioni

Il disco “Ciò che non posso avere” di Barbara Gobbi è ricco di spunti interessanti. I pezzi suonano come un rock melodico, aggressivo e suadente. Sin dalla prima canzone “Abban(dono)” si sente una decisione in uno stile dolcemente duro. In “Di passi neanche l’ombra” emerge una forte malinconia che si presta a un’accusa amaramente urlata.”Certezze e cemento” è una ballata con un ritmo intenso, un testo riflessivo e coinvolgente, mentre “Afa circonda” esprime un’ottima musicalità ben miscelata a un testo introspettivo e particolare. Un’istantanea sul ruolo di una donna di successo è ben dipinta in “Donna manager”, anche in questo caso su sonorità rock. “Intrigante” è il titolo che descrive la metrica di questa canzone nel suono delle chitarre e nel ritmo che esplode con un’amarezza a tratti contorta ma sempre forte e decisa. Come un inno contro l’ipocrisia si erge “Le tue maschere” sempre semplice nella tua complessità e senza cadere mai nel banale. “Il mio bell’attimo” possiede una bella melodia che si sposa con un ritornello accattivante. E’ acqua che si adegua “In sostanza”, potente e scatenata come l’onda travolgente. In “La lieta notizia” si sente una piccola influenza di Carmen Consoli (ma si sente anche in altri pezzi) in un’interpretazione anche in questo caso duramente insolente. Questo disco rappresenta un buon lavoro, testi semplici e melodie attraenti sono gli ingredienti della ricetta musicale di Barbara Gobbi,  sperando di poter sentire ancora parlare di lei in un prossimo futuro. Un bel disco.

Punizione divina

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Narrativa

Signor giudice, voglio raccontarle la verità. Sono un infermiere e già dal primo prelievo di sangue ho capito quanto godessi nel farlo. Mi eccitavano quei vasetti pieni di vita, solo a guardarli. Ma gl’incubi sono iniziati quando ho letto quel libro. La notte mi svegliavo sudato, urlavo. Vedevo fiumi di sangue che scorrevano di notte, e di giorno vedevo rosso ovunque. Giudice, è pericoloso quel libro! È lì che ho capito quale sarebbe stata la mia missione. Una ragazza conosciuta in un bar fu la prima a essere immolata per il mio sublime piano. Una volta a casa deposi quel corpo caldo nella vasca. Giudice, non immagina come un corpo deperisca, istante dopo istante, fino a diventare bluaceo. Dopo un’ora era smunta. Sa quanto sangue c’è in un essere umano? L’otto per cento del peso corporeo. Me ne serviva tanto. Qual è colui che suo dannaggio sogna, che sognando desidera sognare, sì che quel ch’è, come non fosse, agogna?  E’ vero, non avete mai trovato i corpi. Le dirò dove sono: in una fabbrica abbandonata, nell’ex sala macchine, ci sono le botole dei pozzi che portavano acqua alle vasche; sono lì, potete controllare. La cella frigorifera dell’ex sala mensa divenne il mio deposito. Volevo creare il mio gioiello, e lavorai notte e giorno. Non sa quanto sia stato emozionante vederlo all’opera. Scelsi la mia prima vittima nel quartiere più degradato della città, frequentato solo da balordi e violenti. Dopo qualche ora quel bastardo si risvegliò appeso per le braccia a un cavo d’acciaio. Calai lentamente il suo corpo con l’argano, lungo la proda del bollor vermiglio, dove i bolliti facieno alte strida.

Il suo urlo riecheggiava nella sala mentre il bruciore lo assaliva, prima ai piedi, poi le cosce, fino al pube. Non riuscivo a trattenere la mia eccitazione quando il fiume di sangue fumante lo inghiottì. La divina giustizia di qua punge, quell’Attila che fu flagello in terra e Pirro e Sesto; e in etterno munge. Conosce l’Inferno, Giudice?

Recensione “Fuori dal Comune” di Davide Geddo

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Recensioni
L’album di Davide Geddo “Fuori dal comune” si apre con una canzone da brividi che si chiama “Genova”, un’autentica perla di musica e poesia che sa far sognare.”Ti Voglio” è pezzo orecchiabile, molto radiofonico, e con un testo frizzante.”In ogni angolo della notte” ha un retrogusto jazz con una vocalità riflessiva e intensa, mentre  “Innocenza” è una canzone che ha un qualcosa di geniale che seppur nella sua semplicità colpisce per la sua profondità. Non mancano le ballate sognanti come “Il limite” e “1000 cose” che accompagnano l’ascoltatore verso un mondo di poesia e intensità. L’amara e coinvolgente “Marylin” sembra quasi essere divertente nel suo incedere tagliente. “Lo sguardo del cantautore”, con il featuring dell’ottimo Zibba, è dissacrante e ironica e che spezza e arricchisce il contenuto di questo album. “Meg” è dinamica, sarcastica e con un testo ricco di poesia intrecciata a una realtà che sa di fumo di un pub di periferia. “Oltre” e “Cuore” sono due canzoni d’amore o forse sono qualcosa di più. Quel che lasciano è un sapore, quasi un profumo, fragrante che completa degnamente un album ricco di poesia, musica, intensità e che quindi racchiude un senso ancora più sublime in un finale emozionante. Un bell’album. 

 

Recensione “Lo Specchio” di Francesca Romana

Pubblicato il Lascia un commentoPubblicato in Recensioni

L’album “Lo specchio” di Francesca Romana contiene pezzi pop melodici, alcuni dei quali particolarmente raffinati. Lo si denota sin dalla prima canzone “Il tuo nome e il veleno” in cui alcuni tratti del testo spiccano per originalità mentre altri si rifanno a una cultura melodica italiana più classica. “Giovanna la pazza” è particolarmente orecchiabile e in alcuni tratti avrebbe bisogno di maggior incisività per renderlo di qualità ancora superiore. “Canzone blu” è anch’essa molto appetibile all’orecchio. “Io e Biancaneve” è originale nella sua composizione e nella fusione tra un testo complesso all’apparenza e la melodia molto ariosa. “L’estranea” è una ballata lenta con una vocazione intimista e sussurrata, mentre “Il poeta”, pur essendo anch’essa una ballata, possiede un’architettura più raffinata del testo e dell’interpretazione. “Storia clandestina” sembra una favola raccontata nelle sere d’estate quando il sole è tramontato da poco. Ne “Il lago” si sente l’eco dell’influenza di Carmen Consoli con una struggente passionalità regalata all’ascoltatore. “Mad Maria” invece è particolare e affronta una tematica difficile e ricca di ostacoli, forse spingendosi ancora oltre colpirebbe in maniera più forte e decisa. Francesca Romana ha delle indubbie qualità canore e una grande capacità di intrecciare le parole per creare atmosfere avvolgenti. Con ancora più spregiudicatezza nei testi potrebbe creare testi in grado di fare ancor di più la differenza. Quello che si può dire dell’album “Lo Specchio” è che contiene molte canzoni interessanti, alcune molto orecchiabili, altre con un tono più poetico e altre con una struttura melodia e voce intrigante e che lo rende attraente. C’è molta sostanza e tecnica in questo disco e speriamo di riascoltare Francesca con altre canzoni.