Il rumore dei ricordi

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Lei chiuse gli occhi,

cantò per ore.

Quasi senza respirare.

Senza accorgermene mi ritrovai incantato,

perso tra le rovine dei miei ricordi.

Alcuni erano oscuri,

come cumuli di cenere di un incendio doloso

Mi soffermai a sentire l’odore di bruciato,

poi mi incamminai, fino a raggiungere le rocce.

Il vento soffiava forte. Mi bruciavano gli occhi.

“No, nessuna lacrima” mi ripetevo.

Mentre una melodia lenta riecheggiava,

tra il mare e l’orizzonte.

C’era rabbia in quel vento,

riuscivo a sentirlo.

Quando quella lacrima cadde,

scivolò giù abbracciata da un fiume,

per ricongiungersi al mare.

Allora riaprii gli occhi,

e mi risvegliai con il sapore di un bacio.

E il vento era cambiato.

A volte ritornano

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A volte ritornano. E a volte sarebbe meglio non ritornassero. Silvio Berlusconi ha annunciato il suo “ritorno in campo”, sostenuto, dice lui, dagli industriali. Forse ritiene che i suoi elettori abbiano la memoria corta quando omette che la stessa Confindustria aveva smesso da tempo di appoggiarlo, a causa delle scelte politica discutibili e che non hanno mai favorito davvero l’attività imprenditoriale. Forse non ricorda che l’Europa ha smesso da tempo di appoggiare la sua attività politica, le bravate, le bugie raccontate come solo uno studente che non ha studiato può fare con il professore che lo vuole interrogare. E’ vero, non dovrebbe esistere alcun rapporto di sudditanza dell’Italia nei confronti della Germania, ma nemmeno un atteggiamento pressappochista, che nasconde l’immondizia sotto i tappeti. E’ ancora, e quando mai come adesso, necessaria la serietà. Contestabile o meno l’attività dell’attuale governo è servita per aumentare il peso politico dell’Italia in Europa, e certamente la crisi non è ancora alle spalle. Non può servire, ma può invece risultare dannosissimo, annunciare tagli delle tasse quando obbiettivamente è impossibile farne. Sarebbe invece auspicabile intervenire nella gestione delle entrate, applicando reali tagli alla spesa pubblica senza eliminare o peggiorare i servizi, già spesso carenti. Le frottole raccontate negli anni hanno portato gli italiani allo sconforto, alla paura del domani, alla fine delle speranze di un futuro migliore. Non è solo colpa di Berlusconi, ma a lui va la colpa di averla illusa e non glielo si può perdonare. Ormai conosciamo la sua politica e conosciamo il suo modo di vivere poco rassicurante e, soprattutto, il suo egoismo e l’attenzione maniacale per i propri interessi. Ed è il momento di smetterla, o, perlomeno, di non ricominciare. L’idea di Berlusconi di inserire il presidenzialismo è chiaramente solo una manovra per estromettere parlamentari con idee diversa dalle sue da ogni tipo di decisione, che, nella sua fantasia, spetterebbe solo a lui. Questa non è l’idea di democrazia che gli italiani vogliono. C’è bisogno di gente nuova e di idee nuove, se perché queste nascano devono morire realtà come Pdl e Lega (con i loro nuovi possibili futuri nomi), che muoiano in fretta e senza fare ulteriori danni. Forse la sinistra non sarà la soluzione a tutto, ma si può iniziare dalla gente onesta e che crede ancora in qualcosa.

Intervista a Celeste Gaia e recensione del suo album “Millimetro”

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Una voce soffice e ammaliante. Canzoni orecchiabili che, come fragili calici colmi di favole, conquistano gli ascoltatori. Questo è il cocktail che Celeste Gaia riesce a regalare con il suo primo album “Millimetro”. Si fondono ironia e melodia in tracce come “Io devo diventare una persona normale” e “Aspette”, sentimenti e abbandono in “Indirizzo nuovo” e la sognante “Biglia”, che sfociano nel sapore di favola in “Bianconiglio”. Come un jazz stravagante viaggiano “Hai ragione” e “Supermen”, con incedere divertente e spensierato. E come non citare la ormai famosissima “Carlo”, già ascoltata a SanRemo e in tutte le radio italiane, che ha la capacità di trascinare e fissarsi a doppia mandata nella memoria. Il genere che Celeste propone punta all’immediatezza di pezzi orecchiabili, ma che possiedono un’intelaiatura e una struttura musicale mai banale, con arrangiamenti studiati e puntuali. D’altro canto Celeste conosce molto bene la musica e con essa ha creato un ritratto di se stessa, timida e stravagante, ironica e raffinata. Dolce e affascinante, come si ascolta nella canzone che da il titolo all’album. “Millimetro” sembra infatti esprimere ciò che la cantautrice può ancora regalare, anche oltre le canzoni un po’ stralunate, giovani e fresche. Il primo album è un biglietto da visita importante ed esprime un potenziale che emerge e trasporta in un mondo incantato, a volte buffo, a volte alla ricerca degli occhi della gente, come nella traccia “Mi chiamo Alice”. Un mondo tra favola e realtà, tra i raggi di un sole che acceca. Come l’esplosione di una personalità certamente particolare, queste canzoni ci raccontano chi è Celeste. E non si può fare a meno di comprenderne sia la stranezza, sia la fragranza sincera e maliziosa spontaneità di una giovane cantautrice che ha appena intrapreso un viaggio tra le favole.

Celeste si è gentilmente concessa alle nostre domande che ci aiuteranno a entrare ancora di più nel suo mondo:

1 – Le tue canzoni sono semplici, raffinate e si percepisce l’attenzione per la musica. Quanto è importante la tua preparazione musicale nella creazione     dei tuoi pezzi? Hai degli artisti ai quali ti ispiri o li lasci trasportare dall’istinto dell’essere te stessa?

Quando scrivo viene fuori tutto quello che sono. Non penso a categorie o a generi, scrivo solo quello che sento e che sono felice di cantare, quello che mi rappresenta. Nella creazione musicale non so dire quanto sia importante la preparazione musicale.. Perché è un discorso diverso. Non ci sono regole o libri che ti spiegano come fare il cantautore. È una necessità che per ognuno è vissuta in modo differente.

2 – “Carlo” è un’entità desiderata e cercata quasi di nascosto, ma Celeste Gaia cosa cerca davvero nelle persone oltre gli sguardi?

Mi piacciono le persone che sanno ascoltare e capire. Quelle che mi fanno parlare ma che mi fanno anche stare in silenzio perché le parole a volte sono di troppo.

3 – Nelle tue canzoni racconti sentimenti puri e puliti, cantati con la una semplicità disarmante. La tua immagine sembra rappresentarti e calzarti a pennello come una dimensione fiabesca. Come ti immagini “da grande”?

Mmmm.. Da grande? Non ho un’idea precisa. L’unica cosa di cui sono sicura è che per me sarà un po’ inevitabile mantenere quella parte un po’ più scherzosa tipica dei bambini, perché mi aiuta a vedere tante cose del mondo senza pregiudizi e come se fosse un po’ la prima volta. Quella parte che mi fa venire voglia di scrivere.

4 –  L’ironia è una parte che ben si sposa con il tuo lato più profondo e in una delle canzoni canti “io devo diventare una persona normale”. Cos’è per te la normalità ?

Forse normale è ciò che sembra più giusto fare o essere in certi casi. Una categoria data un po’ dalle regole imposte della società e dal comune buon senso. Ma penso in realtà che alla fine non esista davvero.. O meglio penso che ognuno abbia la sua normalità, bisogna solo saperci convivere.


5 – La rete per te è stata molto importante, ritieni che l’esperimento “SanRemo Social” possa rappresentare il futuro della musica?

Internet è un mezzo fantastico perché offre grandissime opportunità per farsi conoscere. Abbatte molte barriere. Penso che in molti casi possa fare del bene alla musica. Non so se sarà il futuro della musica, per ora è un modo di diffusione molto vasto, ma sono ancora da vedere quali saranno le evoluzioni di questo grande canale che è la rete. Certo è che non potrà mai sostituire l’esperienza di vivere una performance musicale dal vivo come può essere un concerto.

6 – Il salto dalla musica classica a quella pop e orecchiabile è arduo e per molti “impossibile”, ma tu ci sei riuscita alla perfezione. E’ accaduto grazie al tuo dinamismo o c’è un filo che unisce tutta la musica?

Penso che ci sia un filo conduttore che unisce tutta la musica. Non l’ho mai vissuto come un distacco. Sono generi diversi è chiaro, ma fanno sempre parte di un flusso dinamico che continua a dialogare tra i vari modi di espressione musicale. Per me la situazione è più o meno cambiata quando ho iniziato a scrivere le mie canzoni e ho capito che nella vita avrei voluto continuare su quella strada.


7 – Ascoltando il tuo album “millimetro”, si scopre la dolcezza e la dimensione quasi irreale che si respira tra le tracce, come a disegnare un mondo tutto tuo ma nel quale hai lasciato entrare per un attimo chi ti ascolta. Che parole useresti per descrivere il tuo disco?

È un disco molto personale. L’ho chiamato Millimetro perché penso che le cose piccole sono quelle che fanno la differenza. Quindi è pieno di dettagli e di particolari. A volte anche solo una parola può farti sentire più tua la canzone, per questo ho cercato di non dare mai niente per scontato.


8 – Ci sveli quale sarà il tuo prossimo singolo?

Ehm.. Io vorrei, non vorrei.. Ma se volessi, non potrei comunque. Però appena lo saprò sarete tra i primi a saperlo, promesso!

Ringraziamo Celeste Gaia per disponibilità.

Pubblicato su Causaedeffetto.it

Il silenzio e il fuoco

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Ho socchiuso la porta per non sentire ancora rumore. Avevo bisogno di guardarmi dentro e capire cosa era rimasto di tutti quei sogni, quelle speranze. Quelle illusioni. Mi sono fermato davanti a una mia immagine riflessa nello specchio e mi sono visto diverso, spento. Quando mi guardo intorno vedo e sento la resa incondizionata di una generazione. Quando guardo dentro i miei occhi la sento crescere, inarrestabile. Se ripenso al passato, so di aver lottato contro tutto, tutti e soprattutto contro me stesso, perché nulla avesse la meglio sulla volontà di resistere. Bella parola “resistere”, ma resistere a cosa. A chi? Ci sono giorni in cui tutto sembra impossibile e altri in cui è impossibile. Il dovere di chi scrive è continuare ad alimentare la fiamma, soprattutto quando intorno inizia a soffiare un vento di tempesta e il cielo diventa improvvisamente scuro. Questo è il messaggio che stanotte mi va di comunicare: fino all’ultimo respiro.

Quando mi sentirai in silenzio, non temere. Sarò lontano a cercare ancora legna da ardere, perché quel fuoco non si spenga mai.

Foto candela: Simona Vacchieri

Recensione romanzo “1Q84” di Murakami Hakuri

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Il romanzo “1Q84” dell’autore giapponese Murakami Hakuri è ipnotico, a tratti mistico. L’architettura della trama è complessa, intricata e attraente. Tuttavia il libro non è così facile da leggere, o meglio, potrebbe non piacere a tutti. Forse a causa della cultura giapponese o per scelta stilistica dell’autore, la narrazione contiene molti punti in cui l’autore ripete concetti, descrivendoli e approfondendoli sin nei minimi particolari. La forza della storia riesce però a calamitare l’attenzione del lettore, anche grazie alle figure forti dei personaggi come Tengo, Fukaeri e Aomane, tutti con caratteristiche particolari e molto ricercate. Tutto inizia con la scelta dell’editor Komatsu di pubblicare la bozza di un libro della giovane scrittrice Fukaeri. Per farlo chiede aiuto a Tengo per riscriverlo. Ben presto quella bozza diventa un romanzo vero. Un romanzo che nasconde un mondo. C’è intensità e profondità nelle parole dell’autore, che scava nella psiche dei personaggi e del lettore, fino a raggiungere un punto sconosciuto e indecifrabile. Leggendo questo libro si percepisce l’inquietudine e la tensione nascosta tra le parole, che avvicinano e allontanano dal succo della storia, facendo assaporare a volte piccoli assaggi, a volte bocconi un po’ più grandi, il tutto con un equilibrio maniacale. La tecnica di Murakami non rende “1Q84” un libro facile, ma stimola l’interesse del lettore che vuole capire cosa nasconde questa bella storia. Questo romanzo, edito da Einaudi, comprende il primo e il secondo libro ed è prevista l’uscita del terzo prossimamente. In Giappone i tre libri sono stati pubblicati in un unico romanzo, tuttavia la struttura dei primi due permette di entrare nella storia e garantiscono un finale ugualmente intrigante, tuttavia l’interesse per la terza parte c’è e non si potrà fare a meno di leggerla.

Svanita è l’immagine

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Non c’è oscurità,

né alcuna breccia di luna,

tra le pareti oscene

di questo locale buio

C’è il nome di una donna

e il verso di una bestia.

C’è consapevolezza.

E inganno.

La vergogna è sopita,

tra cumuli di arroganza.

Svanita l’immagine

Tradita la speranza

Non c’è vento stasera.

E piove.

Il distacco delle cose

È il piacere assoluto

Senza poesie e prose

Che hanno un sapore strano

Legato alla notte.

Alla storia.

Come l’idiozia,

l’armare l’inquietudine

e Ferirla ancora,

nella brama di dormire.

Questo rumore mi uccide,

come questo parlarsi addosso

Ho bisogno di silenzio.

Vorrei fuggire e non posso

 

Chiamano il mio nome:

sono il prossimo.

C’è freddo stanotte.

Ho i brividi.

Traiettorie

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Ai lati degli occhi

Come sbavature leggere

E colori che si rincorrono

Essere, quando si perdono

Ingannarsi, quando si spera

E il vento si raccoglie

E coglie l’incanto del mare

Era il senso delle cose

Quando finisce di piovere

Novità e pericolose stelle

Che nulla han da perdere

Ai bordi del sole

Ci sono raggi sfuggenti

E donne sole piangono

Per le paure ricorrenti

Traiettorie che infrangono

Onde sul selciato del presente

L’inganno

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Futili come pensieri che aleggiano nella mente. Inevitabili, come il naufragio delle stelle. Sono i percorsi della vita, quelli che dimentichiamo al bar come un mazzo di chiavi qualunque. E spesso capita di pensare a come tutto sia così fragile, aleatorio. Quanti progetti facciamo, convinti che tutto sia eterno, che non ci sia una fine. Poi ti accorgi che una persona svanisce, e qualcosa dentro di te cambia. Ti rendi conto che non c’è sempre una seconda pagina del libro, non c’è sempre il finale che vorresti. Si vorrebbe imparare a vivere la vita, istante per istante, eppure navighiamo in mari e oceani di “vorrei”, “se”, “ma” e così perdiamo tempo. Tempo prezioso.  Rinviamo i momenti e nascondiamo quello che vorremmo dire. E’ come quando ti viene in mente una poesia, una canzone, ma non hai voglia di scriverla, così la dimentichi. La ignori. E lei svanisce, come svanisce una persona, così, in un attimo. Ci sono mali che non sappiamo combattere, questa è la verità. La nostra arroganza ci spinge a sentirci immortali, ma non lo siamo. Perché è di questo che parliamo, le parole poetiche ci aiutano a dire tante cose, ma così facendo le celiamo dietro a distese di spighe di grano. Ci inganniamo. E lo facciamo tutti i giorni, illusi dalle nostre parole, dai nostri sogni. Torno a scrivere quando sento un formicolio dentro, qualcosa che vuole uscire e resto in silenzio quando il groviglio di parole che riecheggiano nell’etere mi fa venire male alle orecchie e finisce per stordirmi. Ma anche nei silenzi ci sono delle verità e delle emozioni, perché tante volte si parla a sproposito, si urla e si dimentica di quello che è davvero importante: nessuno svanisce mai davvero. Ed è proprio quando tutto sembra cadere sotto i colpi inesorabili del tempo, quando la partita sembra impossibile da vincere, che bisogna attaccare. Ribaltare il risultato e nel farlo, godersi la partita, uscire dal campo tra gli applausi del pubblico. Anche se hai perso. E quella non sarà mai una sconfitta, sarà la vita.

Recensione romanzo “Agent 6” di Tom Rob Smith

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Il terzo capitolo della trilogia ideata da Tom Rob Smith “Agent 6” si differenzia molto dai due romanzi precedenti “Bambino 44”“Il Rapporto Segreto”. Il protagonista è ancora una volta Leo Deminov, personaggio complesso, articolato ed enigmatico. Tutto inizia con l’organizzazione del concerto della pace, organizzato a New York dalla moglie di Leo, Raisa, e al quale parteciperanno le due figlie Elena e Zoja. Complicazioni burocratiche impediranno a Leo di partecipare alla manifestazione. L’evento nasce per migliorare i rapporti tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica nel bel mezzo della guerra fredda, ma si trasforma in un intrigo internazionale, in cui spie e personaggi ambigui diventano la chiave dell’enigma contro il quale Leo dovrà confrontarsi: chi è Agent 6? Chi è colui che ha distrutto ciò che amava di più al mondo? Leo deve affrontare forse la peggiore delle sfide, ritrovare se stesso, salvare la sua famiglia e vendicarsi. Per farlo dovrà raggiungere gli Stati Uniti, cosa molto difficile per un ex agente del Kgb. Per farlo sarà disposto a fare ogni cosa, anche a ritornare a essere un agente del Kgb.

“Agent 6” è un romanzo introspettivo, che non rinunciare all’azione e alla sfida, il tutto costruito egregiamente, con un’ambientazione storica ben studiata e ricca di particolari. Il finale di questa storia chiude la trilogia nel miglior modo possibile, regalando l’emozione che ogni lettore cerca in un libro. La scrittura veloce e dinamica dell’autore si rivela azzeccata anche in questo nuovo lavoro, che a tratti risulta però più lenta, ma è lecito quando si deve affrontare una crisi interiore, che distrugge dentro il personaggio e ciò in cui crede. La bella moglie Raisa svolge un ruolo chiave nella trilogia di Leo Deminov, così come lo sono le due figlie Elena e Zoja, che mettono a nudo la vera anima del protagonista che, anche in questo caso, si rivela un eroe imperfetto e umano. Un libro da leggere, così come i primi due romanzi di Tom Rob Smith.

Ferite d’orgoglio

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Le vele gelate

pure immagini di una tormenta

vele svanite

veste di donna che s’addormenta

Le ossa incantate

gesta divine dimenticate nel vino

Istinto e rancore

Istinto è rancore mai dimenticato

Spaventarsi

Perdersi e rinsavirsi senza colpo ferire

Ferite l’orgoglio