Il Tempo del Silenzio – Ep1-2

Pubblicato il Pubblicato in il tempo del silenzio, Narrativa, Racconti

Ep1

Wuhan

L’uomo aveva appena agganciato il camice al porta abiti. Era stanco e provato dal lavoro della giornata. Lavorava in pronto soccorso da circa cinque anni e ogni volta gli sembrava sempre più difficile sopportare il dolore e la sofferenza, soprattutto nei casi in cui non poteva fare niente per alleviarla. Non aveva molto tempo per riflettere, i turni erano sempre molto fitti e aveva soltanto poche ore per riposare. Il mattino sarebbe dovuto tornare in ospedale. Mangiò qualcosa velocemente e si coricò. In quel momento gli tornò in mente il paziente che aveva atteso il suo turno tutto il pomeriggio in sala d’aspetto. Sembrava non avesse motivi seri per essere lì. Eppure a un tratto aveva iniziato a tossire, una tosse secca, un infermiere aveva cercato di aiutarlo, ma in pochi minuti il suo quadro clinico si era aggravato e aveva iniziato ad avere problemi respiratori.

Era morto poche ore più tardi.

Pechino

Il pacco era appena arrivato dal laboratorio. Il corriere era stato veloce. Il tempo era determinante per il progetto a cui stavano lavorando da anni. Jie era un ingegnere di successo, proveniva da una famiglia povera di Pechino, ma grazie alle borsa di studio del governo era riuscito a conquistarsi un ruolo importante in una azienda informatica. Lo sviluppo della tecnologia in Cina era uno dei settori più importanti e le aziende avevano negli ultimi anni mutato la propria identità, da ditte assemblatrici si erano trasformate in aziende in grado di progettare, costruire e produrre oggetti tecnologici sempre più performanti, che rispetto ai competitor potevano contare su una caratteristica in più. Il prezzo. Gli operai non mancavano e il loro attaccamento alle aziende permettevano di investire su di loro, specializzandoli. Gli orari di lavoro a cui erano sottoposti erano devastanti, ma loro erano sempre presenti ed efficienti. Ed erano pagati poco. Pochissimo, in confronto agli stipendi che percepivano operai di quel livello nel mondo occidentale.
Posò il pacco sulla scrivania del suo ufficio e si soffermò a osservare il paesaggio che la vetrata dell’ultimo piano del grattacielo gli offriva. Sempre lo stesso, un grigiore tenue, che soffocava ogni colore. Per un attimo immaginò di vivere in quei luoghi di cui gli avevano raccontato, in Italia, per esempio.

In quello stesso istante il cellulare suonò.

Il cliente era pronto per procedere con l’acquisto del nuovo prodotto ideato e costruito dalla sua azienda. Un cellulare di ultimissima generazione.

Silicon Valley

Jonathan Valasco aveva depositato il brevetto soltanto pochi giorni prima, quella sera aveva in programma di uscire a cena con la giovane collega che era arrivata in azienda da pochi mesi. Aveva appena il tempo di passare da casa per cambiarsi, indossare qualcosa di elegante, ma senza esagerare. Aveva prenotato un tavolo in un prestigioso ristorante già in mattinata.

Quella videochiamata non era prevista. Si trattava del supervisor dell’azienda madre, la ditta che in genere acquistava i brevetti e che aveva permesso alla sua start up di diventare leader nel settore delle comunicazioni.

“Buonasera John, ti disturbo?”

“Assolutamente no.”

“Bravo, ho sempre ammirato chi si dedica con così tanta passione al suo lavoro.”

“Come mai questa chiamata, avevamo una call prevista per il giorno della consegna.”

“È proprio di questo che volevo parlarti. Abbiamo deciso di non acquistare il vostro prodotto.”

Il tempo del silenzio – #Ep1

Ep2

Pechino

Jie aprì il pacco con cura. Posizionó gli imballaggi nell’area adibita alla raccolta e soppesó il piccolo contenitore. Sospirò e rimase un attimo a riflettere. Sapeva che una volta aperto non sarebbe più potuto tornare indietro. Ogni cosa sarebbe stata diversa. E non solo per lui. Indossò i guanti protettivi e lo aprì.

Silicon Valley

Jonathan aveva chiuso la telefonata simulando disinteresse, ma era consapevole che si trattava di un danno enorme per la sua società.
Il telefono continuava a squillare senza sosta. Era Jennifer, la sua collega che aveva invitato a cena. Interruppe la chiamata e spense il telefono. Aveva bisogno di pensare alla prossima mossa. Nel suo mondo non era possibile perdere nemmeno un istante. A ogni bit corrispondevano miliardi di guadagno. O di perdita. E lui non poteva permetterselo.
Si chiese se cercare altri compratori potesse apparire una manovra rischiosa. Aprì una bottiglia di vino italiano, lo versò in un calice e ne sorseggió il contenuto, mentre osservava il profilo dell’oceano. Forse la compagnia di Jennifer gli avrebbe fatto bene, ma non aveva tempo. Era arrivato il tempo di agire. Lasciò il calice sul tavolo e si chiuse nel suo ufficio. Aprì il laptop.

A pochi chilometri di distanza.

Jennifer scagliò il cellulare contro il muro e si ruppe in mille pezzi. Aveva atteso quel momento per molte settimane. Si guardò di sfuggita allo specchio. Aveva indossato un tubino nero aderente che non nascondeva molto.

Wuhan

Il dottor Away aveva inviato un videomessaggio a un suo collega medico che esercitava la professione a Pechino. Gli aveva raccontato del caso di un medico morto per complicazioni respiratorie il giorno prima, ma il suo collega gli aveva detto di non preoccuparsi, che sicuramente si era trattato di un caso isolato. Non era per niente convinto. Si controllò la temperatura corporea. Tutto regolare. Aveva soltanto un po’ di tosse secca. Una patologia assolutamente normale nel periodo invernale.

Pechino

Jie posò il microprocessore sul piano di lavoro e puntò la luce per osservarlo meglio. Si sentiva soddisfatto. Quell’oggetto rappresentava il duro lavoro degli ultimi anni. Per completare quel momento mancava soltanto un passaggio. Inserire il processore nella scheda madre di supporto e collegarla a un computer molto, molto, potente. Ma per quel momento avrebbe dovuto attendere. Un messaggio del suo capo era appena comparso sul display del cellulare. Era prevista una riunione imprevista e importante. La convocazione era imminente.

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La mia non è poesia

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La mia non è poesia, né narrativa. Non è racconto, prosa, beata ignoranza di un menestrello. Non è alibi perfetto per chi spaccia rabbia. Anima astuta e veleno. Non è parola, né mestiere. Storia lasciata a macerare, perché l’emozione sopravviva. Non l’inganno che ti fa voltare pagina. L’incanto di una donna, che muore per sentirsi viva. Lo svelare l’arcano, il piano oscuro, dietro le quinte di un tradimento. Non è il rimpianto. Il mio è un travestimento, che mi arma da carnefice, con la favola candida di un bambino. La mia non è poesia, né la mia natura schiva. Ma sono io, immerso nelle mie sfumature d’avanspettacolo.

Ripartono i cantieri dei romanzi

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Ripartiranno a breve i cantieri per due nuovi romanzi, la pausa è stata necessaria per rimettere a posto delle cose, non tanto sui testi, quanto dentro di me. Per molto tempo ho avuto difficoltà a scrivere, ho continuato a riproporre vecchi post, forse più per ricordarmi chi ero. Ma la verità è che molti di quei concetti non mi appartengono più e che faccio sempre più fatica a capire chi io sia adesso.
Credo che sarà molto difficile tornare a scrivere e superare quella strana sensazione di blocco, che ti porta a sentirti privo di qualcosa, ma che allo stesso tempo ti ustiona le mani, quando provi a toccarla. Forse questi cantieri non vedranno mai la fine, magari un giorno deciderò semplicemente di sbaraccare tutto. E in quel caso, lo farò senza far troppo rumore. In questa era in cui chiunque vomita qualcosa sui social, io proprio non ce la faccio a stare zitto. Anche se sempre più spesso vorrei saperlo fare.

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In un luogo, in un tempo

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Ci sono cose che abbiamo pensato essere importanti, ma che, all’ordine dei fatti, non sembrano tali. E ti ritrovi in un luogo, in un tempo, che ti getta in faccia un deserto che non avevi riconosciuto. Così devi ricominciare tutto da capo. Con te stesso, con quello in cui credevi e che ora appare sbiadito e lontano. No, non è che io sia cambiato. Sono solo stanco di accettare che vengano gettate addosso delle maschere. Perché per alcuni è più comodo credere che siano volti veri. Così è di nuovo il momento di scrivere nuovi progetti, di fare scelte che consentano di ricucire i vuoi lasciati dai rimpianti, dalle strade della vita che tante volte ti postano in radure lontane, in cui non trovi più niente che senti appartenere. Questa sensazione l’avete provata tutti, ne sono certo. Forse con amici, sul lavoro, nei sentimenti, semplicemente mentre davanti allo specchio cercavate di nascondere i segni del tempo. E forse con quelli fuori qualcosa si può fare. Ma dentro no. E sappiamo bene che non ci si può fermare. Che bisogna continuare. Anche quando nessuno ci crede, quando ti dicono che è troppo tardi. Che ti farai ancora male. Eppure sullo specchio, l’ho notata. Era una goccia che scivolava giù. Mi è sembrata una lacrima. La verità è che non siamo sempre quello che diciamo di essere, o quello che vorremmo essere. Se la natura ti ha dato le unghie, graffierai. Se ti ha dato i denti, morderai. Se ti ha dato un cervello, penserai. E se ti ha dato un cuore, amerai, nonostante tutto. Se ci sono cose che abbiamo pensato fossero importanti, probabilmente lo erano. Tocca a noi rialzarci, rimetterci in gioco. E tornare a scrivere sui muri i nostri progetti. E chissà, forse qualcuno li leggerà. Forse un giorno qualcuno si accorgerà di noi. Male che vada, ci ritroveremo a sorridere a quella lacrima che scivola via, perché, semplicemente, ci appartiene.

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Una bella notizia

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Qualche giorno fa ho ricevuto una bellissima notizia che riguarda l’ambito letterario. Lo dico sinceramente, mi sono emozionato. Sono molto contento e non vedo l’ora di potervi dire di più. Si tratta anche per me di una ripartenza. Ci sarà da lavorare molto, ma come sempre ci metterò cuore e anima. Come sempre, ringrazio chi mi ripone in me sua fiducia, chi mi legge, chi mi dà consigli costruttivi, chi collabora nei miei progetti.

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Perché al buio puoi trovare quello che cerchi

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Chiudevo gli occhi. E questo non è quasi mai sufficiente. Quando cerchi una ragione, non puoi certo trovarla in una stanza buia. Quante volte cerchiamo di arrampicarci su lastre di ghiaccio, consapevoli di non avere le forze per evitare di scivolare giù. Ma siamo esseri umani. E forse non ci importa davvero di cadere. Ogni lastra di giaccio è in fondo uno specchio. E lo specchio, si sa. Attrae. Chiudevo gli occhi. E tante volte è ciò che può salvarti. Perché anche al buio puoi trovare quello che cerchi. Perché fra i tanti sensi che abbiamo, possiamo ascoltare e sentire, il profumo di giorno nuovo.

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Il tempo del silenzio – #Ep2

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Pechino

Jie aprì il pacco con cura. Posizionó gli imballaggi nell’area adibita alla raccolta e soppesó il piccolo contenitore. Sospirò e rimase un attimo a riflettere. Sapeva che una volta aperto non sarebbe più potuto tornare indietro. Ogni cosa sarebbe stata diversa. E non solo per lui. Indossò i guanti protettivi e lo aprì.

Silicon Valley

Jonathan aveva chiuso la telefonata simulando disinteresse, ma era consapevole che si trattava di un danno enorme per la sua società.
Il telefono continuava a squillare senza sosta. Era Jennifer, la sua collega che aveva invitato a cena. Interruppe la chiamata e spense il telefono. Aveva bisogno di pensare alla prossima mossa. Nel suo mondo non era possibile perdere nemmeno un istante. A ogni bit corrispondevano miliardi di guadagno. O di perdita. E lui non poteva permetterselo.
Si chiese se cercare altri compratori potesse apparire una manovra rischiosa. Aprì una bottiglia di vino italiano, lo versò in un calice e ne sorseggió il contenuto, mentre osservava il profilo dell’oceano. Forse la compagnia di Jennifer gli avrebbe fatto bene, ma non aveva tempo. Era arrivato il tempo di agire. Lasciò il calice sul tavolo e si chiuse nel suo ufficio. Aprì il laptop.

A pochi chilometri di distanza.

Jennifer scagliò il cellulare contro il muro e si ruppe in mille pezzi. Aveva atteso quel momento per molte settimane. Si guardò di sfuggita allo specchio. Aveva indossato un tubino nero aderente che non nascondeva molto.

Wuhan

L’uomo aveva inviato un videomessaggio a un suo collega medico che esercitava la professione a Pechino. Gli aveva raccontato del caso del paziente morto per complicazioni respiratorie il giorno prima. Si sentiva rassicurato, il suo collega gli aveva detto di non preoccuparsi, che sicuramente si era trattato di un caso isolato. Ma non era per niente convinto. Si controllò la temperatura corporea. Tutto regolare. Aveva soltanto un po’ di tosse secca. Una patologia assolutamente normale nel periodo invernale.

Pechino

Jie posò il microprocessore sul piano di lavoro e puntò la luce per osservarlo meglio. Si sentiva soddisfatto. Quell’oggetto rappresentava il duro lavoro degli ultimi anni. Per completare quel momento mancava soltanto un passaggio. Inserire il processore nella scheda madre di supporto e collegarla a un computer molto potente. Ma per quel momento avrebbe dovuto attendere. Un messaggio del suo capo era appena comparso sul display del cellulare. Era prevista una riunione imprevista e importante. La convocazione era imminente.

Il tempo del silenzio
#Ep2

La puntata precedente
#Ep1

Il tempo del silenzio – Ep1

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Il tempo del silenzio – Ep1

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Wuhan

L’uomo aveva appena agganciato il camice al porta abiti. Era stanco e provato dal lavoro della giornata. Lavorava in pronto soccorso da circa cinque anni e ogni volta gli sembrava sempre più difficile sopportare il dolore e la sofferenza, soprattutto nei casi in cui non poteva fare niente per alleviarla. Non aveva molto tempo per riflettere, i turni erano sempre molto fitti e aveva soltanto poche ore per dormire. Il mattino sarebbe dovuto tornare in ospedale.

Mangiò qualcosa velocemente e si coricò.

In quel momento gli tornò in mente il paziente che aveva atteso il suo turno tutto il pomeriggio in sala d’aspetto. Sembrava non avesse motivi seri per essere lì. Eppure a un tratto aveva iniziato a tossire, una tosse secca, un infermiere aveva cercato di aiutarlo, ma in pochi minuti il suo quadro clinico si era aggravato e aveva iniziato ad avere problemi respiratori.

Era morto poche ore più tardi.

Pechino

Il pacco era appena arrivato dal laboratorio. Il corriere era stato veloce. Il tempo era determinante per il progetto a cui stavano lavorando da anni. Jie era un ingegnere di successo, proveniva da una famiglia povera di Pechino, ma grazie alle borsa di studio del governo era riuscito a conquistarsi un ruolo importante in una azienda informatica. Lo sviluppo della tecnologia in Cina era uno dei settori più importanti e le aziende avevano negli ultimi anni mutato la propria identità, da ditte assemblatrici si erano trasformate in aziende in grado di progettare, costruire e produrre oggetti tecnologici sempre più performanti, che rispetto ai competitor potevano contare su una caratteristica in più. Il prezzo. Gli operai non mancavano e il loro attaccamento alle aziende permettevano di investire su di loro, specializzandoli. Gli orari di lavoro a cui erano sottoposti erano devastanti, ma loro erano sempre presenti ed efficienti. Ed erano pagati poco. Pochissimo, in confronto agli stipendi che percepivano operai di quel livello nel mondo occidentale.

Posò il pacco sulla scrivania del suo ufficio e si soffermò a osservare il paesaggio che la vetrata dell’ultimo piano del grattacielo gli offriva. Sempre lo stesso, un grigiore tenue, che soffocava ogni colore. Per un attimo immaginò di vivere in quei luoghi di cui gli avevano raccontato, in Italia, per esempio.

In quello stesso istante il cellulare suonò.

Il cliente era pronto per procedere con l’acquisto del nuovo prodotto ideato e costruito dalla sua azienda. Un cellulare di ultimissima generazione.

Silicon Valley

Jonathan Valasco aveva depositato il brevetto soltanto pochi giorni prima, quella sera aveva in programma di uscire a cena con la giovane collega che era arrivata in azienda da pochi mesi. Aveva appena il tempo di passare da casa per cambiarsi, indossare qualcosa di elegante, ma senza esagerare. Aveva prenotato un tavolo in un prestigioso ristorante già in mattinata.

Quella videochiamata non era prevista. Si trattava del supervisor dell’azienda madre, la ditta che in genere acquistava i brevetti e che aveva permesso alla sua start up di diventare leader nel settore delle comunicazioni.

“Buonasera John, ti disturbo?”

“Assolutamente no.”

“Bravo, ho sempre ammirato chi si dedica con così tanta passione al suo lavoro.”

“Come mai questa chiamata, avevamo una call prevista per il giorno della consegna.”

“È proprio di questo che volevo parlarti. Abbiamo deciso di non acquistare il vostro prodotto.”

Il tempo del silenzio – #Ep1

La giusta distanza, il nuovo romanzo di Sara Rattaro

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“La giusta distanza” è il titolo di questo romanzo. E potrei anche chiudere qui il mio pensiero. Un concetto che in sé racchiude un intero mondo di sensazioni, emozioni, azioni, reazioni, amore, passione, crisi, tradimento, delusione, speranza, vita, morte, rinascita. E potrei andare avanti ancora, se Sara non avesse incasellato tutti questi tasselli in un puzzle perfetto. La storia di Aurora e Luca è così comune, da sentirla addosso, con le paure, le insicurezze, i sogni infranti, la stanchezza, ma anche la gioia e la consapevolezza, la forza di volontà necessaria per far vivere una storia. D’amore, ok, ma non è solo questo. Sara mette in scena il backstage dell’amore, quello che normalmente nessuno racconta, ma che lascia segregato in una lacrima che non può uscire, in una parola che non si può dire, in una ferita che si finisce per curare da soli, mentre nessuno vorrebbe che fosse così. Perché l’amore è anche impegno, rinunce, desideri che devono essere soffocati. Sara è una regina della scrittura e lo fa con maestria, la sua tecnica si è evoluta, ha sviluppato nel tempo livelli di coinvolgimento molto alti. Ma la sua caratteristica è sempre stata il coraggio, quello di mettere in scena, chissà, le sue paure, le sue delusioni, che poi sono quelle di tutti noi. Vorremmo averlo anche noi questo coraggio di raccontarle. Ma è per questo che nasce un libro, perché quelle emozioni possano essere condivise e vissute anche dai lettori. L’incipit di questo romanzo racconta di due sconosciuti che per la paura si stringono le mani, mentre l’aereo su cui si sono imbarcati sta precipitando, e con le loro rispettive vite, anche le storie che li hanno portati fin lì. “La giusta distanza”. E con questo concetto posso anche chiudere il mio pensiero, per il resto, leggetelo, io non saprei darvi descrizione migliore.