Recensione “Benvenuti nel mio regno” di Regina

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L’hip Hop al femminile è una missione difficile. R.e.g.i.n.a. propone una musicalità interessante e canzoni costruite per regalare contenuti. C’è infatti in molte canzoni uno scopo sociale e di denuncia, ma senza rabbia eccessiva. Lo si sente già dal primo pezzo “Ape operaia” che ha un testo amaro, che mette in risalto la desolazione di una società moderna, a volte allo sbando. “Tu di me non sai” è un pezzo orecchiabile che racconta la vita e la musica dell’autrice, mentre in “E’ guerra” si può guardare un’istantanea che mostra una gioventù persa, una musica che racconta un mondo sconosciuto, politica messa in piazza nei suoi luoghi e lati oscuri spiattellati senza timore. ”Vaticano Spa” è una canzone denuncia che viaggia su una bella base. Soldi e religione, un intrigo raccontato con parole crude. “Regina” parla di una femminilità messa al servizio della musica, in particolare dell’hip hop. Tra parole forti e volontà di riuscire, R.e.g.i.n.a. racconta la sua realtà. “E’ tutto passato” è un pezzo le cui parole raccontano di una vita tra studio e musica alla ricerca di un’identità. E dopo tanti pezzi tutto sommato duri, ecco una canzone d’amore: “Un giorno che nasce”. “Una vita di club e feste” è un ritratto psichedelico, un viaggio nell’ipocrisia del momento. ”Il Mondo ragiona con Caxxo” è invece un grido di indignazione per una  laurea che non serve e un sedere che porta più risultati nella società moderna. “La mosca” parla di un viaggio tra Martini e rapporti sociali disordinati, persi nella musica ad alto volume. L’idea di base dell’album è buona, bisogna ancora lavorare sulla musicalità, per diversificare di più i pezzi. Le basi sono costruite bene, quindi migliorando i ritornelli sarebbe già possibile fare un ulteriore passo in avanti. I contenuti ci sono e la voglia di andare avanti pure. Restiamo quindi in attesa dei prossimi lavori di questa rapper al femminile.

Recensione romanzo “Promettimi che sarai libero” di Jorge Molist

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Il romanzo di Jorge Molist racconta la storia John Serra. Il protagonista è appena un ragazzino quando una galea di corsari approda sulla spiaggia del piccolo villaggio di pescatori in cui vive con i suoi genitori e i suoi fratelli. In quell’agguato John perde la sua famiglia, il suo amato padre Ramon, mentre la madre Eulalia e la sorella Maria vengono rapite dai “mori”. John e il fratello più piccolo Gabriel riescono a salvarsi, ma sono costretti a trasferirsi in una Barcellona del quattrocento, ormai in decadenza. Grazie al mercante  Bartomeu Sastre vengono accolti nel convento di San’Anna. Il protagonista ha promesso al padre di essere libero, e trova nei libri la sua passione. Poi incontra Anna e se ne innamora perdutamente. Lotterà per la libertà e l’amore in una dura battaglia con se stesso e la sua voglia di vendetta. Lo stile dell’autore è coinvolgente e molto veloce. La storia è ricca di personaggi interessanti, molto curata anche dal punto di vista storico. Un romanzo che scorre via veloce e che si inerpica con colpi di scena improvvisi e personaggi a volte troppo “provvidenziali”, fino a giungere a un finale che certamente coglie di sorpresa e che fa riflettere. Il viaggio di un eroe, certo, ma che dà l’impressione di rimanere alla fine in bilico. Questo non va assolutamente a ledere la bontà dello scritto e la potenza del romanzo che mantiene in tutto il suo svolgimento una suspance degna di un thriller. Sentiremo ancora parlare di questo autore in futuro, che in Spagna ha già venduto molte copie, di questo romanzo e dei precedenti.

A volte ritornano

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A volte ritornano. E a volte sarebbe meglio non ritornassero. Silvio Berlusconi ha annunciato il suo “ritorno in campo”, sostenuto, dice lui, dagli industriali. Forse ritiene che i suoi elettori abbiano la memoria corta quando omette che la stessa Confindustria aveva smesso da tempo di appoggiarlo, a causa delle scelte politica discutibili e che non hanno mai favorito davvero l’attività imprenditoriale. Forse non ricorda che l’Europa ha smesso da tempo di appoggiare la sua attività politica, le bravate, le bugie raccontate come solo uno studente che non ha studiato può fare con il professore che lo vuole interrogare. E’ vero, non dovrebbe esistere alcun rapporto di sudditanza dell’Italia nei confronti della Germania, ma nemmeno un atteggiamento pressappochista, che nasconde l’immondizia sotto i tappeti. E’ ancora, e quando mai come adesso, necessaria la serietà. Contestabile o meno l’attività dell’attuale governo è servita per aumentare il peso politico dell’Italia in Europa, e certamente la crisi non è ancora alle spalle. Non può servire, ma può invece risultare dannosissimo, annunciare tagli delle tasse quando obbiettivamente è impossibile farne. Sarebbe invece auspicabile intervenire nella gestione delle entrate, applicando reali tagli alla spesa pubblica senza eliminare o peggiorare i servizi, già spesso carenti. Le frottole raccontate negli anni hanno portato gli italiani allo sconforto, alla paura del domani, alla fine delle speranze di un futuro migliore. Non è solo colpa di Berlusconi, ma a lui va la colpa di averla illusa e non glielo si può perdonare. Ormai conosciamo la sua politica e conosciamo il suo modo di vivere poco rassicurante e, soprattutto, il suo egoismo e l’attenzione maniacale per i propri interessi. Ed è il momento di smetterla, o, perlomeno, di non ricominciare. L’idea di Berlusconi di inserire il presidenzialismo è chiaramente solo una manovra per estromettere parlamentari con idee diversa dalle sue da ogni tipo di decisione, che, nella sua fantasia, spetterebbe solo a lui. Questa non è l’idea di democrazia che gli italiani vogliono. C’è bisogno di gente nuova e di idee nuove, se perché queste nascano devono morire realtà come Pdl e Lega (con i loro nuovi possibili futuri nomi), che muoiano in fretta e senza fare ulteriori danni. Forse la sinistra non sarà la soluzione a tutto, ma si può iniziare dalla gente onesta e che crede ancora in qualcosa.

Recensione “Come il suono dei passi sulla neve” di Zibba e gli Almalibre

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Un sound attraente che unisce sapientemente le atmosfere popolari liguri, suoni contemporanei in immagini musicali e poesie tridimensionali, ricche di sapori e fragranze che sanno distinguersi nel panorama musicale attuale, questo è ciò che riecheggia tra le note del nuovo disco di Zibba e gli Almalibre “Come il suono dei passi sulla neve”.

Momenti di svago e di autentica poesia si alternano già dal primo pezzo, nonchè singolo in rotazione radiofonica, “Nancy”, che si fregia del featuring di Roy Paci.

“Come il suono dei passi sulla neve”, la canzone che regala il titolo all’album, è malinconica e poetica, immersa in parole sussurrate e sottili, leggere e allo stesso tempo calde. Altra collaborazione importante, quella di Eugenio Finardi, la si può ascoltare in “Asti Est”. Il nome di un casello dell’autostrada che racchiude tutto un mondo da raccontare e da vivere con il ritmo, la musicalità e le parole infondibili di Zibba. Ed è il ritmo travolgente caro al cantautore ligure che si libera in “Sei metri sopra la città”, in cui l’artista Zibba ci racconta l’uomo Zibba, le sue facce e le sue impressioni, tra sapori di buon vino assaporato in un locale tra fumo e discorsi alla luna, mentre fuori sta per nascere il sole.

“Prima di partire” è cantata da Zibba e Carlot-ta in un duetto soffuso e sussurrato. Una ballata intensa e profonda, incantata, con parole che si appoggiano leggiadre su una melodia ricca di suoni elettronici, sulla quale vola il suono del violino sognante.“fanculo alla morte e ai giostrai..”, racconta questo pezzo, e lo fa con passione e musica pura, viscerale.

Si riesce a sentire la fragranza tiepida e inconfondibile del mare in “Aria di Levante”, persi tra le parole di Zibba, disegnate sulle nuvole bianche su un cielo colorato.

“Almeno il tempo” è un quadro, un’istantanea tra le passioni di un inverno e della vita nella sua interezza, di un giorno, di un momento, tra le pareti dipinte sui muri delle strade di Milano. Esistono poi canzoni che si sposano con il mare, che forse sono il mare. E’ il caso di “O Mæ Mâ”, una ballata intensa e profonda, che fa vibrare le corde dell’anima. Che emoziona. Cantata in dialetto ligure da Zibba e Vittorio De Scalzi, riesce a risuonare senza fretta, lentamente, tra i colori dei sentimenti nascosti, che riemergono solo di fronte al mare. Ascoltandola sembra di vedere Genova, la sua passione, i suoi vicoli e il suo mare in un ritratto magico e appassionato.

Un’onda fatta di parole alla ricerca dell’intensità della musica e della vita dei musicisti è impressa a fuoco tra le note di “Anche di Lunedì”, mentre “Dove i sognatori son librai” è una ballata che trascina i pensieri, come il vento una barca, tra le onde soffuse di un mare appena mosso, dai respiri di un uomo che non riesce a dormire e sogna, muta nei suoi pensieri e diventa parte di quel paesaggio. E’ Poetica e impetuosa, dolce e forte, una canzone nel vero senso della parola.

Si percepisce malinconia, in un ritratto rassegnato nei pensieri di un giorno qualunque che è il pezzo “Salva”. Parole taglienti che riescono ad assegnare la giusta importanza all’essenza delle cose che devono, appunto, essere salvate.

Oltre alle canzoni che questo disco regala non si possono non citare i momenti di poesia pura, recitata in “poesia d’amore” da Silvia Giulia Mendola, da Zibba in “Come il suono dei passi sulla neve” di Adolfo Margiotta.

“Come il suono dei passi sulla neve” è un disco completo, sia dal punto di vista musicale che dei testi. I tempi sono scanditi da ritmi che variano e si intrecciano, che corrono fino all’anima, per poi rallentare e cercare gli spazi giusti per sussurrare parole, creare mondi paralleli e incantare dolcemente. Le collaborazioni importanti arricchiscono i già ottimi contenuti di questo lavoro. Ascoltando queste canzoni e facendo attenzione ai testi, si riesce a percepire un’ulteriore maturazione artistica di Zibba, che è certamente un nome importante della musica cantautoriale italiana di oggi. Un ottimo disco.

Recensione dei “Canti bellicosi” de I Cosi

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Scrivere canzoni nuove è sempre difficile, così come lo è ricercare l’originalità. I canti bellicosi giocano con le parole e la musica per cercare un equilibrio nuovo, seppur a volte instabile. Cercano nel passato della musica, pensando tra ciò che è rimasto scolpito nella memoria della musica. In molti pezzi si sentono richiami alla musica degli anni 60′ e 70′, abilmente inseriti in melodie e arrangiamenti attuali. Il pezzo che apre l’album è “Canti bellicosi”, una canzone che presenta sonorità forse note, ma che si prestano bene a questo tipo di musicalità, legata a doppia mandata con la musica leggera più classica. In “Cerco dentro me” si sente il richiamo a un rock melodico che cerca spazio tra le emozioni più sconosciute e imprevedibili. La canzone “Universo” è un richiamo al passato e ai sentimenti dimenticati in echi lontani, nascosti tra le parole e le scie melodiche che nascono da un mondo musicale che ha lasciato il segno in ognuno di noi. “Settimana enigmistica” e “Romanticamore” sono ballate con un ritmo ipnonico e in cui si percepisce l’abile ricerca nella realizzazione del testo. Con “L’assedio” si fa strada un rock primordiale, miscelato alle sonorità antiche e sempre gradevoli e che rinascono regalando una musicalità accattivante. “Le ragioni degli altri” possiede un linguaggio criptico che a tratti si apre, musicando punti di vista chiari e obbiettivi.

“Se non” è un pezzo lento con un incedere soffuso e leggero, incantato, quasi ovattato. “Fotografia” propone accordi semplici e parole che scivolano come gocce di pioggia. Nubi dissolte e pensieri a lume di candela, tra presa di coscienza e ricordo. Chiude l’album “Quello che so”, una ballata sottovoce, in cui le parole sembrano affondare lentamente nella melodia di questo pezzo.

L’album “Canti bellicosi” sa farsi ascoltare ed è chiara la volontà di unire la tradizione musicale italiana e internazionale in un nuovo stile che potrà un giorno diventare unico. C’è ancora da lavorare, ma l’inizio è certamente degno di attenzione. Creativi e malinconici, talvolta struggenti e determinati. Un’ottima miscela da cui partire per creare pezzi che restino nella storia della musica italiana.

Recensione del disco “Boomerang” di Daniel Mendoza

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L’Hip Hop è un genere musicale difficile da decifrare. I valori in campo sono spesso sfumature impercettibili e soggettive, ma ciò che realmente conta è ciò la musica riesce a trasmettere. Ed è per questo che Daniele Mendoza merita di essere ascoltato con attenzione. Non si tratta dell’Hip Hop commerciale e spoglio di valori che ultimamente va di moda in radio o su Mtv, ma di un’evoluzione e per certi versi una sperimentazione del genere. Nel singolo “L’Italia non è” si sente perfettamente la voglia di raccontare una nazione, una cultura e regala la spinta per una vera rinascita. Lo stesso spirito lo si ritrova anche in “Quando sognavamo”, tra nostalgia, malinconia e la volontà di battersi nonostante le avversità, il tutto raccontando semplicemente i propri sogni.

In “Non ti perdi un granchè” emergono valori e principi importanti, in una chiave di lettura dura e viva della vita. Nessuno sconto, ma una chiara rappresentazione della realtà, spietata forse, ma giusta e obbiettiva. “L’arte di adattarsi” è allo stesso modo un quadro rappresentativo della nostra società, senza mezzi termini o giri di parole, con versi forti e tesi. “La porta dell’inferno” è un pezzo diabolico e spietato ma con un’anima pura, ben celata tra le rime, mai banali, ben costruite e sempre fluide. C’è amarezza in “Yellow Rose”, un melodico abbandono e un grido che vuole essere ascoltato. Una rabbia che diventa musica, lo spirito perfetto dell’Hip Hop. “Indie Revolution” racconta le difficoltà della musica moderna, del mondo sommerso dalla discografia “più grande”, ma la certezza che qualcosa si muove ancora e che ha voglia di emergere. “Trendadue perché” è un pezzo orecchiabile e intenso, mentre “Un patto d’amore” è una canzone d’amore dedicata all’hip hop, con le doverose citazioni agli Articolo e ai Sottotono. Si sente la speranza di continuare il viaggio senza lasciarsi trascinare dall’ipocrisia della musica di oggi che spesso vive solo di immagine. “L’altro domani”, è un urlo di speranza, un punto sulla società moderna e sul futuro.

“Boomerang” è un album ricco di contenuti, sia sociali che sentimentali e soprattutto di speranza. L’hip hop vero racconta tutto questo ed è anche per questo motivo che Daniel Mendoza merita palchi importanti. Ammiriamo la volontà di richiamare la musicalità dell’hip hop vero (suoni analogici) e di dare veramente peso alle parole. Abbiamo assistito per tanto tempo a spettacoli di rapper che si sentono gangster ma che non lo sono e che parlano di vite che non conoscono e che quindi inventano. Non ci piacciono. Daniel Mendoza racconta una storia vera, la sua, senza mitizzarsi, ma semplicemente per ciò che è. Il suo “Boomerang” è un disco vero, con un sound puro e deciso.

Un sentito grazie a chi crede ancora in questo genere e lo porta avanti con così tanta passione e dedizione.

Recensione “Echolocation” di Michele Di Toro

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Quando la musica è degna di questo nome, vive attraversi suoni intensi e vibranti. A volte le basta un solo strumento per vivere. Quando questo strumento è il pianoforte, la magia è assicurata. Michele Di Toro suona, incanta e sorprende con melodie attraenti, vorticose e leggiadre, soffici e incantevoli. Brani che si ascoltano con piacere come “La favola continua” che come un trucco leggero svela essenze e germogli di infinito, con una melodia semplice quanto avvolgente. “15 Luglio” ha un suono dolce, impreziosito da una sinuosa melodia, mentre “..Al chiaro di luna” è brano romantico. Un’incantevole musica che emozionano come immagini lontane, come pescherecci che navigano sul mare, all’imbrunire. “Il giardino segreto” è un soave incedere di note e istantanee scattate di nascosto. Un soffio di inquietudine, claustrofobia. Paura. Tutto questo è raccolto tra le note di “Echolocation”. Da ascoltare tutto d’un fiato. “Senza te” esprime leggerezza e l’immagine sbiadita di una donna che si allontana. Il ritrovarsi, scostando le tende della finestra, per guardare la pioggia cadere sulle pozzanghere. L’illusione che non dimenticherai. “Dr Jakyll & Mr Hide” è un pezzo ricco di colori e sfumature che non nasconde una trama elaborata e intensa. In “L’arrogante Bartok” e “Prokofiev il visionario “ si possono ascoltare evoluzioni e ritmo indiavolato, con melodie che sembrano rincorrersi e superarsi nota dopo nota. “Debussy l’adulatore” è una musica che sembra nascere con i primi raggi del sole, quando l’alba è ancora fresca. E c’è odore di mare. “Echolocation” è un album ricco di atmosfere e colori che cambiano e si trasformano, come una sceneggiatura che accompagna attori incantati, tra sipari che si aprono e chiudono, per dar spazio a monologhi e dialoghi di altri tempi. La musica è qualcosa di importante, di magico, e Michele di Toro dimostra di sapere come maneggiarla, plasmarla e crearla con cura, passione e intensità. Melodie sempre diverse e belle da ascoltare, intrecci di suoni, che sembrano luci psichedeliche. Un ottimo album.

Recensione del disco “Abracadabra” dei Lyr

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I Lyr presentano il loro primo album “Abracadabra” e mostrano grande abilità nella composizione dei pezzi, bravura e determinazione nel proporsi al pubblico. Curano con attenzione le melodie e le parole, sono estrosi e intimisti allo stesso tempo, tutte qualità che fanno di questa band una vera rivelazione nel panorama musicale italiano. La prima canzone del disco è “Abracadabra”, un pezzo intrigante e racconta una storia che scivola in equilibrio tra immaginazione e spietato realismo, un gioco di specchi che rivela le diverse identità del gruppo, mentre la ballata “Dopo tre passi” richiama sapori antichi, con rime, parole studiate e un ritornello che resta scolpito nella memoria. “Tra vent’anni o mezz’ora” è un brano soffuso, incantevole e poetico, degna della tradizione cantautoriale italiana. In una sola parola: avvolgente.

“Non smetterai” è una canzone d’amore, e ciò potrebbe anche bastare per descriverla. Svela il sapore struggente delle emozioni e le lacrime celate in un addio e note dalle quali emerge la forza di un racconto, in cui l’essenza è un amore puro, seppur negato. “A quest’ora della sera” è un gioiello di musica e immagini, un intreccio di frasi, melodie e sensazioni. Un quadro dipinto che fa respirare l’aria misteriosa, a volte oscura, dei vicoli di Genova. I versi di questa canzone, delicati e raffinati, riescono a descrivere un intero mondo in pochi istanti, come una fotografia in rime e giochi di luce.

“L’amore cos’è” è un incantesimo, un viaggio tra i versi disegnati sul pentagramma alla ricerca dei momenti più toccanti della vita, mentre “Incontro notturno” sembra una tela dipinta da un pittore, plasmata a piene mani con colori accesi e passione. Tra i versi e le parole sembra di sentire odori, di guardare attraverso gli occhi degli autori, di vivere nel mondo costruito con cura in questo racconto sognante.

Come la creta, con parole si può creare con pazienza e dedizione qualcosa di magico. “Il ritratto” è un’opera tra fantasia e realtà. I Lyr riescono a inventare una donna in musica, che danza, parla. Esiste. Parole sussurrate che sfociano in un brivido con l’intenso assolo di sax nel finale. “Nuvole di carta” è un pezzo misterioso, quasi mistico nel suo incedere armonioso. Melodiosa e fragrante, la melodia di questo pezzo è impetuosa e delicata allo stesso tempo, una miscela colorata e disarmante. Con “Abicidì” i Lyr reinventano un alfabeto di momenti e immagini calde, fragranti come pane appena sfornato.

Le canzoni di questo album sono intense e curate sin nei minimi particolari. I sentimenti, la passione nel raccontare le emozioni, sono gli ingredienti principali di questa gustosa ricetta in musica. Tutti i pezzi sono suonati da ottimi musicisti ed è un valore aggiunto la profondità della voce del cantante Fabrizio Tonus, autore dei testi, intriganti e affascinanti, con Mattia Bozzola. “Abracadabra” è certamente un disco da ascoltare.

Siria: silenzio colpevole

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Silenzio colpevole e disinformazione programmata sono ciò che l’occidente propone di fronte all’insurrezione dei siriani al regime di Assad. Mesi e mesi di attacchi alla popolazione sono sfociati in quello che anche e finalmente i telegiornali italiani hanno mostrato: decine di piccoli corpi trivellati di colpi. Una vergogna senza precedenti. Ci sono numerose testimonianze che raccontano di come l’esercito fedele ad Assad apra il fuoco contro i manifestanti, metta in campo ritorsioni e cerchi con ogni mezzo a sua disposizione di fermare la rivolta di questo popolo che vuole la libertà. Questa è la verità. In altri paesi protagonisti della primavera araba l’occidente ha più o meno segretamente aiutato il popolo a insorgere contro regimi molto potenti, come accaduto con quello egiziano di Mubarak, ma in questo caso nulla si muove. Una misera tregua, tra l’altro mai presa sul serio dal regime, è l’unica cosa che è stata ottenuta dalle Nazioni Unite. Troppo poco. Il grido di ingiustizia è diventato troppo forte perché si possa ancora fare finta di niente. I numeri che riguardano i deceduti trapelano e giungono fino a noi e sono alti e sempre crescenti. La rete aiuta a ricevere informazioni, ma spesso non superano il muro di gomma dei media europei e mondiali. La strage dei bambini lo ha fatto, forse ora la gente sarà in grado di valutare se indignarsi e lottare perché qualcosa venga fatto o continui con il silenzio colpevole. Non si può tollerare una violenza inaudita da parte di un esercito assassino, in grado di sparare a bambini, innocenti e inermi manifestanti o semplici civili. L’indecenza è servita, il silenzio pure.

La memoria storica

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Le crisi hanno sempre un sapere strano: sudore, bruciato e disperazione. Sono gli ingredienti che molti dittatori nella storia hanno già ben miscelato per creare consensi e urlare slogan all’unisono. Dai più grandi imperatori di Roma a Stalin e Hitler, fino al nostrano Mussolini. La tecnica è facile: portare la gente alla fame e indurli alla ribellione per “cambiare il sistema”. Questa premessa è d’obbligo per parlare dello scenario nazionale e internazionale. Quello italiano è vittima di un risultato elettorale tutto sommato scontato. La sconfitta dei partiti di centro destra, dal Pdl travolto dalle vicende del suo ex-premier alla Lega, organismo ormai in fase di mutazione dopo le questioni della “famiglia” Bossi e dell’ex tesoriere Belsito e quella dei “rinnovatori” dei Fli (Fini) e Udc (l’immortale Casini). La vittoria di Grillo è stato il risultato dello sconforto e della voglia di “cambiare” degli italiani. Senza nulla togliere all’impegno dei “grillini” che hanno raccolto le firme nelle piazze, mossi ideali veri e secondo me puri, questo è un segnale preoccupante. E lo è perché, analizzando lo scenario greco, molto analogo al nostro, a vincere sono stati movimenti di estrema destra e sinistra che non hanno permesso di creare un vero governo (si tornerà presto al voto). Monti ieri a Piazza Pulita sembrava voler rassicurare gli italiani. Tutto va bene, dice. Stiamo crescendo. Ma le imprese che falliscono schiacciate dal peso dei crediti con le pubbliche amministrazioni sono tante. Quelle mafiose sono anche loro tante e con tanti soldi da spendere. Da un punto di vista etico spererei in un governo di persone con ideali, come potrebbero essere i grillini, ma la favola mi sembra di averla già sentita (vedi saga Bossi). La verità è che ci aspettano tempi duri e questo nessuno ha il coraggio di dirlo. Non che non si possa uscire da questo tunnel, ma è necessario diventare onesti e smettere di credere che la furbizia italiana sia ancora la risposta a tutto. Resta il nodo Germania, è strano e probabilmente sbagliato pensarlo, ma è il paese che è stato promotore di due guerre mondiale e che si è sempre rialzato. Ora ci troviamo ancora una volta alle prese con questo paese che detta le leggi. Visti i precedenti e lo scenario che abbiamo intorno, saranno quelle giuste?

pubblicato su causaedeffetto.it