Sempre ammesso che serva

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Quanti sogni non aiutano, e gli occhi, persi nel mare, non sanno trovare una strada. E’ torbido. Quanti istanti possono far piacere, poco prima di uccidere. Così trascini gli istinti primordiali a uno stato che non conosci. E in fondo, nemmeno ti interessa. Solo chiudere gli occhi. Lasciare che il tempo si nasconda. Ho passato tanto tempo a parlare con me stesso, cosa ho capito? Poco. Forse niente. Siamo vetri sporchi, noi. Piccole ombre colorate di vento. Poco prima di fuggire. I luoghi sembrano sempre gli stessi. E io la soluzione non ce l’ho, perché tutto sia diverso. Ci si ritrova qui, al bar. A guardare la superficie del caffè. Sempre uguale. La notte splende come sempre, illuminata da una luna che fa quasi paura. No. I sogni non aiutano. Ti fan sentire inadeguato. Sempre. La terra brucia, sarà stato il troppo sole. La testa mi fa male. Sembra senta il peso del tempo. Senza fine. O forse, una fine ce l’ha. Ed è sempre tardi per guardarsi dentro. Sempre ammesso che serva a qualcosa. Il giorno è un giorno come tanti. Piccole ombre disegnate a stento. Sulla sabbia. Mentre la rabbia ascolta, e sembra stanca anche lei. E’ la prima volta che la vedo così. Non ha più quei lineamenti duri. Non sembra più così determinata. Vorrei sbagliarmi, ma sembra avere paura. Anche lei. Io resto qui. Su questa banchina, da quanto tempo sto aspettando quella nave? Forse non passerà. Ed è meglio così. I miei passi si susseguono, come capitoli di un libro. Ogni tanti mi fermo, guardo una vetrina. E riparto. Quanti sogni non aiutano. Quante stelle non illuminano.

Quanto dura una nota?

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Ci sono dei momenti diversi dagli altri, in cui vengono a galla i ricordi. In cui ogni cosa prende forma, si plasma. Accade quando la luna è al suo colmo e i suoi raggi illuminano tutto. Anche dentro. C’è una strana forma di malinconia stasera, che fa venir voglia di chiudere il pianoforte perché non vuoi più sentirlo più suonare. Perché ogni nota e ogni parola di quelle stupide canzoni ti parlano di lei. Ti fanno sentire perso. E lasciano il peso addosso di un fallimento. No, non fa ridere. Non vedo perché debba farne. Io non lo so cosa sia l’amore. Pensavo di averlo capito. E non era così. Il mio sguardo si perde ancora tra la gente come a voler rincontrare quegli occhi, ma non capita mai. La vita non è un film, e nemmeno un quiz a premi. E’ un gioco scorretto. Una bomba che ha un timer al contrario, verso l’implosione. E’ un suppellettile, che si gioca a dadi la fiducia. Che svende le tue parole togliendole ogni senso. E’ una bella melodia suonata in silenzio. E’ una poesia senza parole. Per quanto tempo vibra una nota? Non lo so. So solo che spesso la si sente ancora dentro, a riecheggiare tra le stanze vuote dei ricordi. Dei passi falsi di un sogno. Delle mezze verità di una vita che sa essere spietata. Questo è l’amore? Si, e allora a che serve? A chi serve? Quali certezze lasciano queste ferite che si fingono rimarginate e che invece gridano ancora? La notte è ancora lunga, la luna è sempre lì a guardami. Passa di qui, almeno raccontami di te. Dimmi cosa pensi di questa anomalia. Ci sono momenti in cui tutto questo non ha senso. In cui perdono senso anche i ricordi e ci penso. Ti penso. Leggera, mentre il tuo treno va via. E miei sogni si siedono su una panchina di una stazione, senza avere il coraggio di rialzarsi. E io non posso obbligarli a farlo. Io non voglio farlo. Il silenzio tutto sommato fa compagnia. Quanto dura una nota? Forse solo l’attimo in cui questo pensiero smetterà vi far vibrare quest’aria. Vuota.

Il tuo nome

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Non tutto si può spiegare, non a tutto si può dare un nome. Ma quando le corde del pianoforte vibrano. La musica. Si riesce a sentire. Dall’emozione, nasce l’emozione stessa. Si imprime sugli spartiti, sui muri. Negli sguardi. Nei piccoli gesti quotidiani. Nello sfiorare un sogno, e nel vederlo sfiorire. A non tutto si riesce a regalare un nome. Ma il tuo, ha più forza di ogni altra parola. Ecco l’amore cos’è.

Negli occhi

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Negli occhi,

che cerco nei riflessi

Frasi di specchi

I sogni, sempre gli stessi

A far notte,

e ogni stella che parla

Lei se ne fotte

Ma è luna, a consolarla

E il vento,

dorme, silenzioso

Un momento

In un tempo pensieroso

Abbiamo tempo

Abbiamo voglia

Eppure, scappiamo

Braccati dalle paure

Parliamo, con alibi

Che raccontano sfumature

Un giorno,

Farò pace col mare

Un giorno,

Ora ancora non riesco.

Luoghi

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Mi aggiro tra ombre e riflessi, luci chiare e luoghi oscuri. Fuggo. Qualcuno in lontananza cerca un bacio. Qualcuno spara. Ancora luci, più intense. L’incanto svanisce, lo schermo è lontano. E io, sono la maschera.

Ascoltarmi

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Indosso una maschera, e un sorriso di specchi. Parole silenziose, e occhi, velati. Il tempo ha il colore delle nubi, poco prima che la notte si addormenti. E’ l’alba, e l’aria sa di stelle, ed è la luna. Ad ascoltarmi.

Le pagine bianche

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Guardare queste pagine bianche non mi aiuterà, così illudermi che i silenzi d’un tratto possano parlare. Sognare ciò che un sogno è stato, è ingannarsi, è una ferita che sanguina pensieri. Che mi lascia senza più note da suonare, senza parole da scrivere. Senza nubi da guardare. Senza la luna alla quale ululare, ogni qualvolta che si mostra nel pieno della sua bellezza. Ogni notte è un rintocco che scandisce gli attimi che nella mia mente si rincorrono.

Ogni istante non svanisce mai davvero, resta lì, senza affondare. Senza restare a galla. Quel che volevo era lì, a un passo. Ed è ancora qui. Dentro.

Nebbia

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Avvolto in una nube di nebbia, con occhi infranti, e sogni naufraghi. Fermo, di fronte a un mare di ghiaccio. Ed è quel che resta, degli occhi, degli sguardi. Di me.

Cadere, lentamente. Negli occhi che sussurrano, e immagini che cambiano, nei riflessi che si rincorrono. Mi hai avvolto in una nuvola, stretto ai respiri più profondi.

Spettri

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Si diventa spettri, teorie invisibili sui palchi silenziosi delle sere d’ottobre. E vetri sporcati dalla pioggia, ingannati dalla luce lieve. Trasparenze, giochi di incauta bellezza. Lucidi, occhi, e labirinti senza entra né uscita. Vortici.