Recensione “Fuori dal Comune” di Davide Geddo
L’album “Lo specchio” di Francesca Romana contiene pezzi pop melodici, alcuni dei quali particolarmente raffinati. Lo si denota sin dalla prima canzone “Il tuo nome e il veleno” in cui alcuni tratti del testo spiccano per originalità mentre altri si rifanno a una cultura melodica italiana più classica. “Giovanna la pazza” è particolarmente orecchiabile e in alcuni tratti avrebbe bisogno di maggior incisività per renderlo di qualità ancora superiore. “Canzone blu” è anch’essa molto appetibile all’orecchio. “Io e Biancaneve” è originale nella sua composizione e nella fusione tra un testo complesso all’apparenza e la melodia molto ariosa. “L’estranea” è una ballata lenta con una vocazione intimista e sussurrata, mentre “Il poeta”, pur essendo anch’essa una ballata, possiede un’architettura più raffinata del testo e dell’interpretazione. “Storia clandestina” sembra una favola raccontata nelle sere d’estate quando il sole è tramontato da poco. Ne “Il lago” si sente l’eco dell’influenza di Carmen Consoli con una struggente passionalità regalata all’ascoltatore. “Mad Maria” invece è particolare e affronta una tematica difficile e ricca di ostacoli, forse spingendosi ancora oltre colpirebbe in maniera più forte e decisa. Francesca Romana ha delle indubbie qualità canore e una grande capacità di intrecciare le parole per creare atmosfere avvolgenti. Con ancora più spregiudicatezza nei testi potrebbe creare testi in grado di fare ancor di più la differenza. Quello che si può dire dell’album “Lo Specchio” è che contiene molte canzoni interessanti, alcune molto orecchiabili, altre con un tono più poetico e altre con una struttura melodia e voce intrigante e che lo rende attraente. C’è molta sostanza e tecnica in questo disco e speriamo di riascoltare Francesca con altre canzoni.
Come spieghi questa maledetta nostalgia? Forse siamo animali alla ricerca di un istinto, di un’anima, anche quando siamo sicure di possederne una. E quando nella notte ci svegliamo sudati e impauriti ci soffermiamo a pensare che è dura restare in piedi e spesso lo è ancora di più quando sei in attesa che il vento cambi. Mi chiedo spesso come fanno le persone che si adeguano a tutto, che sanno, o che almeno dicono di sapere come funziona. C’è gente pronta a commentare, a giudicare, a dire la propria, fino a ferire con la consapevolezza di una saggezza maturata nel tempo. Adeguarsi a sopravvivere è un’arte. Dicono. Io credo nei sogni, questa è la verità. Credo che si debba combattere finchè c’è respiro, aria, voglia di andare avanti, anche a costo di rischiare figuracce, di essere fischiati, giudicato. C’è una notte ancora da superare. L’ennesima. C’è ancora tanta voglia di urlare, anche contro queste serpi pronte ad avvelenarti.
il calice pieno di incanto
brindavi alla notte morente
degli occhi non ti fai vanto
urlando alla luna crescente
mi invadi l’anima
col fare inquieto di chi sogna
mi chiudi gli occhi
con baci di cui ho bisogno
e poi torni a volare
con le ali libere ancora
e mi vuoi parlare
di quel che è stato fin’ora
nell’attesa del mare
colgo il senso dei discorsi
mi fermo poi a pensare
ai miei tempi trascorsi
tra nubi di fumo bianco
e perle di vino invecchiato
quando mi sentivo stanco
di non aver realizzato
che il calice è lì
pronto per essere bevuto
come d’incanto.
Un giorno al Salone del libro di Torino è come immergersi in un mondo parallelo, in cui le parole sono protagoniste e in cui il mondo stesso si nasconde. C’è un qualcosa di magico nel vedere quanta gente abbia qualcosa da dire, da raccontare, da spiegare. C’è qualcosa di davvero importante in questo tripudio di parole. Eppure qualcosa stride, stona, infastidisce. Molte conferenze sono messe in scena per pubblicizzare artisti da televisione che tante volte non hanno peso letterario ma mediatico. Mi chiedo se questo sia corretto nei confronti di autori che sputano sangue per mettere nero su bianco le loro storie. C’è un qualcosa di ingiusto nel vedere messe in secondo piano le piccole produzioni rispetto ai grandi colossi della letteratura e della comunicazione in genere. Ho ascoltato alcune considerazioni di Mauro Corona e questo mi ha fatto riflettere, forse ha ragione quando dice che le sale più importanti sono occupate da divi dello spettacolo e che questo denota una parabola discendente degli scrittori veri. Potrebbe anche essere letta come provocazione, certo, ma la verità è che questa sensazione l’ho avuta anche io girando per gli stand del salone. Una novità che ho molto apprezzato è stata la presenza di stand musicali come quelli di Scavino e Merula e della piccola sala concerti nella quale ho potuto ascoltare Andrea Mirò. Eccelsa. Dal punto di vista dei visitatori ho avuto la sensazione che ci fosse meno gente (dato riferito a sabato pomeriggio) ma è possibile dipenda dalla maggior distribuzione della gente tenuto conto dell’utilizzo dell’Oval del Lingotto oltre ai 3 classici padiglioni. In generale si tratta di una manifestazione importante per Torino e per l’editoria in generale. Molte le novità letterarie presentate, dal Fantasy alla narrativa di viaggio, tante le presentazioni e le conferenze a dimostrare fermento e voglia di scrivere e leggere.
Silenzio. Questo è stato ciò che pensato durante la manifestazione generale indetta dalla Cgil a favore del lavoro e contro l’operato del governo che ho seguito a Torino. Forse è accaduto per la concomitanza del raduno degli Alpini, ma ricordo le manifestazioni del ’94 ed erano qualcosa diverso, c’era rabbia, voglia di urlare, di dimostrare. E invece oggi è tutto diverso, regna la rassegnazione e la consapevolezza che infondo nulla si possa davvero cambiare. Troppa politica in queste manifestazioni, troppe correnti politiche che spingono per tornare ai vertici. Ma sarebbe poi la cosa giusta? La verità è che chi vuole manifestare è consapevole che non servirà e tanto vale per rendere inutile farlo. L’azione del governo ha fatto in modo di separare i tre grandi sindacati italiani, creando rapporti più diretti con le imprese che possono in tal modo fare quello che ritengono più opportuno. La Cgil non è stata d’accordo con questa metodologia, bene, forse. Un solo sindacato non può combattere un regime come quello presente in italia. Lo sciopero è partecipazione, creazione di disfunzioni. Lo sciopero è fermare il paese. Ma l’amara verità è che ieri non si è fermato nulla, anzi, tutto è scivolato via come sempre. Nulla è cambiato. Nulla cambierà. La scuola, il lavoro e tutto il resto sono qualcosa che non sappiamo difendere. Un lavoratore ricattabile è impotente, solo di fronte alla propria sofferenza e alla morte dei proprio sogni. Questo non è vivere, è sopravvivere. L’azione di governo vuole questo, ma non solo di questo governo ma della politica intera, di una classe politica intenta ai propri interessi e alla propria volontà di “arrivare”. Noi tutti siamo soltanto voti utili quando serve, rompiballe negli altri momenti. Il silenzio della manifestazione mi ha fatto male dentro. Davvero. C’è bisogno di rialzarsi, di credere che sia possibile tornare a vivere davvero. Per farlo bisogna tornare a urlare contro l’arroganza, la presunzione e la demagogia. Ieri non ho sentito tutto questo, ho sentito solo rassegnazione silenziosa.
Pubblicato su causaedeffetto.it
Senza il peso delle immagini
delle parole sussurrate al tempo
dell’implodere dei sensi contrapposti
giunge il senso delle notti oscure
Come gioia uccisa sul nascere
sul gioco eterno del bene contro il male
nell’ottuso incedere del bene contro se stesso
crudo come l’odore di carne bruciata
la ferita malata che perde sangue
la faglia che nasconde il gioco perverso
e tutti i giochi che tali non sono ancora
e i brividi ora si lasciano cadere
come ombre