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Recensione dell’album “Il Profumo di un’Era” e intervista all’autrice Amelie

L’album “il profumo di un’era” della cantautrice Amelie é un lavoro importante, intenso e ricco di sensazioni. Un rincorresti di emozioni, tra brividi e riflessioni. Si ha questa impressione sin dal primo brano “Il nuovo mostro”, che racconta un viaggio in tonalità minore. L’oscurità della notizia oltre il nero dell’anima. La dinamica del mostro. Un viaggio nell’anima umana, nella sua parte più sporca. In “Messaggi” si parla di credere in un ritorno, nell’essenza di un pensiero. L’Atmosfera del brano é intima, una musica che avvolge, che trascina. Guardi nell’anima, guardare oltre l’anima. Il volto della luna, quello sconosciuto. “Il Profumo di un’era” é una ballata al limite tra cielo e terra. Tra anima e pensiero. La trasposizione della realtà, il viaggio nell’altra dimensione, traghettati dal ricordo, dal pensiero. Dall’emozione. L’Evocazione dei ricordi e il lascito degli insegnamenti di una madre. Amelie svela la sua anima tra le note sofferte di un pezzo sicuramente importante e che mette in luce una grande maturità artistica e personale. “Milano” racconta l’amore per una città, per le sue vie. Per sue sensazioni. Le due anime di un luogo, l’essenza dei passi nel centro di pensiero. Un Natale rarefatto, pensieri che si raccontano, un momento più in là, oltre quel pensiero che coglie all’improvviso. “Zero” é il ritorno un mondo oltre noi. La fatica di essere se stessi, oltre l’orizzonte. “Con naso all’insù” é una ballata intensa, che mette al centro la passione di un sogno. Tra realtà e illusione. La follia di crederci, nonostante tutto. “Mondobit” é un pezzo ritmato, che richiama sonorità tra anni ’80 e ’90. Una dinamica di modernità, la realtà virtuale distorta da sentimenti artificiali. Cosa saremo? Chi saremo? Luoghi distanti, senza farsi male. Senza guardarsi. Un sguardo nel futuro, per non dimenticare il passato. Chi siamo. “Ti ho ucciso con un click” sulla scena di una storia, guardare una storia d’amore, da un punto impassibile. Senza rimorsi, senza trasparenze. Ballata intensa e profonda. Un brivido, che non si può nascondere. Soave. “L’alieno delle 3” parla della diversità. La conoscenza sconosciuta. La violenza del giudizio, della libertà negata. Il peso dell’ingenuità. “Dicembre” é un giorno in cui nevica e c’è il sole. Il paradosso del sentire un mistero, della vita oltre lo specchio di ciò che sembriamo. “Un’altra vita”. Racconta di una storia finita. Girare pagina, costruire un’altra vita. Una nuova vita. L’addio che fa male, ma che è l’unica soluzione. Il ricordo che rimane lontano. Un altro nome. Un’altra età. Ricominciare a vivere. Perdersi, per ritrovarsi. Ancora. “Che cosa c’è” é un viaggio tra note sibilline, intendere, capire. Incontrarsi al margine di un attimo. Raccontarsi, reinventarsi. Cambiare. “Polaroid” é il brano che chiude l’album. Fermare un attimo, nella cornice di una polaroid. Non nascondere nulla, mostrare l’evidenza della realtà. Mettere in luce i difetti, farsi vedere per ciò che si è. Immortalare l’ideale di un amore, tradito dalla sua essenza. Ingannarsi, per difendere il senso. Il profumo di un’era é un album che lascia emergere la bravura di Amelie, dal l’impostazione tecnica vocale, all’intensità delle interpretazioni. Un disco completo, che raccoglie testi più leggeri e più profondi. Un viaggio nelle emozioni più diverse, con brani che emozionano e fanno sognare. Brava Amelie, bello il disco, sicuramente da ascoltare. Un’ottima compagnia.
Molto buono. È il bene più prezioso che ho fin da piccola. Ho imparato a coltivarla, a gestirla, ad amarla e ad indirizzarla su uno stile di canto (credo e spero) molto personale (così mi viene spesso detto sia da addetti ai lavori che da ascoltatori).Trovare il proprio stile di canto, al di la dello studio della tecnica, credo sia la cosa più importante. Una volta che ci riesci ti senti completo,riconoscibile, ed io, dopo molto impegno, studio, passione, in questo momento mi sento gratificata. Nonostante io insegni tecnica vocale, credo che la cosa più importante per chi usa la voce a livello artistico, sia sempre la personalità timbrica ed espressiva. Se sei riconoscibile hai una marcia in più, che si piaccia o meno (quello dipende sempre dal gusto personale di ognuno). È pieno di gente che canta bene ma che confonderesti con altri cento cantanti. Per cui ho sempre lavorato cercando di tirare fuori I lati che preferisco del mio timbro, adottando per esempio uno stile basato sull’”aria”, sul soffiato e sulla voce leggera, divertendomi a giocare (soprattutto in questo nuovo disco) anche con parti liriche (come in “Polaroid”) o parti “urlate” in belting (come “Milano”, “Zero”). Diciamo che, riassumendo, la tecnica ti mette a disposizione solo tutti I colori della tavolozza, e poi tu scegli quali usare. Ritengo importante però che sul pop italiano e ancora di più sulla musica d’autore non si debba sempre adottare un virtuosismo esagerato per mettere in primo piano la vocalità a scapito delle parole o della musica. Preferisco il virtuosismo messo a disposizione della propria qualità timbrica e dall’espressività che riesce a creare emozioni. Quando canti canzoni che scrivi è sempre importante trovare l’equilibrio e la perfetta formula tra voce, testo, musica, arrangiamento. La voce è uno strumento che ha il compito più difficile: quello di far parlare una canzone.
Ho posto alcune domande ad Amelie. Ecco le sue risposte.
Un disco sofferto, sicuramente. Cosa ti ha spinta a entrare nella mente dell’uomo per descriverne i lati oscuri e le sfumature delle emozioni?
Lo puoi dire forte. Ho trascorso due anni a fare una sorta di “ricerca” interiore attraverso suoni, sensazioni, emozioni, ricordi: il tutto attraverso un approccio molto serio di quello che è il puro concetto di “musica”, concentrandomi su una maggiore conoscenza della mia “spiritualità” (espressa attraverso la mia voce e le mie melodie). È stato come un viaggio di esplorazione bellissimo e anche doloroso; è come se durante questa avventura mi fossi resa conto di quanto essere “umani” possa portare ad avere un mondo eterogeneo e ricco di sfumature non sempre belle. Per questo mi son presa del tempo. Ho voluto raccogliere e raccontare questa varietà attraverso brani molto differenti tra loro che possano in qualche modo descrivere le varie sfumature. Ed ecco quindi pezzi con più lati oscuri, noir, quasi cinici, e pezzi più luminosi e solari, intimi e riflessivi.
Che rapporto hai con la tua voce?Nel brano “Il profumo di un’era” racconti una storia intensa e un rapporto che ti ha segnata. Quanto ti è costato scrivere questa canzone?
Il Profumo di un’Era è il brano del disco a cui sono più legata. L’ho sognato e ha preso vita subito al mio risveglio. Io ho composto la musica. Per l’arrangiamento ho lavorato in simbiosi con Giovanni Rosina mentre per il testo ho affidato il tutto a Fabio Papalini, mettendo solo qua e là qualche mia parola o frase (come per il lavoro svolto su tutto l’album). Fabio aveva appena vissuto la perdita di sua madre e quando mi ha inviato il provino del testo è riuscito a commuovermi fino a farmi piangere: questo è quello che cerco nella musica: emozioni. La sua storia è raccontata in modo talmente universale e allo stesso tempo intimo che alla fine credo porti ognuno ad immedesimarsi in questo dolore. Io personalmente ho associato il testo alla perdita di mia nonna, una specie di seconda mamma (nel video infatti utilizzo delle sue foto risalenti ai primi del Novecento). Il messaggio del “Profumo di un’Era” credo riesca a trasmettere un messaggio facilmente condivisibile: le persone che ci trasmettono valori intramontabili ci lasciano un “Profumo” che non puoi dimenticare nonostante la loro assenza materiale e nonostante il tempo fisico scorra velocemente.
In questo disco ti sei molto raccontata e guardata dentro, come ti sentissi nuova. Cosa è cambiato in te? Come descriveresti questa nuova Amelie?
Sicuramente più forte, meno fragile, più concreta e più determinata. Mi sento più matura anche se alla mia età questo termine fa anche un pò ridere (sarebbe più opportuno utilizzare il termine “pensionata” ) :D. Ma c’è stata davvero una crescita e un cambiamento. Nel primo album per esempio mi ero limitata a scrivere solo 2 pezzi e rivestivo molto di più il ruolo di pura interprete. In questo disco invece sono tornata ad essere musicista al 100%. 10 canzoni su 13 sono mie, sono nate proprio da mie composizioni al pianoforte; alcune pre produzioni sono state fatte da me in prima persona. Ho lavorato tantissimo al lavoro di arrangiamento in simbiosi con Il mio insostituibile produttore Giovanni Rosina e conosco a memoria ogni suono usato in produzione. Sul brano “Che cosa c’è” per esempio, oltre ad aver composto la musica, ho voluto fare io interamente l’arrangiamento (ho imparato a usare abbastanza anche Logic ed è stata la fine…ci sto attaccata fino alle 5 del mattino). Per quanto riguarda i testi invece ho collaborato (come ti dicevo prima) con l’autore toscano Fabio Papalini: c’è stata anche con lui molta condivisione; ci confrontavamo sulle frasi, sulle parole da utilizzare o su qualche cambio armonico che potesse sottolinerare parole forti… abbiamo trascorso insieme intere nottate e giornate a parlare per esempio delle tematiche affrontate. Mi sono molto divertita in questi due anni, nonostante fare ricerca interiore comporti anche momenti dolorosi e non sempre facili. Ma la parte creativa è sempre quella che preferisco.
Sei molto presente sui social e ci sono diversi riferimenti in alcuni tuoi brani, racconti anche un po’ la solitudine di questi luoghi e si percepisce la nostalgia di una realtà meno virtuale. Qual è il tuo rapporto con la realtà “virtuale”?
Ultimamente il mio rapporto è cambiato molto. Aggiorno sempre tutto da un punto di vista professionale, mettendo sempre meno invece contenuti privati. Generalmente ho notato che negli ultimi anni c’è stato un cambiamento radicale del web. Nell’ultimo periodo c’è davvero troppa roba ed è difficile emergere in mezzo alle tonnellate di informazioni (soprattutto visive) che affollano i social. Oggi le “cose leggere” o basate su una semplice immagine inevitabilmente attirano maggiore attenzione, richiedono meno tempo e sono più immediate. Pertanto diffondere musica o progetti in cui c’è bisogno di un interesse meno “immediato” che richieda più tempo per un ascolto o una lettura (di una recensione per esempio) è una cosa che viene fatta davvero dalla minoranza….si sa che ormai I social sono luoghi sospesi in cui se condividi un selfie vieni sommerso di like e commenti, se condividi un articolo o un brano musicale, hai sicuramente meno gente che si mette li ad ascoltare con reale interesse lasciandoti un commento contestualizzato. Credo sia importante anche imparare a riconoscere coloro che ti seguono in modo fedele perchè davvero appassionati a ciò che proponi artisticamente, da chi invece commenta solo all’inizio per apparire e farsi notare o per pretendere magari qualcosa che vada oltre la semplice conoscenza virtuale o sostegno professionale. Con questo non voglio però gettare solo critiche sul web. A me in molte occasioni ha aiutato molto e ho conosciuto persone con le quali ho imparato anche a costruire bei rapporti di stima. Diciamo che generalmente la superficialità penso domini non solo nella vita reale, ma ancora di più sui social e su web, perchè di gente che perde un pò più di tempo ad ampliare veramente la “conoscenza” di qualcosa sui social ce n’è davvero poca e ahimè forse la musica di nicchia fatica ad emergere come al solito, a meno che non si nasca geni del marketing web….ma spesso chi ha animo artistico, si sa, con il marketing va poco d’accordo. Comunque come sai nel nuovo disco ci sono pezzi che parlano proprio di questa superficialità da web: in “Ti ho ucciso con un click”, dico proprio “Sei un cuore virtuale mi fai stare male, ti ho ucciso con un click”. Ormai il click è diventato anche una sorta di Crick.
Nel brano “Polaroid” emergono sfumature amare nei riguardi dei sentimenti, come a voler fermare un attimo passato, perché non possa sporcarsi. L’amore, oggi, è ancora quello che raccontavano i cantautori di una volta, o è qualcosa che si è già “sporcato”?
L’amore è qualcosa di grandioso che è stato esplorato dai più grandi cantautori in modo sublime da De Andrè a Tenco, da Endrigo a De Gregori, Battiato (che stra adoro). In Polaroid viene messo al centro un amore specifico: l’amore per la verità. Polaroid è proprio una sorta di inno alla verità. L’amore per la verità, certe volte fa male. E’ deleterio. Ci espone a consapevolezze di ogni tipo. Ed è inutile tentare di non vedere le proprie e altrui verità perché “tanto stanno sempre là”. Ma se si è abituati a farlo, o si vorrà navigare “a vista e non di schiena”, non se ne potrà fare a meno. Inizierà in quel caso un’ Era della nostre vite costellata di rivelazioni bellissime o forse di delusioni, rovine e catastrofi di dimensioni cosmiche, per noi. Ma siccome amiamo la cifra dell’ironia in ogni caso, a maggior ragione in questo frangente farà la differenza prendere tutto con savoir faire mantenendo sempre un certo “stile”. Per cui anche l’amore inteso come sentimento potrà rivelare un aspetto meraviglioso oppure solo “pornografia” (come si dice nel testo). Polaroid è uno dei 3 brani del disco che non ho scritto io in prima persona (zulian/papalini) ma come gli altri due unici pezzi non scritti da me (Messaggi e Mondobit), è nato esclusivamente per la sottoscritta e credo si senta. Zulian e Papalini lo hanno composto dicendomi subito “lo abbiamo scritto per te”. E appena l’ho sentito ho capito. Come Messaggi e Mondobit si inserisce perfettamente nel mio modo di concepire la musica e sembra davvero una mia composizione. Naturalmente insieme al Rosina ho lavorato poi all’arrangiamento per stravolgerlo e farlo ancora più “mio”. Ogni volta che ascolto il finale con quella coda strumentale con la parte lirica mi emoziono. E’ il giusto finale di quello che ho vissuto in questi due anni. Sono una sostenitrice (anche un po’ idealista) del concetto di verità, sempre. Nel bene e nel male. Per questo ho voluto concludere il tutto dicendo: “Scattiamo due polaroid del finale, con stile diciamoci così sia”.
Come descriveresti il tuo album in un twit?
Un’avventura musicale “col naso al’insù” tra “nuovi mostri”, “alieni delle 3”, “messaggi” e “click” per arrivare a scattare una “Polaroid” di “Un’altra vita” che parta da “Zero”. Tutto per assaporare il Profumo di un’Era, la nostra.
Ringrazio Amelie per la collaborazione, la professionalità e soprattutto per la simpatia.

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