L’eco del tuo sguardo

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Il vetro è trasparente, la verità che si nasconde in una banalità. Il sogno è assente, principe tenebroso delle notti senza stelle, nei colori freddi dell’inverno. Non c’è infamia nel cadere nel luogo comune, nel perdersi in strade senza punti di riferimento. Senza guardarsi intorno, scivolare nella brezza di un mare lontano. Ed è nebbia quella che vedo. La tua immagine è lontana, sfumata tra le pieghe di un autunno di foglie secche e fiumi in piena, tra ricordi lasciati a metà, tra cielo e terra, tra specchio e riflesso. Nulla è certo, nel buio colorato e nell’asfalto di richiamo. E nel riflesso di un lago si vedono i rami, le foglie e l’eco del tuo sguardo.

Ed era un giorno di neve.

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Era un giorno di neve. Uno di quei momenti in cui Torino sembra un giocattolo, soffice e incantata. Ovattata. I fiocchi scivolavano colorando ogni cosa di bianco, anche i pensieri. Sembrava che tutto d’improvviso potesse svegliarsi. C’era voglia di cantare, di parlare. Ogni cosa imbiancata sembrava diversa, più bella, più affascinante. La notte arrivò preso, sembrò la cosa più semplice del mondo parlare fino a notte fonda, per poi tornare ascoltando il suono dei passi sulla neve. Nessun suono credo sia paragonabile a quello, sia pacifico come quello. Gli istanti si soprapposero, come un vortice. Come una tempesta. Come un bacio all’improvviso, proprio mentre il treno inizia a muoversi, lento e con sé porta via un po’ di ciò che ti appartiene. Come un po’ di te, una favola fatta di colori, luci, a volte forti come i riflettori che ti abbagliano sul palco, come una canzone che arriva dritta all’anima. Quando un pensiero è racchiuso in una favola non può morire.

Soltanto questo

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Un viaggio,

soltanto questo.

Nei tuoi occhi,

sfuggenti e sconosciuti,

crei e scomponi

come le note nate in fretta

Un salto,

tra deserto e irrealtà

tra confine e fantasia

Ancora un viaggio,

dove mutano le stagioni,

dove muoiono gli amori.

Le strade tacciono,

nell’apatia della sera,

nelle immagini sfocate.

Nella nudità dell’anima.

Perché c’è un senso,

tra le righe del pentagramma.

C’è una verità.

Che giace sommersa,

che piange solitaria.

Che si consola col vento.

Il mio inganno è sorridere,

il mio silenzio è il verso migliore.

Così raccolgo un po’ di me

E nuoto tra le acque di un sogno

Che hai i tuoi occhi,

il tuo sorriso.

Ed è un viaggio.

Soltanto questo.

…dai lunghi passi della notte.

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 Scintille,

memorie che si infrangono,

su scogli disegnati appena.

Certezze,

appannate dal tempo,

e dai passi lunghi della notte.

Ombre.

Che si accartocciano

nei dirupi immersi nella nebbia.

Il tempo scivola impietoso

nei bassifondi dei ricordi.

Colora di rosso gli stracci,

perché si intonino col sorriso.

Finto.

Costruito.

Cauto.

E nelle sere d’estate

Scivolano via pezzi,

parti essenziali di un sogno,

sparpagliati per terra

con le favole perse

e le illusioni svanite.

Terre aride,

che invocano pioggia.

Scintille,

memorie disperse

ma che non vogliono morire.

L’alchimia

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   Il succo di un pensiero, è la libertà di poterlo assaporare.

Sentirne ancora il profumo, l’inebriante essenza, che nessun alchimista potrà ricreare.
E nell’assenza ritaglio i colori, li ricompongo, perchè diventino un aquilone.
Il resto, lo farà il vento.

Se perdessi tutto questo

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Ho letto “Mi piace vederti felice” e ho intervistato l’autrice Rossella Rasulo, e ne sono molto felice. Prima di tutto perché il romanzo è molto bello e l’ho letto tutto d’un fiato. Mi è molto piaciuto il finale, semplice e che mi ha davvero emozionato. Stile avvolgente, semplice, diretto. Che volere di più da un libro? Le risposte che Rossella alle domande dell’intervista sono state un’ulteriore conferma del fatto che si tratti di un’autrice affascinante ed eccentrica al punto giusto, ma, cosa forse più importante, che vuole scrivere, che vive di scrittura e che si sente la sua stessa scrittura. Che è tutt’uno con le parole che scrive. In ogni sua parola si sente che ha creato i suoi personaggi, disegnato i loro discorsi, sentito le loro emozioni. Essere scrittori non credo sia una cosa facile, come lei stessa racconta bisogna studiare, lavorare e dare tutto se stessi. E’ un piacere quando qualcuno riesce a farlo con tanta semplicità, seppur credo che le sofferenze e le delusioni non possano essere descritte in un’intervista. In ogni caso penso che la protagonista del romanzo, Aura, non si possa dimenticare facilmente, perché in tutti noi c’è un Aura, in tutti noi c’è la voglia di credere negli amici, nei sentimenti e tutti abbiamo paura di perdere quel che abbiamo, che, in fondo, è parte di ciò che siamo. Non c’è sempre solo l’anima, ma anche il mondo che ci circonda, chi ci vuole bene. Che succederebbe se da un giorno all’altro perdessimo tutto questo? Beh, Rossella Rasulo lo ha raccontato in questo romanzo e ora posso anche dirlo, sono orgoglioso di averla intervistata, perché lei è una scrittrice vera.

Il silenzio e il fuoco

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Ho socchiuso la porta per non sentire ancora rumore. Avevo bisogno di guardarmi dentro e capire cosa era rimasto di tutti quei sogni, quelle speranze. Quelle illusioni. Mi sono fermato davanti a una mia immagine riflessa nello specchio e mi sono visto diverso, spento. Quando mi guardo intorno vedo e sento la resa incondizionata di una generazione. Quando guardo dentro i miei occhi la sento crescere, inarrestabile. Se ripenso al passato, so di aver lottato contro tutto, tutti e soprattutto contro me stesso, perché nulla avesse la meglio sulla volontà di resistere. Bella parola “resistere”, ma resistere a cosa. A chi? Ci sono giorni in cui tutto sembra impossibile e altri in cui è impossibile. Il dovere di chi scrive è continuare ad alimentare la fiamma, soprattutto quando intorno inizia a soffiare un vento di tempesta e il cielo diventa improvvisamente scuro. Questo è il messaggio che stanotte mi va di comunicare: fino all’ultimo respiro.

Quando mi sentirai in silenzio, non temere. Sarò lontano a cercare ancora legna da ardere, perché quel fuoco non si spenga mai.

Foto candela: Simona Vacchieri

L’inganno

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Futili come pensieri che aleggiano nella mente. Inevitabili, come il naufragio delle stelle. Sono i percorsi della vita, quelli che dimentichiamo al bar come un mazzo di chiavi qualunque. E spesso capita di pensare a come tutto sia così fragile, aleatorio. Quanti progetti facciamo, convinti che tutto sia eterno, che non ci sia una fine. Poi ti accorgi che una persona svanisce, e qualcosa dentro di te cambia. Ti rendi conto che non c’è sempre una seconda pagina del libro, non c’è sempre il finale che vorresti. Si vorrebbe imparare a vivere la vita, istante per istante, eppure navighiamo in mari e oceani di “vorrei”, “se”, “ma” e così perdiamo tempo. Tempo prezioso.  Rinviamo i momenti e nascondiamo quello che vorremmo dire. E’ come quando ti viene in mente una poesia, una canzone, ma non hai voglia di scriverla, così la dimentichi. La ignori. E lei svanisce, come svanisce una persona, così, in un attimo. Ci sono mali che non sappiamo combattere, questa è la verità. La nostra arroganza ci spinge a sentirci immortali, ma non lo siamo. Perché è di questo che parliamo, le parole poetiche ci aiutano a dire tante cose, ma così facendo le celiamo dietro a distese di spighe di grano. Ci inganniamo. E lo facciamo tutti i giorni, illusi dalle nostre parole, dai nostri sogni. Torno a scrivere quando sento un formicolio dentro, qualcosa che vuole uscire e resto in silenzio quando il groviglio di parole che riecheggiano nell’etere mi fa venire male alle orecchie e finisce per stordirmi. Ma anche nei silenzi ci sono delle verità e delle emozioni, perché tante volte si parla a sproposito, si urla e si dimentica di quello che è davvero importante: nessuno svanisce mai davvero. Ed è proprio quando tutto sembra cadere sotto i colpi inesorabili del tempo, quando la partita sembra impossibile da vincere, che bisogna attaccare. Ribaltare il risultato e nel farlo, godersi la partita, uscire dal campo tra gli applausi del pubblico. Anche se hai perso. E quella non sarà mai una sconfitta, sarà la vita.