Nuovo estratto da #LaMacchinadelSilenzio

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Vienna

Davide si guardò intorno, poi lanciò uno sguardo privo di stupore alla facciata del palazzo della Secessione. La cupola d’oro era opera di Gustav Klimt; tutto il resto gli sembrava semplice e spartano. Salì i gradini che portavano verso l’ingresso dell’edificio per poter osservare la zona da un punto di vista differente. L’orario stabilito era passato da ben due minuti, ma nessuno lo aveva avvicinato. Attorno a lui c’erano soltanto turisti intenti a guardare improbabili planimetrie di quel palazzo. Per un attimo gli era parso di scorgere lo sguardo di un uomo in lontananza, oltre la strada. Cercò di mettere a fuoco l’immagine, ma la sua attenzione fu catturata dagli alberelli che troneggiavano accanto alla scalinata. Proprio in uno dei due enormi vasi ornamentali vide qualcosa. Si avvicinò ostentando disinvoltura e la raccolse. Era una semplice busta gialla senza alcuna scritta. Si guardò intorno ancora una volta e l’aprì. Ma all’interno c’era una fotografia. In quel momento sentì una forte fitta alla testa. Un dolore lancinante che negli ultimi anni non aveva fatto altro che aumentare d’intensità. Un’immagine si materializzò nella sua mente: un volto biancastro che spuntava da una superficie oscura. Si accasciò portandosi le mani alla testa, preda di una fitta più forte.

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Il battesimo del buio, prequel de #LaMacchinadelSilenzio 

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La stanza era disadorna, illuminata da un candeliere. Qualcuno lo spingeva verso un tavolo coperto da un telo bianco. Un altare. Davide era al porto e guardava il mare. Poco lontano c’era un gruppo di ragazzi tra i quali riusciva a scorgere Irina. In quel momento notò un ragazzo avvicinarsi a lei e sfiorarle le natiche. Lei si ritrasse. Davide si avvicinò e iniziò a fissare negli occhi il ragazzo. Era davanti all’altare. Percepiva attorno a sé rumori, voci, urla. Qualcuno gli stava scagliando sul viso dell’acqua. Hai osato sfidarmi, poppante? Il viso di Davide era a un millimetro da quello del ragazzo. Con la coda dell’occhio vide Irina indietreggiare. «Portatemela qui» ordinò il ragazzo. Davide era bloccato da scagnozzi. Vide altri due compari trascinare Irina e iniziare a spogliarla. «Troppo facile» disse una voce ruvida, con un forte accento del sud. Davide riconobbe il vecchio. «Voglio vedere un confronto ad armi pari». Davide prese al volo un oggetto che il vecchio gli aveva lanciato. Una chiave. «Questo poppante non sa guidare, Maestro». «E allora di cosa ti preoccupi, Jarkov?» replicò il vecchio. Davide guardò lo scafo usato nel contrabbando di sigarette e realizzò che Jarkov era contrabbandiere. Il Maestro spiegò le regole, ovvero che non c’erano regole. Chi riusciva a far ribaltare l’altro scafo vinceva. Davide salì a bordo dello scafo e fece mente locale sui rudimenti di navigazione. Jarkov aveva posizionato lo scafo in mare aperto, oltre la scogliera. Davide accese il motore. Dall’oblò riusciva a vedere Irina, attorniata da altre ragazze. Tra di loro notò uno sguardo. Due occhi neri. Il monaco recitava in una lingua incomprensibile. Gli porsero una spada. La alzò e la vide scagliarsi contro di lui. Trasalì. Senza rendersene conto era riuscito a muovere la bestia del mare verso il mare aperto. Lo scafo guidato da Jarkov iniziò a girargli intorno disegnando traiettorie perfette e sollevando onde. Davide aveva conosciuto il vecchio per caso nelle campagne e gli aveva mostrato l’interno di una grotta. Manovrò l’imbarcazione strattonando in direzione dell’altro natante e poi accelerò. La virata deve essere come la pennellata di un pittore, aveva detto il Maestro. Mosse la leva a sinistra e lo scafo rispose docilmente passando a pochi millimetri da quello di Jarkov facendolo ondeggiare. Vide la prua del natante del suo rivale puntare verso di lui. Cercava l’impatto. Virò sulla destra per schivarlo e si ritrovò di fronte la scogliera che si avvicinava nell’insenatura. Era in trappola. Accelerò e puntò verso la scogliera. La spada si era appoggiata sulla sua testa. Il monaco gli aveva chiesto di sputare e giurare sulla croce a otto punte. Indossava una tunica che gli dava fastidio, così come il cappuccio da cui spuntavano soltanto gli occhi. È solo un bambino, aveva detto qualcuno alle sue spalle. Soltanto pochi metri lo dividevano dalla scogliera. Virò sulla sinistra e accelerò ancora. Percepiva la vicinanza del fondo dello scafo agli scogli. Sentì un rumore metallico. Imprecò. Un altro stridio lacerante. Si aspettava di vedere lo scafo imbarcare acqua. Mantenne la traiettoria parallela alla scogliera. Virò improvvisamente. Un rumore sordo. Poi si riportò verso il largo. Non sentiva più il rombo alle sue spalle. Puntò la prua verso la scogliera e vide lo scafo di Jarkov semi ribaltato e incastrato sulla sabbia della secca e con la parte destra completamente distrutta. Si guardò le mani. Tremavano. Il Maestro sorrise, soddisfatto. Nella grotta il Maestro gli aveva mostrato le carte nautiche. Il bordo della scogliera era a filo del punto con maggiore profondità, poi c’era una secca. Fra il pubblico assiepato sul molo una ragazza con gli occhi neri non riusciva a trattenere il battito del suo cuore. Quella ragazza si chiamava Adriana.

Spinoff de #lequazione e Prequel de #LaMacchinadelSilenzio 



Second Life – Lo spinoff de #LaMacchinadelSilenzio

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Torino

«L’alluvione ha trascinato via tutto. È rimasto solo questo» esclamò l’addetto mandato dall’università mentre mostrava un locale angusto, con le pareti in calcestruzzo e i mattoni marci.
La ragazza iniziò a passeggiare in quell’ambiente dimenticato da dio, posando lo sguardo qua e là sul fango secco che sembrava aver pietrificato ogni cosa. Raggiunse l’ultima stanza del bunker. Posò la mano su un’insegna semicoperta dal fango e dalla polvere e la mosse per rimuovere parte del detrito.

Termine centrale Idro2 – Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario – Monte dei Cappuccini

«Là in fondo abbiamo accatastato i pochi materiali che sono stati ritrovati» asserì l’addetto indicando un cumulo di immondizia infangata.
La ragazza raggiunse le macerie e osservò i vari oggetti. «Vorrei portare via quello» esclamò puntando il dito su una scatola grigia.
«Guardi, credo si tratti solo di un vecchio hard disk. Sarà ormai rovinato e non più utilizzabile».
«Non si preoccupi. Devo firmare qualcosa?».
«Sì. Questo documento» rispose porgendole un foglio. «Lei è?».
«Dottoressa Simona De Carli».

Luogo imprecisato

La donna aveva acceso il computer nella sua stanza e aveva il forte desiderio di riaprire l’applicazione a cui era stata molto affezionata. Mancavano ancora pochi minuti prima che la sveglia tornasse a suonare ricordandole che doveva correre al lavoro. Ma voleva riportare in vita il suo vecchio avatar. Sul monitor vide ricomparire gli scenari che tanto aveva amato quando quel programma era sulla cresta dell’onda e che sembrava potesse e dovesse sostituire la vita reale: Second Life.
Lasciò che il suo avatar camminasse per le vie deserte di una città immaginaria. Un tempo quei luoghi erano popolati da altri avatar, ognuno dei quali esprimeva i desideri e le aspettative dei diversi utenti collegati da tutto il mondo. Aveva riaperto il programma per caso, voleva capire se funzionasse ancora.
Vide muoversi qualcosa in fondo alla via. Pensò che forse qualcuno potesse esserci ancora. Digitò alcuni codici sulla tastiera e il suo avatar iniziò a correre in direzione del punto in cui aveva percepito il movimento. Come in tutti i programmi di quel genere, l’avatar aveva bisogno di essere alimentato perché potesse vivere e restava un’autonomia limitata prima che perdesse i sensi. La donna non se ne preoccupò. Vide ciò che l’avatar aveva di fronte e urlò. Istintivamente. Davanti a lei c’era un uomo riverso in terra, con la fronte coperta di sangue. Avvertì dei rumori alle spalle. Fece voltare l’avatar. E rimase senza parole quando il fendente la colpì al petto. Di scatto si allontanò dalla tastiera, portandosi le mani sul cuore. Vide l’avatar cadere al suolo e mostrare solo il cielo posticcio e il viso dell’uomo che l’aveva accoltellata per pochi istanti, prima che l’autonomia terminasse del tutto. Portò la mano verso il pulsante di spegnimento del computer, ma iniziava a vedere sfocato. Non riusciva a togliere la mano che era rimasta posizionata sul cuore. Iniziò a sentire che tra le dita c’era qualcosa di umido. La camera era in penombra, non riusciva a vedere bene, la luce rossastra proveniente dal monitor non le permise di capire subito che quello che aveva tra le dita era sangue.
Iniziò a respirare sempre più affannosamente, mentre il cuore sembrava sul punto di scoppiare da un momento all’altro. Il sangue iniziò a sgorgare e quei pochi istanti le sembrarono lunghissimi. E proprio nell’istante in cui moriva, fu sicura di aver visto un’ombra materializzarsi in casa sua. Ma non aveva più le forze per parlare. Tutto diventò buio. E riuscì solo a percepire il suono di una risata.

pubblicato su: http://www.lesflaneursedizioni.it/blog/daniele-mosca

Perché ho scelto di scrivere un romanzo come #LaMacchinadelSilenzio?

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Perché ho scelto di scrivere un romanzo come #LaMacchinadelSilenzio?
Volevo creare qualcosa che trasformasse scienza e storia in spettacolo. In un romanzo privo di tutte quelle chiacchiere, utili solo a riempire più pagine possibili. E siccome non credo che i libri siano quantificabili “un tanto al chilo”, ho deciso di usare il linguaggio che preferisco: secco. Diretto. Essenziale.

Hai scelto di scrivere un libro in un mercato ormai saturo. Perché?

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Hai scelto di scrivere un libro in un mercato ormai saturo. Perché?

Io credo che tutti abbiano il diritto di scrivere, di esprimere i propri pensieri. É il bello della libertà. Credo sia una cosa ben diversa pubblicare un libro. In un mondo stracolmo di libri, io me lo chiedo sempre perché i lettori dovrebbero scegliere di leggere proprio me. E io questa risposta proprio non ce l’ho. É pieno di scrittori che si dichiarano i migliori, di editori che affermano di non avere rivali. Lo sapete, io provengo dalle esperienze dei primi blog, delle canzoni costruite pianoforte e voce, questo perché a me emoziona emozionare chi sceglie ascoltarmi. Chi mi da fiducia, insomma. Credo di aver scelto di scrivere un libro proprio oggi perché ho ancora fiducia nei lettori. Nella loro capacità di sentire, nel senso più profondo di questa parola. Di non lasciarsi fottere da chi urla più forte, da chi pretende di vendere carta straccia. Io, così come l’editore che ha scommesso su di me, ho scelto la strada più difficile. Quella che corre lontano dai riflettori pagati a peso d’oro, dalle élite di associazioni di scrittori che si acclamano tra loro. Io credo nei lettori, che poi spero siano come quelli che mi hanno ascoltato quando timidamente cantavo le mie canzoni da un palco, o che leggevano i miei post intimi e segreti. Certo, questo nuovo romanzo è qualcosa di diverso, ma posso assicurare che racchiude molto di me. Seppur descritto con parole diverse. Ho scelto di scrivere provando a creare qualcosa di nuovo: un libro come quelli di una volta.

Perchè Klimt?

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Perché Klimt?

Gustav Klimt è stato un artista controverso che ha vissuto in un momento storico complesso. Molto amato anche da Hitler, per intenderci. Mi affascinava il modo in cui gli artisti come Klimt sono riusciti in pieno nazismo a comunicare i loro pensieri. E mentre fuori i libri venivano bruciati, i dipinti hanno superato intere epoche. Questo per un solo motivo: molti apprezzano quei lavori, pochi erano in grado di capirli. Un vero e proprio codice nel codice. E poi, Klimt è stato il presidente di un’organizzazione della Secessione Viennese, un mondo artistico, misterioso, carico di simbolismi, parallelo a quello canonico dell’Accademia. Insomma, un uomo controverso sia da un punto di vista artistico che personale. Le sue opere non sono solo bellissime, ma sono dei veri e propri contenitori di sensazioni e atmosfere di quel momento storico, del quale conosciamo sicuramente solo una piccola, piccola, parte.

La Macchina del Silenzio: il racconto di un mondo che è stato alterato

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La #MacchinadelSilenzio è un romanzo che racconta un mondo che sembra alterato, come è nata l’idea?

Come molti sanno, questo romanzo nasce dalla necessità di completare la storia nata con L’Equazione. Il mondo alterato non è niente più di quello in cui viviamo. Le paure, le guerre. I compromessi. I personaggi sono spesso complessi e contorti come lo siamo tutti noi nelle diverse fasi della vita. La scienza, la storia e soprattutto la religione sono stati per secoli veicoli utilizzati dall’uomo per strumentalizzati a seconda delle necessità di quel particolare momento. E quindi, chi può dirci che osservando la vita del nostro pianeta non esista un disegno all’interno del quale noi non siamo altro che un qualcosa di necessario, solo in questo momento della vita del nostro pianeta? L’uomo ha imparato molto, tuttavia conosce solo una parte infinitesimale della realtà che lo circonda. E questo è un dato. La cosiddetta verità é un luogo ancora molto lontano da noi. É questo il tema.

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La narrazione serrata de #LaMacchinadelSilenzio

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Nel tuo romanzo la narrazione è serrata, i luoghi e le scene si rincorrono a una velocità sfrenata. I personaggi sembrano anch’essi vittime di questo vortice. Cosa ti ha spinto a questa scelta narrativa?

Lo stile narrativo è sempre una scelta. Questa è una storia moderna, che vuole e che deve affacciarsi al futuro. E il mondo in cui viviamo e in cui ragionevolmente vivranno i nostri figli sarà sempre più maledettamente veloce. Nel raccontare uno scenario simile è inevitabile fare affidamento a una narrazione che metta in scena l’ansia che abbiamo, quasi di voler combattere il tempo. Governarlo, prima che sia troppo tardi. Lo schema narrativo è quello cinematografico, in particolar modo utilizzato nelle fiction d’azione di nuova generazione, per citarne qualcuna: #Personofinterest, #Blindspot, #TheBlacklist e potrei andare avanti per ore. Ho cercato di unire le tecniche comunicative della rete con la narrativa. Due mondi che sembrano lontani, ma che non lo sono affatto.

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