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Recensione romanzo “La ragazza dello Sputnik” di Murakami Hakuri

I romanzi di Murakami riescono a essere mistici e misteriosi come pochi altri. E’ anche il caso de “La ragazza dello Sputnik”, in cui un ragazzo racconta la sua storia e con i suoi occhi si può vedere e innamorarsi di Sumire, una ragazza strana, amante di Kerouac, e che a sua volta si innamora perdutamente di una donna più grande, Miù. Anche questo è un personaggio particolare, sembra slegata dal sesso, come se una parte di lei fosse svanita in un’altra dimensione. Solo in quella dimensione Sumire e Miù potranno incontrarsi. Ci sono sapori e valori che si intrecciano in una storia particolare, che nasconde molto, e che molto permette di immaginare. E’ come se parallelamente si volgesse un’altra storia che il lettore può solo percepire o sbirciare dalle piccole serrature che l’autore lascia qua e là nel testo. Un libro che ipnotizza, che fa riflettere e che lascia con uno strano retrogusto in bocca. Personaggi che si amano, si cercano, ma che non si trovano. A volte sembrano fondersi, ma no. Non si incontrano. Ed è proprio questo il bello di questo romanzo. Poi ci sono le atmosfere rarefatte, e luminose, incantevoli e misteriose. C’è una cultura intera che traspare ed emerge da ogni parola. Da ogni frase. In poche parole c’è tutto un mondo in un solo libro. Anzi. Due mondi. Gli occhi dei personaggi sono intrisi di questa cultura particolare, profonda e intensa. E’ come immergersi in un labirinto e una forza spingesse a cercare questo altro mondo nascosto da qualche parte. Ci invoglia a trovarlo. Un romanzo da leggere tutto d’un fiato.

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